L’istruttore mostra come si fa, corpo supino, braccia piegate a proteggere viso e cuore, gambe che si devono piegare all’impatto con l’acqua nella pozza sottostante.
È tutto. Il “camino” di roccia dove l’acqua scorre veloce è lì, come il “tubo” in plastica nei parchi acquatici che si chiamano “acquasplash”. Non si ha il tempo per pensare e l’acqua come un tappeto magico ti ha già fatto volare in basso, facendoti poi scontrare con la “dura” superficie verde della pozza. È un attimo di ubriacatura, freddo e pressione ti spingono verso l’alto e l’euforia per il battesimo riuscito (in questo caso il termine ha maggiore aderenza con la realtà) ti fa nuotare rapidamente verso riva. Per poi osservare stupito i “missili” umani che ripetono dopo di te il tuo stesso gesto. Si continua nel buio relativo del canyon, scendendo i punti più difficili in cordata (spalle al vuoto, piedi che cercano di volta in volta l’appiglio) e gli altri a tuffo (con le modalità prima descritte) o a nuoto.
Intorno, una natura integra
L’acqua è tutto. È il colore, il verde delle pozze, il verde dei muschi, delle felci, delle piante continuamente nebulizzate, il nero delle rocce bagnate; è il sapore che ti entra nel palato, è l’odore che avvolge le narici. Un universo umido, rassicurante come un grembo, evocativo come una poesia (“…chiare, fresche, dolci acque…”) sferzante come il freddo e la paura.
Si arriva alla fine, dopo tre-quattro ore, stremati, ma con quella intima contentezza che solo quando ti metti alla prova puoi avere.
In confronto, gli altri sport che vengono definiti di “whitewater” (“eau vive”, in francese) sono molto più tranquilli. In fondo, si tratta di imbarcazioni. Come il rafting, scendendo con il gommone nelle rapide dell’Ötztaler Ache, da Sölden a Sautens, o dell’Inn, da Einsatzpunkt a Silz (per chi vuole osservare i rafter c’è il ponte di Ötz nel primo percorso e quello di Imster Schlucht per il secondo).
O la canoa, il kayak, l’hydrospeed (si nuota guidando una tavoletta) sull’Inn, trovando una via tra quelle acque grigie che rimbalzano su un letto di sassi.
Anche se le acque tumultuose del Rofener Ache e del Venter Ache promettono avventura (grado di difficoltà 5). Per chi vuole fare slalom, a Ötz c’è un tracciato professionale di allenamento e di gara per una lunghezza complessiva di cinquecento metri, con quarantadue porte.
Alla fine, il benessere delle terme
A fine giornata (o un giorno successivo) bisogna continuare il confronto con le acque. Nella forma tranquilla, riposante di un centro spa-wellnes. La valle ne propone parecchi. Tra tutti, vale la pena parlare dell’hotel Central di Sölden per tuffarsi nel Venedig Welt, una ricostruzione degli ambienti veneziani, con tanto di gondola vera, o della Freizeit Arena, sempre a Sölden.
Ma è a Längefeld, all’Aquadome, che si trova tutto ciò di cui si ha bisogno.
È un centro termale ben inserito tra le montagne, pietra e vetro e soluzioni architettoniche interessanti. Magnifiche, in particolare, le piscine all’aperto, a più piani, con calore e densità dell’acqua diversi, con musica e luci. Il tutto sotto le montagne che incombono e gli abeti che spergono l’odore della loro resina.