Martedì 16 Aprile 2024 - Anno XXII

Primo Maggio, viaggio nella mia “koiné”

La tradizione se ne è ormai andata a ramengo e le Feste col cavolo che sono ancora “comandate”. O meglio, sono ancora comandate ma non più dai preti, bensì dai capi del Marketing e degli Uffici Pubblicità dei panettoni e delle uova di Pasqua. E guai a chi tuttora non crede nell’Halloween, nella Festa del Papà, della Mamma e del resto dei parenti fino a quelli di terzo grado (sennò, senza la apposita Festa che ti convinca a sacrificare al consumismo, cosa mai ti spingerebbe a regalare una cravatta o un profumo al cugino o a un prozio?). Ne consegue … Leggi tutto

La tradizione se ne è ormai andata a ramengo e le Feste col cavolo che sono ancora “comandate”.
O meglio, sono ancora comandate ma non più dai preti, bensì dai capi del Marketing e degli Uffici Pubblicità dei panettoni e delle uova di Pasqua. E guai a chi tuttora non crede nell’Halloween, nella Festa del Papà, della Mamma e del resto dei parenti fino a quelli di terzo grado (sennò, senza la apposita Festa che ti convinca a sacrificare al consumismo, cosa mai ti spingerebbe a regalare una cravatta o un profumo al cugino o a un prozio?). Ne consegue che, ormai, gli unici momenti della nostra esistenza veramente “comandati” sono i “Ponti”, alla cui celebrazione, mediante spostamenti aerei o automobilistici, non puoi sfuggire, pena il sentirti un paria, un intoccabile rimasto in città.

Tutti i “Ponti” conducono in Emilia

Bonomi in divisa da chef
Bonomi in divisa da chef

Rischio che stavo correndo poco prima del 1° Maggio e che ho evitato mercè la proposta dell’amico notaio di osservare il Comandamento di Festeggiare il Ponte mediante viaggio più soggiorno nella sua avita Villa di Ro Ferrarese.
E fu così che pure io sono entrato a far parte di quei dieci o dodici o quattordici  milioni di “turisti in movimento sulle strade italiane”, conteggiati ogni volta che c’è un Ponte o le canoniche Feste. Vabbè, numeri buttati lì a capocchia dai mezzibusto dei tiggì – tanto, chi li controlla? – e comunque pronunciati con molta enfasi, soltanto per compiacere il “potente” di turno. Secondo i sullodati mezzibusto, infatti, se il rag. Rossi se la va a spassare santificando un Ponte, non è certo dovuto all’essersi fatto un mazzo così, lavorando di brutto; bensì trattasi di momenti di gioia elargiti dall’accorta politica economica, a turno, di Prodi e di Berlusconi.

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In autostrada? Giammai!

Il culatello di Parma
Il culatello di Parma

Mi avventuro da Milano alla foce del Po, ordunque, laddove, nelle terre affacciate sull’Adriatico tra l’ormai esangue Padus e il Rubicone, ascolto parlate a me care e familiari e godo modi di vivere e pensare (diciamo una cultura contadina e provinciale) che oserei definire una “koinè” mutuata, a totale compenso di mancati lasciti ereditari, da mio padre (nato in quel di Lugo, località ben nota perché co-protagonista di quel meraviglioso poema che recita: “Viva la romagnola, la romagnola bella, di Rimini, di Lugo e Brisighella”).
Beninteso, se mi metto in un viaggio automobilistico accetto anche di essere numerato tra i sullodati dieci o dodici o quattordici milioni di Pontificatori “sulle strade italiane”; sempre ché, appunto, si tratti solo di strade (statali o provinciali che siano) con esclusione delle malefiche autostrade (carissime, intasate, sporche, malinformate, con autogrill ricolmi di afrori da gitanti sudaticci, teatro di infrazioni del codice sempre impunite per assenza di sorveglianza, nonché totalmente prive di punti panoramici e quindi di interessi culturali).

