Dove chi è “largo”, non ha bisogno di scalette
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Se uno spagnolo vi dice di possedere una “tienda”, è padrone di un negozio (al contrario dei “negocios” spagnoli che sono gli affari in Italia). Chi vuole meno luce in una “habitaciòn” (che non è tutta una abitazione ma solo una camera) abbassa la “cortina” (tenda, tendina). E l’italiano non si spaventi se gli dicono di “subir”, non corre rischi; deve soltanto salire. La spagnola “salida” corrisponde all’italiana uscita (quindi un signore sale, esce dalla casa ma senza … salire, mentre il sale cambia genere e diventa “la sal”). Un agricoltore spagnolo che deve “sembrar” non è una persona obbligata ad apparire, sembrare (in spagnolo “parecer”); più semplicemente ha il compito di seminare.
E di “falsi amici” il dizionario della lingua spagnola è pieno. Eccone, velocemente altri esempi. “Hombre” (uomo) quindi niente a che vedere con l’ombra. La “lupa” altro non è che la lente di ingrandimento, non la signora del lupo (“lobo”) che pertanto non ha niente a che vedere con quello dell’orecchio. “Largo” in spagnolo è lungo mentre largo in italiano, a sud dei Pirenei diventa “ancho”. Un signore iberico che “lleva” qualcosa non la leva, toglie di mezzo, bensì la porta (da “llevar”, portare) e “llegando” non si lega bensì si arriva (“llegar”, arrivare) e quindi in spagnolo non si “arriba” (che vuole invece dire sopra).
Pasticcio spagnolo con uova al burro che ragliano
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Nella lingua spagnola “burro” vuol dire asino, da cui si evince che, in un ristorante a sud dei Pirenei, un italiano (affamato, ma per dichiararsi tale deve dirsi “hambriento” e non “afamado”, che in spagnolo significa famoso) e poco documentato sugli scherzi combinati dai “falsi amici” (parole spagnole uguali o simili in italiano ma con significato diverso). Chiedendo un “uovo al burro” altro non fa che ordinare al cameriere di recapitare l’uovo al somaro (che ragliando gli suggerirebbe di andarlo a friggere nella “mantequilla”, appunto il burro, e non nell’ “aceite”, che in spagnolo è l’olio e non, come potrebbe pensare un italiano vista l’estrema similarità tra le due parole. L’aceto, che in spagnolo è chiamato “vinagre”).
Se poi quel “burro” (asino) “ralla” (pronuncia raglia) non produce un suono sgradevole, bensì sta soltanto grattuggiando (rallar). E sempre a proposito di “falsi amici” nell’alimentazione, se uno spagnolo vuole “ir de tapas” non si riferisce a una gara ciclistica a tappe. Ma vuol dire girare di bar in bar mangiucchiando (“tapa”, assaggio, stuzzichino). Ed essendo poco carino bere a canna, nel bar l’italiano non si spaventi chiedendo un “vaso” (bicchiere); gli spagnoli sono forti bevitori ma bere quanto contenuto in un nostro vaso, il loro “florero”, sarebbe eccessivo!
Bere, mangiare, pagare… che sublime confusione!
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In un ristorante a sud dei Pirenei (dove, come in Italia, si apparecchia la tavola stendendo un “mantel”, che però non è un indumento ma la tovaglia) un italiano, vedendo nel menu (“carta”, che in “castellano”, sinonimo di lingua spagnola, vuole anche dire lettera, mentre la semplice carta italiana è “papel”) la parola “seta” non tema di dover mangiare un tessuto: gli sarà infatti portato un fungo. Pertanto la “toalla” non è la tovaglia, trattandosi invece dell’asciugamano.
Sempre a tavola l’italiano, pensando che si tratti di una femmina di lepre, eviti di chiedere la “lepra” (lebbra) e se gli piace il pesce sappia che la “cigala” è un ottimo scampo (niente a che vedere con la cicala amica della formica). Mentre la “caballa” non galoppa nel mare, trattandosi invece dello sgombro; e per “gamba” non si intende uno de nostri due arti inferiori (in spagnolo “pierna”) bensì di un gamberetto (e “gamberro” è un personaggio poco raccomandabile).
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Chi vuole qualcosa di caldo precisi “caliente”, sennò rischia di doversi sorbire un brodo (appunto “caldo” in spagnolo). Un salame non si “afecta” (“afectar” significa riguardare) perché “rebanar” (affettare) è il verbo giusto. Per concludere sui trabocchetti tesi dai “falsi amici” al ristorante, in un locale “barato” (economico, a buon prezzo) si paga appunto poco. Senza dover ricorrere a un baratto, mentre di fronte a un conto salato l’italiano non pensi subito a una truffa (in spagnolo “timo”, mentre il nostro timo è l’iberico “tomillo”) perché a determinarlo potrebbe essere stata la “trufa” (tartufo). E pagando il conto è sempre meglio lasciare una mancia (“propina“) e non una “mancha” (pronuncia mancia) che in spagnolo è una macchia.
Falsi amici: da licenciado a meada
Non è il caso di commiserare un “licenciado”, non trattandosi di un signore lasciato a casa dalla ditta (in tal caso è stato “despedido”) bensì di un laureato (abbreviato in “lic.”, il dottore italiano che in Spagna si dice soltanto al medico). L’italiano che in viaggio vuol trattarsi bene, visitando Madrid o Barcellona farà bene a scendere in un “hotel” (albergo). In spagnolo “albergue” è una sorta di ostello; e se gli viene proposta una “posada” (locanda, osteria) non pensi a una forchetta o a un coltello, In ogni caso chieda un “presupuesto” (che non è un presupposto (supuesto) bensì un preventivo).
Chi desidera dilazionare i pagamenti e si rivolge nella lingua di Cervantes non parli di “rata” (gli darebbero un topo); meglio riferirsi a “cuota” o “plazo”. A differenza di quanto può credere un signore bergamasco, la “pisada” è un’orma (“pisar”: calpestare) perché una pisciatina nella lingua di Cervantes è solo una “meada”.
Attenti agli “imbarazzi” femminili!
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La Posta italiana in spagnolo è il “Correo” e non la “puesta” (che corrisponde al tramonto, calar del sole) e “poste” altro non è che l’italiano palo. In Spagna va anche bene perdere la “dentera” (ansia); meno bene aver smarrito la dentiera (protesis dental). “Cerca” vuol dire vicino (non c’è niente da cercare); il “camino” non prescinde cappa e chi lo spazza, trattandosi di un sentiero, cammino; “oso” vuol dire orso e non osso (hueso).
Sempre in Spagna, chi lavora in una “oficina” (ufficio) è un impiegato; ma se la F raddoppia e diventa una officina italiana, in tal caso si dice “taller”. In una eventuale discussione, se uno spagnolo “contesta” non vuol dire che stia ricorrendo alla violenza verbale: si limita soltanto a rispondere (contestar). Una “maleta”, essendo una valigia e non una maglietta, può non essere cambiata tutti i giorni e non indossandola si resta “nudo”, ma in italiano; perché in spagnolo diventa “denudo“. Infine, nel fare il filo a una ragazza spagnola, il giovanotto italiano si comporti correttamente, soprattutto evitando che alla fine del corteggiamento costei si ritrovi “embarazada”: in tal caso, oltre che (probabilmente) imbarazzata (che in spagnolo si dice “avergonzada”) la signorina è (soprattutto) incinta.