Una “maestra” che vedeva lontano
Romagnano è nota per la sacra rappresentazione del Venerdì Santo, offerta dal 1730 ogni due anni e negli anni dispari, ma di origini ancora più antiche. La Passione di Cristo rivissuta come spettacolo popolare, con i vari personaggi interpretati dalla gente del luogo.
La gloria locale è senza dubbio Carlo Dionisotti, uno dei più grandi italianisti della seconda metà del secolo scorso. Docente per molti anni a Londra, è sepolto a Romagnano, luogo degli affetti e porto sicuro delle lunghe estati, quando l’insegnamento e la stesura di infinite opere letterarie, lasciavano spazio al riposo e alla riflessione. Ha scritto Dionisotti:
“… se il presente vuol fare, su fondamenta nuove, paragone di sé col passato, deve, come già gli uomini del Risorgimento fecero a loro tempo e a misura dei loro bisogni, gettare fondamenta nuove con volontà e mente intese al futuro; non può illudersi di trovarsi quelle fondamenta già fatte e solide sotto i piedi, sicché basti difenderle”.
Forse è a questi concetti che Fernanda Renolfi, amatissima maestra per
alcune generazioni di romagnanesi, si è ispirata quando ha deciso di
lasciare i suoi averi, frutto di una vita spesa nel lavoro e nel culto
della sua terra, al Museo Storico Etnografico della Bassa Valsesia (del
quale è stata anche co-fondatrice) con il preciso mandato di dar vita
ad una Fondazione che potesse, in comunione d’intenti col Museo,
destinare borse di studio ai giovani per far conoscere e valorizzare le
caratteristiche storiche e ambientali del luogo.
Un’intuizione personale, quella della maestra, già in embrione portatrice del seme destinato a svilupparsi, se ben coltivato, in un reale esercizio di “cultura”. Una cultura non ostentata, offerta ai concittadini con semplicità e vero affetto, così come semplice e aperta agli altri è stata la sua vita.
L’esempio di Romagnano può essere quindi preso quale significativa pietra di paragone per ciò che può “essere fatto”, quando l’humus originale ha buone radici e quando questo humus finisce per dare buoni frutti. Proprio come avviene con la vite, con i campi: la “coltura”(della terra, dei prodotti che elargisce, condita dalla fatica dell’uomo) che fa da base alla “cultura” (studio e conservazione del patrimonio di vita e di esperienze vissute).
E’ per tale preciso mandato che è nata la Fondazione “La Nosta Gent” Onlus; per vivere e valorizzare il territorio, per dare voce e risalto alle preziosità della zona, non ancora conosciute come meriterebbero. In definitiva, per fare in modo che tutto ciò non vada disperso, dimenticato.
Il significato dei Convegni de “La Nosta Gent”
La “sigla” che comprende i vari contributi che insigni studiosi hanno dedicato alla Fondazione, nei primi due anni d’attività (2006 e 2007) e per quelli a venire, racchiude il comune sentire dei componenti del Consiglio d’Amministrazione; professionisti dediti a differenti occupazioni, accomunati dagli stretti legami con le persone e le tradizioni del luogo. “Prospettive Territorio Futuro”, questo il contenitore, dice molto di più delle semplici tre parole che lo compongono: cosa prevedere, sulla scorta delle esperienze del passato, per un territorio profondamente diverso da quello originario, immaginando (e adoperandosi perché ciò avvenga) quale possa esserne il “futuro”, inteso come conservazione, valorizzazione, sviluppo e insieme “archivio” della memoria collettiva.