Lunedì 29 Aprile 2024 - Anno XXII

Riga, tra la Daugava e il Baltico

Riga

Città viva e stimolante, in perenne equilibrio tra lo sforzo di rimozione della non lontana presenza russa e quello frenetico di inserimento nell’orbita occidentale. Grazie soprattutto alla poderosa “spinta” che le proviene dalle giovani generazioni

Riga vista dall'alto (Foto: G. Capponago)
Riga vista dall’alto (Foto: G. Capponago)

Riga merita innanzitutto di essere vista dall’alto. Se non altro perché così sarà più facile coglierne l’impalpabile essenza nordica, senza farsi distrarre ogni pochi metri dalla bellezza abbagliante delle sue ragazze. Una bellezza diafana, diffusa, quasi mai ostentata, ma impossibile da ignorare: magnetica, a tratti perfino soffocante tanto è insistita, puntuale. Non si può farci l’abitudine.
L’ancheggiare per le vie del centro di queste onnipresenti giovani donne bionde, finisce così per fungere anche da paravento sociale e sottrarre più facilmente allo sguardo la miseria di certe vecchine male in arnese, o lo squallore di certe concrezioni post-sovietiche di cui, nonostante gli sforzi erculei, né la città né la pur benestante società lettone dell’ultimo quinquennio, sono state capaci di liberarsi del tutto.

Fermenti giovanili

Riga La chiesa di San Pietro (Foto: G. Capponago)
La chiesa di San Pietro (Foto: G. Capponago)

Dal basso, avvolta dal frastuono dei discobar e dal luccicare delle vetrine, Riga sembra dunque una città moderna e veloce, protesa verso un consumismo inarrestabile ma al tempo stesso ragionevole, la cui anima è rappresentata dai giovani: un popolo tracimante, vitale, in apparenza padrone delle strade, delle idee, delle risorse della capitale e forse volontariamente dimentico del grigiore di un ancor recente passato. Ansioso, anzi, di lasciarsi senza troppi ripensamenti questo passato alle spalle. Voglioso di crescere in fretta e di uniformarsi alla svelta agli standard dell’Occidente. Difficile, in fondo, dargli torto.
Vista invece dall’alto del campanile della chiesa di San Pietro, mentre nuvole sottili solcano un cielo azzurro cupo che sa di latitudini lontane, Riga somiglia a un immenso conglomerato di sobborghi separati tra loro da ampi parchi e da smisurati giardini. Racchiusa in un fazzoletto del quale si riconosce appena il perimetro delle mura, la città vecchia quasi sparisce a paragone della sterminata larghezza della Daugava, il suo grande fiume, alla maestosità delle arcate d’acciaio del ponte ferroviario che la attraversa, alla metropoli che rapidamente si espande alle sue spalle.

Riga, città “diffusa”

Il castello di Livonia sede del Presidente della Repubblica (Foto:G. Capponago Del Monte)
Il castello di Livonia sede del Presidente della Repubblica (Foto: G. Capponago)

Spiccano i cinque giganteschi hangar dei mitici dirigibili Zeppelin, rimontati qui negli anni Trenta ed oggi sede del coreografico mercato generale cittadino.
Perfino l’enorme mole del Pils, il castello dell’Ordine di Livonia che ora ospita il Presidente della Repubblica, contemplato dal campanile, sembra quasi un edificio come tanti. Sullo sfondo, in lontananza, si intravedono le gru, le banchine e le darsene del porto, mentre muraglie di boschi di betulle nascondono alla vista i rioni periferici che si estendono ancora più ai margini e fanno di Riga quella che gli urbanisti definiscono una “città diffusa”.
Le onde del Mar Baltico – quelle che, per dirla con Gunther Grass, hanno il “colore di un’acqua di seltz fortemente gasata” – sono poco oltre, ma sembrano lontanissime.
Sarà dunque per la sua architettura composita, o sarà perché, a sedici anni dalla proclamazione dell’indipendenza e a tre dall’ingresso della Lettonia nell’Unione Europea, le è forse ancora difficile recuperare un’identità precisa; sarà infine perché la capitale lettone resta una comunità suddivisa in molte anime etniche e religiose, sta di fatto che Riga non è una città di facile lettura.
Perdersi nei suoi sobborghi significa imbattersi in frazioni che seguono un ordine incomprensibile: una accanto all’altra, possono affiancarsi deliziose enclave di dacie di legno e inguardabili condomini di stile socialista, vecchi stabilimenti industriali dismessi e quartieri dormitorio che echeggiano le radici storicamente proletarie della città.

