Il Palazzo presidenziale di San Salvador, la capitale dello Stato centroamericano di El Salvador, è una piccola Casa Bianca con l’ingresso sormontato da una tettoia in plexiglass. Nel terreno attiguo sorge il tendone di un circo equestre e quando il presidente si alza in elicottero, le pale scarmigliano le criniere dei leoni.
Il centro storico, se così lo si può chiamare, è un reticolo di strade con edifici bassi, coperti da tettoie, privi di ogni qualità architettonica, dove l’unico elemento decorativo sono le pitture pubblicitarie sui muri, allegre nel loro assortimento cromatico.
Il paese dei “vigilantes”
Il maggior monumento della città, la cattedrale, è sovrastato all’interno da un grande affresco un po’ naif e la fede cattolica del popolo si misura soprattutto nella grande varietà di quadretti luccicanti che contengono immagini di madonne, santi e sacre famiglie: li espongono bancarelle multicolori che si alternano a quelle di gelati, di panini, di succhi di frutta, di libri strausati, di giocattoli, di piccole riparazioni.
L’ironia talvolta è volontaria: il baracchino del calzolaio si chiama “Hospital de calzado” (Ospedale delle scarpe).
A Santa Ana, la seconda città del Paese, il “parque central”, ovvero la piazza principale, è dominata da una parrocchiale neogotica e da un rincorrersi di cartelli stradali con una pistola sbarrata di rosso: è il divieto ad introdurre armi tra le panchine: il giardinetto è un’oasi protetta.
Per le strade non c’è problema, davanti a molti edifici, negozi o distributori di benzina, sono ben visibili uomini (non poliziotti) con pistole, fucili e manette allacciate alla cintura.
Turismo, risorsa “protetta”
In effetti, sebbene la guerra civile sia finita ormai quindici anni fa, El Salvador è un luogo pericoloso nonostante gli sforzi del governo, guidato dal partito di destra Arena. Gli omicidi sono una decina al giorno; bande armate, organizzate e numerose, bloccano gli automobilisti per andarsene con la loro auto; non sono infrequenti le sparatorie in città e il nostro ministero degli Esteri raccomanda ai viaggiatori italiani la massima cautela. I pullman di stranieri sono sempre accompagnati da auto della polizia e i gruppi sono controllati a vista da agenti con la maglietta dalla scritta “policia de turismo”. Non è facile “vendere” all’estero il “prodotto Salvador”, ma l’impegno con il quale le autorità di governo si stanno adoperando per aumentare i flussi di visitatori è addirittura commovente.
Nel 2006 il piccolo stato centroamericano, grande all’incirca quanto la Lombardia e abitato da sei milioni e settecentomila abitanti, ha accolto entro i propri confini un milione e centomila ospiti internazionali; la quota più massiccia – il settanta per cento circa – proviene dagli altri Stati del Centro America, mentre la seconda area di clientela è il Nord America (Stati Uniti, Canada e Messico) con una quota del ventidue per cento. L’Europa è in coda, con un misero due e venti per cento di presenze, all’interno delle quali il numero degli italiani è marginale.