Bei tempi, con un piano a bordo piscina…

Sulle autostrade, poi, col cavolo che possa venire a contatto e godermi quella koinè (di cui sopra) che definirei “adriatica”, ma che per me inizia già superando il Po con gli incipienti profumi delle coppe e delle pancette di Piacenza (più salate appetto a quelle preparate nella provincia di Parma, oltre il torrente Ongina).
Ecco pertanto il volante adeguarsi alle (poche) curve della Via voluta più di duemila  anni fa dal console Paolo Emilio. Una strada rimasta com’era, non un lavoro, non un ampliamento, non so se “come ai tempi” della Roma imperiale, di sicuro “come ai miei tempi” e parlo di quasi cinquant’anni fa, quando dicevo di studiare nell’ateneo parmense ma in realtà andavo a tardone a Salsomaggiore e coi primi caldi ci si trasferiva in piscina ad ascoltare le divine esecuzioni di Luciano Sangiorgi (che giustamente aveva fatto collocare il suo piano a bordo vasca).

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Maria Luigia. Do you remember?

La Reggia di Colorno
La Reggia di Colorno

Parma, la “capitalina”, è in vista. La giornata è bella, sono ormai quaranta e forse più anni che non ammiro la Reggia di Colorno, eccomi pertanto – prima di entrarvi – a godere la vista di una delle più belle piazze emiliane: su due lati le tipiche case color pastello, il terzo lato vuoto per inquadrare gli argini – con bella chiesa barocca sullo sfondo – del torrente Parma, il tutto chiuso dalla facciata con porta di ingresso alla Residenza estiva della doppiamente imperiale Maria Luigia (nasce Asburgo e sposa Napoléon, che sarà anche nato semplice borghese corso, ma i gradi di Empereur se li meritò davvero  facendo e vincendo tutte le battaglie tranne, accade, l’ultima).
’Sta balossa della Maria Luigia, se la passa grigia nelle due più importanti capitali dell’Europa. Lasciata Vienna giovinetta, a Parigi si trova a disagio; non la amano, fosse solo perché non molti anni prima le Tricoteuses avevano tagliato la testa a sua zia Maria Antonietta, la “austriaca”; e allora cosa fa (con Napo in vacanze forzose in una sperduta isola atlantica)? Si becca dal Congresso di Vienna il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e se la gode un mondo (ammoderna, restaura, costruisce mirabilmente, valorizza i prelibati “tortelli alle erbette e ricotta”, esercita sesso sfrenato con l’amato suo primo ministro, conte Von Neipperg) facendo stare alla grande, mediante saggio governo (e qui sta il difficile, il merito) pure i suoi felici e grati sudditi. Una prova? Ancora oggidì sulla tomba di Maria Luigia, nella viennese Cripta asburgica dei Kapuziner, viene quotidianamente collocato un mazzetto di fresche violette legate da un nastro giallo e blu, i colori di Parma.

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I ricordi sono più vivi, con Tisòn e Lambrusco

Lambrusco e millefoglie di Perbellini, Vercelli
Lambrusco e millefoglie di Perbellini, Vercelli

Grazie a una sorta di “Miracolo Emiliano, Arte e Palato” (da ‘ste parti questi piacevoli abbinamenti si sciupano, vedi la Mostra “De Gustibus, Piaceri della Tavola”, nella splendida Villa Malenchini Carignano) pochi minuti dopo aver ammirato i giardini della Reggia (con mercatino) mi ritrovo al Caseificio Sociale “San Salvatore” impegnato nell’assaggio di un “signor Grana” seguito da una grande non meno che  piacevole sorpresa. E’ stato appena tagliato il “Tusòn”, la parte esterna (futura crosta) della  forma di Parmigiano uscita dal bagno e destinata all’invecchiamento. Da un po’ ne è proibita la vendita, ma non è reato donarne un po’ a un vecchio scrivano curioso. Che si gode il Tusòn in un bar di campagna sotto un fresco tiglio. Beninteso: contestualmente alla degustazione di una giusta bottiglia di Lambrusco (Cantina Lombardini, Novellara).

(fine prima puntata)

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