Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

Le ricchezze di Giuseppe Verdi

Sant'Agata La villa di Giuseppe-Verdi

Straricco, parsimonioso con venature d’avarizia, oculato amministratore dei propri beni e generosissimo di lasciti in punto di morte, i “numeri” che riguardano il grande musicista conducono a uno spaccato di vita dei primi anni del Novecento

Giuseppe Verdi, nato povero, accumulò in vita una ricchezza colossale, paragonabile a quella dei più grandi industriali di oggi. Fu il primo contribuente del neonato Regno d’Italia. E sapere di essere stato nominato senatore per censo e non per meriti artistici, come si sarebbe aspettato, gli provocò un travaso di bile.

Guadagni investiti in terreni

Giuseppe Verdi I cancelli d'accesso a Villa Sant'Agata
I cancelli d’accesso a Villa Sant’Agata

Intorno a Sant’Agata, il borgo presso Busseto nel quale Giuseppe Verdi si era ritirato a vivere, continuò per tutta la vita a comprare terreni e poderi, arrivando a mettere insieme più di mille ettari. Per lui lavoravano centinaia di contadini, non mezzadri ma “terzadri”, perché pagavano i due terzi anziché la metà. La sua amministrazione era accorta e il suo rapporto con il denaro severo. Quello con i dipendenti durissimo: era capace di licenziare all’improvviso per un semplice sospetto.

I guadagni che gli provenivano dai teatri di tutta Europa, grazie a un successo popolare senza confronti, erano ansiosamente riconvertiti in terre. Quasi egli fosse ossessionato dall’idea della povertà conosciuta da ragazzo. Tra i pochi lussi che si concedeva, una serie di diligenze di prestigio tra le quali una Cesare Sala, la Rolls Royce dell’epoca. La ghiacciaia, invece, l’unica privata nella zona era una specie di bunker in cui faceva depositare il ghiaccio invernale del fiume. E là sotto si manteneva tale per tutto l’anno. A Ferragosto usava invitare gli amici a mangiare una torta gelato: non – dicono i maligni – per il piacere della compagnia, ma per la sottile vanità di provare il proprio potere anche attraverso la temperatura del cibo.

Unica erede, una cugina

Giuseppe Verdi Verdi con un gruppo di ospiti a Sant'Agata nel 1898
Verdi con un gruppo di ospiti a Sant’Agata nel 1898

Quest’uomo ricco e parsimonioso non ebbe figli e lasciò la sua fortuna smisurata alla cugina Maria Verdi, che aveva fatto sposare con il proprio notaio, Alberto Carrara: da allora gli eredi sono diventati Carrara Verdi. Maria era figlia di un cugino di Verdi, ma è rimasto vivo il sospetto che fosse sua figlia: fin da piccola, infatti, la accolse a vivere nella propria casa. Quali, quanti e di che valore fossero i beni che Giuseppe Verdi lasciò alla sua erede universale, non si sa.

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Ma il testamento che egli vergò di suo pugno il 14 maggio del 1900, un anno prima di morire, è un atto che esprime generosità umana ed economica, quasi che il riconoscere con “opere di bene” la miseria e la sfortuna altrui potesse sublimare a posteriori l’asprezza di un carattere avaro.

Funerali modestissimi

Giuseppe Verdi Il compositore nel 1899
Il compositore nel 1899

Giuseppe Verdi morì a 87 anni il 27 gennaio del 1901, in una stanza al primo piano dell’Hotel de Milan, in via Manzoni, a Milano. “Dopo una lunga agonia che durava da quasi cinquanta ore, il glorioso vegliardo serenamente spirò stamane alle ore 2 e 55” annunciarono le cronache. Con discutibile tempestività, già il giorno prima la giunta municipale, approssimandosi la “catastrofe”, aveva deliberato “che i funerali sarebbero stati solenni come quelli in onore di Alessandro Manzoni” con chiusura delle scuole e manifesti cittadini. Ma le ultime volontà del maestro beffarono la pompa comunale: “Ordino che i miei funerali siano modestissimi e si facciano allo spuntar del giorno od all’Ave Maria di sera, senza canti e suoni. Basteranno due preti, due candele e una Croce”. Per celebrare la sua morte volle che, il giorno successivo a questa, venissero distribuite “ai poveri di Sant’Agata lire mille”.

Un lungo elenco di lasciti testamentari

Giuseppe Verdi La camera da letto a Villa Sant'Agata
La camera da letto a Villa Sant’Agata

Nel testamento di Giuseppe Verdi si susseguono i legati: ventimila lire “agli Asili Centrali della città di Genova”, diecimila allo “Stabilimento dei Rachitici della città di Genova”, altre diecimila ciascuno allo “stabilimento dei Sordo Muti” e “all’istituto dei Ciechi” della stessa città, dove egli aveva vissuto gli ultimi anni. A “Guerino Balestreri, che è al mio servizio da molti anni” lasciò la somma di lire diecimila. “Lascio ai domestici che saranno da dieci anni al mio servizio la somma di lire quattromila per ciascuno. Agli altri domestici mille lire per ciascuno”.