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Una storia di antiche e moderne invasioni

Riga La statua dei Fucilieri Lettoni davanti al Museo dell'Occupazione (Foto:G. Capponago Del Monte)
La statua dei Fucilieri Lettoni davanti al Museo dell’Occupazione (Foto G. Capponago)

Al centro della piazza, dove una volta sorgeva il municipio e dove ora c’è il tetro parallelepipedo del Museo dell’Occupazione, monumento ai guasti di mezzo secolo di dominio straniero sulla Lettonia, si alza la statua di granito rosa dei Fucilieri Lettoni, messi lì a muta sentinella per le nere acque del fiume, alla ricerca di un nemico invisibile pronto a balzare fuori dai suoi gorghi.
Analogamente, qualche centinaio di metri più a nord, tra lapidi consumate dal tempo, vecchi cannoni russi e palle di cannone svedesi, macchine medievali e stemmi gentilizi che, ammassati nel chiostro romanico della cattedrale, costituiscono la sezione più interessante e suggestiva del museo storico cittadino; immobile, in un angolo, sta la figura del gran maestro dell’ordine dei Portaspada, la congregazione che accompagnò fin dall’inizio la colonizzazione tedesca della Livonia dopo la fondazione anseatica della città, alla fine del XII secolo.
Con lo scudo crociato in mano, lo sguardo rivolto fieramente all’altare e le spalle alla Daugava, quel profilo di cavaliere scolpito nella roccia sembra fatto apposta per restare insensibile a qualsiasi evento. Anche se c’è chi giura di averlo visto incresparsi quando, dalle settemila canne dell’organo più grande del mondo, le note di musica sacra inondano il Duomo luterano della capitale.

Tradizioni religiose e nuovi “traffici”

Guardie davanti al palazzo presidenziale (Foto:G. Capponago Del Monte)
Guardie davanti al palazzo presidenziale (Foto: G. Capponago)

Vista dagli acciottolati del centro, Riga incarna perfettamente il prototipo immaginario dell’insediamento della tradizione nordica, con i suoi oscuri slanci gotici, la suggestione dei mattoni rossi, le architetture sobrie e severe, la rotondità degli archi e delle torri e tutto un corollario dei luoghi di potere e di commercio caratteristici delle città portuali: le case dei mercanti, i conventi, la Guilda grande e quella piccola, le caserme della guarnigione militare, le accademie.
E poi le immancabili influenze scandinave e quelle russe, il palazzo di Pietro il Grande e la mano frequente dell’italianissimo Antonio Rastrelli, l’architetto che disegnò San Pietroburgo. Un patrimonio composito, in bilico tra grandiosi progetti di valorizzazione e i rischi di una speculazione montante.
A Riga del resto molte altre cose sono in bilico: luterani, cattolici e ortodossi, ad esempio, si spartiscono equamente la torta del primato religioso. Questa è anche la città, inutile negarlo, dei faccendieri senza scrupoli e dei traffici al limite della legalità; della prostituzione spinta, dei locali notturni di equivoca natura (ne risultano autorizzati a centinaia, non male per una comunità con meno di un milione di abitanti).

Luce, gas e acqua più care, per l’erigenda Biblioteca

Riga Particolare di un palazzo in Jugendstil (Foto:G. Capponago Del Monte)
Particolare di un palazzo in Jugendstil (Foto: G. Capponago)

Ma è pure una città di vocazioni culturali solide e profonde, dove la dialettica anche aspra tra le due anime cittadine, quella lettone e quella russa (rispettivamente il sessanta e il quaranta per cento della popolazione) sfocia nel desiderio quasi febbrile di ristrutturare palazzi e monumenti abbruttiti dal comunismo, nei grandi parchi pubblici vissuti e tenuti come giardini, in un centro storico (inserito dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità) restaurato e preservato con tale accuratezza da sembrare, a volte, una bomboniera perfino un po’ leziosa.
Se al volgere del secondo millennio non mancava chi vagheggiava di trasformare la capitale lettone in una inquietante “Montecarlo del Baltico”, votata al turismo di massa e capace di incrementi da centocinquantamila visitatori l’anno, accanto, c’era anche chi nello stesso momento affidava al celebre architetto letto-americano Gunnar Birkerts il progetto della nuova grande Biblioteca Nazionale poi presentato alla biennale di Venezia del 2004: un edificio avveniristico da realizzare sulla sponda sinistra della Daugava, proprio di fronte alla città vecchia, per costruire il quale già dal 2001 ogni cittadino di Riga versa allo stato una quota fissa per ogni bolletta di acqua, luce e gas che riceve. E sulle ali dello sviluppo del porto commerciale si sta studiando lo scavo di un tunnel capace di collegare direttamente la città alle banchine, liberandola così dal pesante traffico di superficie.

