Venerdì 11 Ottobre 2024 - Anno XXII

Iran, tra gli adoratori del Fuoco Sacro

Yazd panorama-foto Emesik

La città di Yazd, al centro della Repubblica islamica degli ayatollah, è la “capitale” di una setta che non è affatto musulmana. La compongono i fedeli superstiti dell’antica religione di Zoroastro. In un loro tempio arde una fiamma accesa due millenni e mezzo fa

Yazd
Yazd

Una città grande come Firenze, ma piazzata a mille e duecento metri di altezza come Cortina e assediata dal deserto come Timbouctou. Una città di umili case basse, spesso segnate dai terremoti, che non sta in Toscana, né sulle Dolomiti, né in Sahara, ma nell’Iran Centrale, nel cuore di una conca cinta da alture e disegnata da rocce ocra. La chiamano Yazd. In Europa è nota per i suoi tappeti e la sua seta, fra le migliori del mondo; in Iran perché c’è nato l’ayatollah Mohammad Khatami, che fino a tre anni fa era presidente della Repubblica.

Fra gli antichi adepti i Re Persiani e i Re Magi di Betlemme

Il Fuoco Sacro che arde senza spegnersi - Foto Adam Jones
Il Fuoco Sacro che arde senza spegnersi – Foto Adam Jones

Un tempo questa strana religione, chiamata Mazdeismo, era diffusa in tutta l’Asia Centrale e nel Medio Oriente: gli imperatori persiani che combatterono contro i greci alle Termopili, a Maratona e Salamina, erano suoi fedeli; idem quelli che poi tentarono di resistere all’invasione di Alessandro Magno. Ammesso che fossero personaggi reali e non meri simboli letterari, erano certamente mazdeisti anche i magi di cui parlano i Vangeli, venuti a Betlemme per onorare con oro, incenso e mirra la nascita di Gesù, “messia dei giudei”. Di norma, però, chi sale a Yazd non va in cerca di seta, né tanto meno di santini di Khatami, ma di un’antica setta religiosa che vive lassù. A Yazd la terra è sacra; l’aria e l’acqua idem; ma sacro è soprattutto il fuoco, elemento principe della natura, che nessuno deve contaminare con impurità. Quindi incenerire i rifiuti è impensabile, accendere una sigaretta sconsigliato; cremare i defunti, poi, suona come una bestemmia, ispirata da Ahriman, semidio del male, nemico di Ahura Mazda, dio del bene, creatore e guida del mondo.

Zoroastro, il messia del “Fuoco”

Yazd Il Tempio del Fuoco
Yazd Il Tempio del Fuoco

A predicare il culto di Ahura Mazda era stato Zoroastro, alias Zaratustra, un santone nato in Media (l’attuale Kurdistan) circa sei secoli avanti Cristo. Si era ritirato nel deserto, per studiare il cielo e meditare; poi aveva dato ai suoi fedeli un libro sacro, l’“Avesta”, che riassumeva la sua visione del mondo: un’eterna lotta tra bene e male. Infine aveva raccomandato di osservare le stelle e di venerare il fuoco, massima espressione terrena della potenza divina. E il culto del fuoco dilagò rapidamente, favorito anche dall’espansione persiana. Durò mille e duecento anni; poi in Asia arrivò l’Islam, che soppiantò la religione precedente. I mazdeisti irriducibili, ridotti a una piccola setta, si ritirarono in India e nell’Iran centrale, dove sono tuttora. Ed entrarono nella leggenda: di loro parlò Marco Polo, che settecento anni fa passò da Yazd per andare in Cina; e più recentemente tornarono sul tema Emilio Salgari, che agli “adoratori del fuoco” dedicò un racconto (“La torre del silenzio”) e il filosofo Friedrich Nietzsche, che in un saggio (“Così parlò Zaratustra”) piegò il Mazdeismo in funzione pre-nazista.

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Uomini senza baffi e donne senza chador

Yazd Le Torri del silenzio - foto Julia Maudlin
Le Torri del silenzio – foto Julia Maudlin

A Yazd, però, i seguaci di Zoroastro smettono di essere personaggi letterari ad uso di romanzieri e filosofi per ridiventare persone reali. Riconoscerli è facile: gli uomini usano radersi con cura il volto, evitando gli onnipresenti baffi iraniani e le donne non portano il chador, ma abiti ricamati e fazzoletti in testa. Incontrarli è ancora più facile: in centro c’è il loro tempio più frequentato, l’Äteshkadé, dove un fuoco sacro arde senza sosta da duemila e cinquecento anni; e in periferia ce n’è un altro, il Ghal’é-yé Asadan, con un fuoco poco più che ventenne. Entrare al Ghal’é-yé Asadan non è semplice, se non si è fedeli di Ahura Mazda. All’Äteshkadé, invece, non ci sono problemi: anche l’ “infedele” è benvenuto, purché sia rispettoso e lasci una piccola offerta. Superato un giardino verdissimo, che fa da anticamera, si entra in una sala con pareti e pavimenti di marmo; in fondo c’è l’altare col fuoco sacro; ai muri laterali sono appesi ritratti di santoni vari, tra cui spicca ovviamente Zoroastro. La nota dominante è il silenzio: un silenzio surreale, che trasmette un profondo senso di pace.