Lascia inoltre nove fondi all’Ospedale di Villanova d’Arda, con l’onere “di sussidiare l’asilo infantile di Cortemaggiore con lire mille annue”; tre fondi di Sant’Agata vanno al Monte di Pietà di Busseto, cui vengono assegnati alcuni oneri: di assegnare lire duemila annue all’ospedale di Busseto, lire mille annue all’istituto degli asili infantili di Busseto, di distribuire “in perpetuo l’elemosina di trenta lire per ciascuno a cinquanta poveri del mio villaggio nativo le Roncole, il giorno 10 novembre di ogni anno” e di assegnare “una pensione” (che oggi chiameremmo borsa di studio) di lire sessanta mensili per quattro anni a due studenti di teoria e pratica agraria.

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Tra i beneficiari di Giuseppe Verdi, la Casa di Riposo per musicisti

La casa di riposo per musicisti a Milano
La casa di riposo per musicisti a Milano

Lascia un’altra dozzina di fondi e poderi a parenti; al Comune di Villanova d’Arda “lo stabile dell’ospedale da me costruito”. All’Opera pia Casa di riposo per musicisti “oltre allo stabile da me fatto costruire in Milano, piazzale Michelangelo Buonarroti”, dispone che vadano: settantacinquemila lire in certificati di Rendita italiana, tutti i diritti d’autore in Italia e all’estero, un credito di duecentomila lire vantato verso la Ditta G. Ricordi & C. di Milano (il suo editore).

Alla scadenza naturale, nel 1951, i diritti d’autore di Verdi furono con legge prorogati, fino al 1958, proprio in virtù della loro destinazione benefica. Da allora sono “svaniti” nel pubblico dominio, ma lo Stato ha mantenuto l’impegno, che dura tuttora, di erogare annualmente un contributo alla fondazione. Ma quanto valeva, tutto quel denaro, all’inizio del secolo scorso? Per rispondere a un quesito di questo tipo è del tutto inutile interrogare le tabelle dell’inflazione: si otterrebbe soltanto un valore nominale, del tutto estraneo alla realtà. In realtà il valore del denaro è dato dall’incrocio dei guadagni con il loro potere d’acquisto. Così si può indagare attraverso qualche esempio raccolto sui giornali dell’epoca.

I “guadagni” del primo Novecento….

Verdi a Montecatini nel 1898
Verdi a Montecatini nel 1898

Proprio nei giorni in cui moriva Giuseppe Verdi, nel 1901, fu bandito il concorso per la condotta medica del comune di Corteno, un paesino di montagna in provincia di Brescia: lo stipendio “è di lire  duemila e duecento annue, più settantacinque quale ufficiale sanitario. Casa gratuita, obbligo della tenuta armadio farmaceutico e della vaccinazione”. Nel 1900, un anno prima, un commerciante di bestiame di Villa D’Allegno fu borseggiato a Bergamo del portafogli contenente dodicimila lire, ricavo di quarantadue capi di bestiame che aveva appena venduto.
Nel 1903 fece sensazione una nomina politica, quella del Cav. Giovanni Paolucci, procuratore del Re a Roma, a giudice del Tribunale di prima istanza in Alessandria d’Egitto: un posto retribuito con trentacinquemila lire all’anno.

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In quello stesso 1903, per restare nell’ambito della pubblica amministrazione, il segretario capo del Comune di Mira (Venezia) ha uno stipendio di duemila e trecento lire, quello di Osnago (Como) di mille e duecento  “aumentabili ogni sei anni fino a lire duemila”. Il “Ragioniere con patente di Segretario comunale di Mortara” parte da mille e cinquecento lire per salire, nel tempo, fino a duemila. Nel 1903 i professori delle scuole secondarie hanno stipendi medi di duemila e trecento lire all’anno: per aumenti dovranno aspettare fino al 1914, anno  in cui furono varati aumenti medi di cinquecento lire. Nel 1907 un annuncio matrimoniale sul Corriere delle Sera ci illumina sullo stato dei liberi professionisti: “Avvocato trentenne, famiglia distinta, sano, bella presenza, reddito cinquemila, sposerebbe signorina pari requisiti”.

… e alcune voci di “spesa”

Il compositora a Montecatini nel 1898
Il compositore a Montecatini nel 1898

E le spese? Una casa popolare di tre locali costa d’affitto quattrocento lire.
Un abito di lana da uomo, ventisei lire, un loden “a forma di pipistrello con mantellina a cappuccio”, quindici lire, ma un abito di seta per signora può arrivare a ottocentocinquanta lire. Una valigia in pelle costa cento lire, un biglietto di seconda classe Milano-Roma 78,90 lire, un apparecchio fotografico portatile, a lastre “in elegante cassetta di legno lucido con maniglia e serratura”, novanta lire.
Per una serata alla Scala il biglietto è di cinque lire; per il teatro Fossati bastano invece sessanta  centesimi.

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