Gli inconvenienti, le disavventure di viaggio, ogni anno, nelle stagioni canoniche, come un rituale entrano a far parte delle cronache di giornali e media. Turisti, vacanzieri e viaggiatori che hanno dovuto subire angherie, disagi e a volte situazioni pericolose per la loro stessa incolumità, per responsabilità altrui o propria, hanno pronunciato la fatidica frase “era meglio se stavo a casa”.
Proprio questa frase è diventata il titolo di un piacevole libro curato da Roger Rapoport e Marguerita Castanera, appunto, “Era meglio se stavo a casa!”, titolo originale “I grandi scrittori raccontano i loro peggiori viaggi”.
Al posto dei racconti della gente comune di cui spesso si nutrono scrittori e giornalisti, questa divertente antologia raccoglie le esperienze più disastrose in giro per il mondo di cinquantuno famosi romanzieri, giornalisti e scrittori di viaggio.
La letteratura di viaggio, come tutta la buona letteratura non scaturisce da sensazioni di tranquillità, ma piuttosto di sofferenza. Gran parte degli scritti di viaggio nascono proprio dagli errori commessi, dalla casualità, da situazioni difficili.
Martha Gellhorn, a tal proposito sostiene: “L’unico aspetto dei nostri viaggi che attirerà sempre il pubblico è il disastro… E’ questo che piace alla gente. Quasi non ci lascia finire di parlare, pronta com’è a raccontare le storie delle proprie sofferenze in terre lontane…”, ma poi aggiunge che: “ai fini dell’autostima niente è meglio della sopravvivenza”.
Tra i protagonisti di questo volume troviamo Larry Collins che narra le sue disavventure come inviato in Siria e in Iraq. Barbara Kingsolver che al Rockfeller Center a New York viene apostrofata dal maitre per il suo abbigliamento dozzinale. Isabel Allende, che pure ha passato gran parte della vita viaggiando, ammettendo di non aver alcun talento per i viaggi descrive della sua cena intima a lume di candela a Parigi in uno squallido campeggio; Barbara Ann Curcio descrive la terrificante vacanza nella Repubblica Dominicana con topi, scarafaggi, pioggia e fregature. Pico Iyer, invece, è dovuto sfuggire alle avance sessuali ricevute in Egitto. E così tutti gli altri, proseguendo in ordine alfabetico da Muriel Dobbin, passando per Dominique Lapierre, Paoul Theroux con “Natale africano” fino a Roger Rapoport con il suo “Maui da soli”.
Ogni racconto, in qualche modo, porta a dire: “Era meglio se stavo a casa”.
Jan Morris, però, come 52° del volume fa una obiezione: “Le brutte avventure non capitano a me”.
Nella prefazione, Mary Morris, autrice di numerosi libri, sostiene che gli scrittori di viaggio, che sono dei viaggiatori, sono anche dei sopravvissuti perché hanno una certa capacità di cacciarsi nei disastri, di sopravviverne e di trarne qualche insegnamento. E consiglia: la prima tattica di difesa del viaggiatore è l’umorismo. “Un viaggio senza umorismo è come il sesso senza amore. Si può fare, ma a che pro?”.
Una piacevole lettura che stimolerà molti a partire… e altri a cancellare la prenotazione.