Cadaveri “impuri”, affidati agli avvoltoi

Chak Chak
Chak Chak

Più vicina (quindici chilometri) e più scioccante, è la seconda meta: Dakhmé-yé Zartoshti, una coppia di colline dove fino a pochi decenni fa i fedeli mazdeisti portavano i loro morti, dandoli in pasto agli avvoltoi. Riferita così, quell’usanza suscita orrore. Eppure la sua origine è quasi poetica. Ma per conoscere davvero gli ultimi zoroastriani non basta visitare il tempio del fuoco bimillenario: occorre raggiungere almeno altre due mete, entrambe fuori città. La più lontana (cinquantadue chilometri) è Chak Chak, un santuario di montagna dove una volta l’anno, in data variabile, si dirigono affollati pellegrinaggi, con celebrazioni che durano dieci giorni. Come detto, per la dottrina di Zoroastro la cremazione è un peccato grave, perché inquina il fuoco (sacro) con un cadavere (impuro). Ma poiché sacre sono anche la terra e l’acqua di falda, seppellire i morti è pure riprovevole, perché inquina entrambe. Dunque, l’unica soluzione che resta è riciclare i morti in nuova vita, affidandone le spoglie alla natura, cioè appunto agli avvoltoi. Così è, se vi pare. Anzi, per dirla con Nietzsche, così parlò Zaratustra.

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I “compromessi” con L’Islam attuale

Yazd foto Mohammad Hosseini
Yazd foto Mohammad Hosseini

Ci si chiederà come può convivere una religione simile con una republica islamico-integralista come l’Iran degli ayatollah, di Ahmadinejad e della sharia, la legge coranica promossa a codice dello Stato. Certo, la coabitazione non è (e soprattutto non è stata) facile: non lontano dall’Äteshkadé una moschea trecentesca (Masjed-è Jame’) nata sulle rovine di un tempio del fuoco, ricorda antiche lotte di religione. Ma col tempo un modus vivendi si è trovato: oggi i mazdeisti hanno libertà di culto e una rappresentanza fissa in Parlamento. Anche per i defunti si è concordata una soluzione: per salvare dall’inquinamento il fuoco è stata introdotta la cremazione elettrica. In alternativa si applica l’inumazione in loculi rigorosamente sigillati, invece della sepoltura in un lenzuolo, prevista dal rito musulmano. Così anche la sacralità della terra e dell’acqua è rispettata. E sulle “Torri del Silenzio”, cioè sulle due colline-cimitero di cui si diceva, gli avvoltoi non volano più: se ne sono andati tutti più a sud, dove greggi nomadi pascolano nella steppa che precede il deserto.

Mazdeismo in via d’estinzione?

Zoroaster

Durerà? Forse non per molto: la comunità zoroastriana è in calo demografico quasi costante. Oggi a Yazd i fedeli di Ahura Mazda non sono più la maggioranza degli abitanti: secondo stime ufficiose sono rimasti in dodici-quindicimila, troppo pochi per garantire un futuro alla loro religione. Se la tendenza continuerà, il culto del fuoco potrebbe estinguersi entro due generazioni. E la fiamma bimillenaria dall’Äteshkadé potrebbe spegnersi. Eppure, anche se ciò avverrà, il Mazdeismo non sarà morto, perché ha già trasmesso il suo Dna ad altri. Pensateci: Ahriman, lo spirito del male che si contrappone ad Ahura Mazda, dio del bene, non è altro che un antenato del Satana della tradizione cristiana, mediato attraverso l’Ebraismo. E la storia umana vissuta come lotta tra male e bene è un concetto radicato nella nostra cultura: così radicato che ci sembra ovvio. Eppure non sempre fu così: l’Ebraismo delle origini non prevedeva un demonio, figura che fu introdotta solo quando gli Ebrei, deportati a Babilonia e poi assorbiti nell’Impero persiano, conobbero le idee di Zoroastro. In quest’ottica, la visita a Yazd acquista un nuovo significato. Non si tratta più di andare in cerca di una setta in via di estinzione, equivalente cultural-religiosa di ciò che il panda rappresenta per i naturalisti. Lassù, in quella città di montagna ai margini del deserto, ci sono in qualche modo anche le radici del mondo cristiano: non a caso i Vangeli narrano che Gesù iniziò la sua vita pubblica sfidando Satana nel deserto. Forse gli evangelisti non se ne rendevano conto, ma ripetevano un racconto già fatto: così aveva parlato Zaratustra.

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Notizie utili

Documenti – Passaporto valido almeno sei mesi, con almeno due pagine libere e privo di visti israeliani; visto per l’Iran che si ottiene all’Ambasciata (Via Nomentana 363, Roma, telefono 06 86215287) o al Consolato (piazza Diaz 6, telefono 02 8052615). In alcuni aeroporti (ad esempio a Teheran o all’ingresso nel Paese) si può ottenere il visto per sette giorni di permanenza, ma occorre portare foto.

Vaccinazioni – Nessuna obbligatoria; consigliata la profilassi antimalarica. Norme doganali – Vietato importare alcolici e stampa pornografica; somme superiori ai 1000 € vanno dichiarate all’entrata; ci sono limitazioni all’esportazione di tappeti di grandi dimensioni.

Fuso orario – Tre ore e mezza più che in Italia.

Elettricità – Corrente a 220 volt, spine tipo C (europee a 2 poli).

Lingua – Farsi (ufficiale) e inglese (turistica).

Moneta – Rial (IRR), cambiato a circa 1 € per 14.000 IRR.

Viaggi organizzatiKel 12 (via Morone 6, Milano, telefono 02 281811; www.kel12.com
I Viaggi di Maurizio Levi (via Londonio 2, Milano, telefono 02 34934528; www.viaggilevi.com

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