Dalla “andanada”, la corsa dei tori è un’altra cosa!
Ore 18.30 del 7 luglio, San Fermìn. Corrida. Si è riusciti a trovare una “entrada” (biglietto) nella proletaria “andanada” (piccionaia: la Casa de la Misericordia, padrona della Plaza e organizzatrice della Feria del Toro, devolverà sì i guadagni ai meno abbienti navarros, ma, se si parla di prezzi per vedere una corrida, di misericordia verso gli aficionados ne riserva ben poca). Ma la piccionaia della Plaza di Pamplona non ha niente a che vedere – tanto per fare un esempio – con il civile loggione del Regio di Parma. In questa bolgia “pamplonica” se non sei appollaiato sullo scalino della fila più alta puoi solo aspettarti sulla schiena ogni sorta di liquido (e pure di solido: anni fa una mia amata, molto chic e snob, si girò sorridendo verso i ciucchi delle Peñas/club taurino/musicali e si ritrovò sul musino un megapanino contenente un’abbondante razione di spaghetti alla bolognese).
Non per niente “El Pana” si presenta al mio cospetto indossando una sorta di scafandro artigianale composto dai neri sacchi di plastica della spazzatura. Una visione invero edificante di un abitino da corrida forse eccentrico ma almeno utile: tant’è che il sottoscritto, privo della citata protezione, a fine corrida si ritrova inzuppato di tutto non meno che disperato.
Sorrisi e foto (con barba) al Cafè Iruña
Ore 16 del 6 luglio. Dopo quattro ore (otto birre e tapas varie) di attesa al Cafè Iruña (domicilio diurno del mitico Hemingway – e forse perché influenzati da questa chicca storica e dalla mia barba molti Sanfermineros mi scoprono sosia del grande Ernest, chiedendomi pure di posare per una foto ricordo -) ecco apparire “El Pana” e i suoi eccitati compañeros, più simili a violacei fantasmi espulsi da un mosto che a giovanotti perbene della sana provincia monferrina. Quel che resta del giorno viene speso girando da un bar all’altro, non scelto per decisione propria bensì imposto dal movimento ondoso dei festeggianti.
Né potevo guadagnare la cuccia, che (come già informato) trovavasi a nove chilometri da Pamplona: le due auto della spedizione erano infatti gestite dai giovani amici, gli autoservizi risultavano rari, i taxi introvabili. Un incubo, alleviato da birre, vini e Pacharàn (tipico liquore navarro molto inciuccante) ma reso drammatico da un tragico male ai piedi (mica scemo Hemingway – e poi pagava il giornale – che dormiva in città).
Distrutto, ma felice. Al prossimo anno, Pamplona!
Ore 22 del 7 luglio. Di essere portato dagli amici o di trovare un mezzo di trasporto per giungere nel letto del lontano Agriturismo che ci ospitava, non se ne parla nemmeno. Morale: sbatacchiato nell’onda d’urto dei giovinastri festeggianti San Fermìn, non ho altra scelta che vagare per bar fino all’alba con i miei baldi amici monferrini. Evviva il sole del nuovo giorno! Ore 9 dell’8 luglio, Pamplona. Pressoché totalmente distrutto vengo deposto su un bus per Zaragoza e di lì volo a Bergamo. Puzzo ancora di vino, forse faccio schifo. Ma anche quest’anno sono stato a Pamplona. A correr los toros. (6/8/09)
(terza e ultima puntata)