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Dalla sede in rovina dell’ex KGB, allo splendore della Cattedrale

Piazza davanti alla cattedrale con locali all'aperto (Foto:G. Capponago Del Monte)
Piazza davanti alla cattedrale con locali all’aperto (Foto: G. Capponago)

In attesa che questi sogni si realizzino, la capitale continua così ad alternare con apparente disinvoltura il suo volto più languido e chiaroscurale allo sfolgorio capitalistico delle vetrine. Sul viale Aspasia, l’arteria che avvolge l’antica cinta muraria e si inarca tra il nucleo medievale e il parco dei Bastioni, le auto di lusso con i vetri azzurrati fanno lo slalom tra i filobus malconci, eredità dell’amministrazione socialista, mentre all’angolo tra via Brivibas e via Stabu, nel punto in cui la città abbandona la sua maschera capitolina per lasciare spazio alla periferia, un massiccio palazzo anni Trenta che le mappe della città indicano ancora con il nome generico di “dipartimento politico” nasconde, in realtà, l’ex sede del KGB, lasciata dalle autorità vendicativamente a marcire sotto uno spesso strato di nerofumo.
Nulla a che vedere con lo sfarzo della cattedrale della Natività, il duomo ortodosso di Riga, tirato a lucido e tornato al culto dopo gli anni in cui il regime lo aveva declassato a sede del planetario pubblico. E mentre negli elegantissimi appartamenti da ventimila euro al metro quadro di Alberta Iela, Elizabetes Iela e Strelnieku Iela (il cosiddetto quartiere delle ambasciate, plasmato ai primi del Novecento dalla fantasia architettonica di Michail Ejzensteijn nel più famoso quadrilatero in stile “Jugendstil” del mondo) ronzano i computer delle agenzie di pubblicità, dei creativi in voga e dei “web artist” d’avanguardia, nei rioni più popolari la vita continua a scorrere spigolosa, tra palpitanti aspettative e malcelati rimpianti.

Povertà e spese “irrinunciabili”

Architettura Jugendstil (Foto:G. Capponago Del Monte)
Architettura Jugendstil (Foto: G. Capponago)

“Il problema di questa città – fa notare un “insider” – non è, come si crede, la mancanza di una classe media, schiacciata tra un’esigua minoranza di ricchi – nella piccola Lettonia ci sono decine di banche e oltre duecento famiglie multimilionarie su una popolazione di meno di tre milioni di persone – e una sconfinata maggioranza di poveri. In realtà la “middle class” qui c’è eccome. E cresce rapidamente. Solo che non sa di esserlo e, di conseguenza, si comporta e pensa da povera”.
Ma le contraddizioni e i contrasti non si fermano qui.
Spesso ci si lamenta della miseria, ma nessuno ha protestato quando, per festeggiare l’ottocentenario della città, nel 2001 sono stati spesi cinquecentomila dollari in fuochi artificiali. Così come nessuno ha protestato quando c’è stato da sborsare una fortuna per rimuovere il simbolo della falce e martello dalla sommità dell’Accademia delle Scienze, il gigantesco grattacielo in stile moscovita che la gente, con sarcasmo, chiamava “il dente di Stalin”. Una spesa, fanno capire, che era prima di tutto una questione di orgoglio nazionale.

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Economia casalinga nelle strade

Il mercato centrale (Foto:G. Capponago Del Monte)
Il mercato centrale (Foto: G. Capponago)

Su questo coacervo di tensioni e di varia umanità che attraversa le sue viscere, la bellezza levigata e un po’ distaccata di Riga si posa come un velo.
Negli otto ettari dell’immenso mercato centrale, a ridosso della ferrovia, c’è posto per tutti anche se le bancarelle del bric a brac post-sovietico ricercate dai turisti, sono sparite da un pezzo e in loro vece sono comparse frotte di massaie imbacuccate che, per pochi soldi, cercano di vendere ai passanti capi d’aglio e poco invitanti olive in salamoia preparate in casa. Al rosso vivo delle fragole e delle ciliegie ammassate sui banconi all’aperto, fanno da contraltare l’arancione quasi accecante dei tranci di salmone e le squame dorate degli sgombri affumicati esposti sotto i cristalli delle vetrine. Gli ambulanti intorno al Duomo e alla chiesa di San Pietro offrono ai passanti come souvenir tovaglie di lino, pronti a dimezzare le pretese quando, sul far della sera, il passaggio dei visitatori comincia a scemare.

Il “giovane” che avanza

Riga Foto di Nak NakNak da Pixabay
Riga Foto di Nak NakNak da Pixabay

E seduta ai tavoli dei “beer gardens”, i caratteristici pub all’aperto che in estate spuntano come funghi per le vie e le piazze del centro, una gioventù gaudente e garrula, ebbra di occidente, beve long drinks e birra Aldaris.
Contemporaneamente, in attesa di fare il salto sociale, nei casermoni di periferia interi gruppi di studenti, connessi ad internet attraverso il servizio municipale via cavo, scaricano dalla rete gli ultimi hit della musica lounge, pronti però a sciogliersi in un canto collettivo, se la radio all’improvviso si mette a trasmettere una canzone del folclore lettone.
Questa è Riga. Capitale dove, gattopardescamente, tutto pare insomma destinato a cambiare per restare lo stesso. Sembra quasi un gioco del destino, allora, il fatto che nella cattedrale protestante della città, nel 1932, proprio Giuseppe Tomasi di Lampedusa abbia sposato la principessa baltica Licy Wolff Stomersee, poi prima donna psicanalista d’Italia e abbia spesso soggiornato a poche decine di chilometri da qui, nel castello di Stameriena.

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