Racconto al mio amico Paolo che sto partendo per il Cile. Lui prontamente mi informa che da quelle parti c’è una località da andare a visitare. Si tratta di Capitàn Pastène dove oltre a fare i prosciutti come dio comanda, confezionano pure i tortellini e li servono in un ristorante dal nome (ovviamente) italiano.
Paolo precisa inoltre che ha letto questa “chicca”, non solo palatale ma anche storico-sentimentale, un paio d’anni fa su una rivista di viaggi. E aggiunge che forse la possiede ancora. Dopodiché la sua cocciuta testa romagnola si scatena nella ricerca dell’articolo sugli epigoni gastronomici dell’emigrazione emiliana nel Cile. Proprio alla vigilia della mia partenza per il Paese sudamericano lo scova e me lo consegna.
Volo “lungo”, letture… istruttive!
Tredici ore di volo (no stop da Madrid a Santiago, e se l’Iberia – facendo sua e rivisitando la battuta dell’imbonitore all’ingresso dello zoo del Circo “…più gente entra, più bestie si vedono…” insiste nel ridurre sempre più gli spazi e le dimensioni delle “si fa per dire” poltrone, va a finire che la prossima volta devo lasciare a casa una chiappa); tredici ore di volo, dicevo, sono invero tante: roba da mettersi a leggere financo il passaporto pur di passare il tempo.
Ultimata la consultazione del documento di espatrio (avente la precedenza sugli altri stampati perché in Italia, almeno quello nuovo elettronico, è spaventosamente caro e avendoci speso ottanta euro per poterlo intascare, vuoi non sfruttarlo anche per passare il tempo?) mentre volo sull’Equatore (una volta si avvertiva, ancorché non si facesse baldoria come sulle navi) passo alla lettura dell’articolo gentilmente portomi da Paolo. Ed è proprio vero (come si dice: “lo dice il giornale!”) aveva ragione l’amico!
Capitan Pastène, scampolo d’Emilia in Cile
In una località del Cile (per l’esattezza Capitàn Pastène, meno di tremila abitanti e per la precisione geografica centodiciannove chilometri a nord-ovest di Temuco, provincia di Mallevo, e a meno di settecento da Santiago capitale del Paese) una buona fetta della popolazione (secondo la rivista l’ottanta per cento) è composta da discendenti di emigrati emiliani che verso il 1904, trasferendosi pressoché contestualmente, diedero vita a una benemerita colonia con ascendente modenese. E quest’ultima precisazione (perfezionata, aggiungendosi che gli emigrati provenivano dall’Appennino modenese, più esattamente Pavullo nel Frignano) è estremamente rilevante perché, abbinata al vieppiù importante dettaglio che tuttora a Capitan Pastène si coltivano le antiche non meno che meravigliose tradizioni gastronomiche culinarie emiliane (per il volgo, fanno ancora i prosciutti e i tortellini come il dio emiliano comanda) trasforma tutta ‘sta vicenda in una “Vera Notizia”!
Capitàn Pastène, “ragassole” del prosciutto e dei tortellini
A quel punto non occorreva nemmeno più dirottare lo sguardo dalla magica coscia suina! Avevo già capito tutto, ero a Capitàn Pastène, o quantomeno (vabbè) in subordine (mica si può aver tutto dalla vita) nello stand della mèta che avevo ormai escluso di vedere. Nemmeno in versione prosciuttesca e tanto meno tortellinare, perché, esauriti baci e abbracci con le due standiste emilio-cilene (al secolo Mabel Flores Cantergiani e Genny Fulgori Venturelli) mi vengono pure mostrati (mo vèh!) dei gran bei Turtlèn.
Sopiti un filino gli entusiasmi sorti dall’incontro, Mabel mi spiega tutto sul suo Porsùt “Montecorone” e Genny mi racconta che c’è da dormire nel suo Hospedaje dopo una bella cena (indovinate mo bèn quèl ca’s’màgna) nel Ristorante L’Emiliano. A Capitàn Pastène. Le due “ragassole” mi han detto: hasta la vista; anzi, arrivederci. Chissà.
Le “sorprese” della Feria de Frutillar
E vabbè, niente Capitan Pastène. E con questo cruccio mi ritrovo a Frutillar, bella località sul lago Llanquihue (regione de los Lagos, che meraviglia quel vulcano Osorno che più conico e innevato non si può!). Lì si svolge una sorta di Fiera del Turismo del Sud America, la cui ancorché breve visita da parte mia è contemplata dagli organizzatori della gita cilena (anche perché costituente una delle motivazioni dell’invito).
Mi appresto pertanto a visitare gli stand fieristici e fatti pochi passi cosa ti vedo? Un prosciutto, anzi, un “porsùt”! Sii!! Non era un normale prosciutto (e dio sa quanta enorme esperienza ho accumulato nel tempo visionando e ispezionando zampe di porcello in ogni angolo del mondo: dal divino ispanico Pata Negra ai grossi Schinken della Foresta Nera); trattavasi bensì di un vero e proprio Porsùt! E dire Porsùt è sinonimo, viene da urlare, di Emilia (sento già frizzar sotto il palato quel bel Lambrusco Salamino del reggiano!)!
Capitàn Pastène, donde està?
Logico pertanto che all’arrivo a Santiago, all’entusiasmo di tornare finalmente in un Paese a me caro, si unisse la speranza di fare un salto financo nel paesone “cilemiliano” o se si preferisce “emiliancileno”. Ho scritto financo perché la mia gita nel Cile, oltre a comportare una lunga durata (sedici giorni) si estendeva dall’estremo sud (Stretto di Magellano, Patagonia-Tierra del Fuego) all’altrettanto estremo nord (Iquique, deserto di Atacama, a due passi dalla Bolivia e il Paese, si sa, lungo e stretto, misurando “verticalmente” ben quattromila e trecento chilometri o forse più).
Pertanto, come avrei mai potuto apparire anche in questo carneade di Capitan Pastène? E i dubbi (sulle possibilità di materializzarmi colà) divennero certezze quando, opportunamente informatomi, mi venne precisato che la sullodata e da poco agognata mèta, oltre a non essere prevista nel mio itinerario (l’avrei soltanto sorvolata due volte) non era nemmeno “dietro l’angolo”, perché trovavasi nella Araucanìa, la regione abitata dai fieri e mai sconfitti Indigenas che riuscirono a far girare al largo persino quei bulli prepotenti dei Conquistadores.