Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Capo di Ponte, il grande “libro” della Val Camonica

Un archeologo appassionato ci guida alla lettura di graffiti e incisioni rupestri rinvenuti cento anni fa nel bresciano. Un salto all’indietro nei riti e nella vita quotidiana dell’uomo preistorico, che fa sgranare gli occhi a bimbi e adulti

incisioni rupestri Uno dei massi di Cemmo, su cui sono incisi esemplari di cervidi e bovidi (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia)
Uno dei massi di Cemmo, su cui sono incisi esemplari di cervidi e bovidi (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia)

L’anno scorso si è celebrato il centenario della scoperta, avvenuta nel 1909 per opera del geologo bresciano Gualtiero Laeng, dei massi di Cemmo: monumentali composizioni istoriate, considerate tra le più pregevoli testimonianze di arte rupestre della Val Camonica. Massi che saranno visibili, ultimati gli scavi ancora in corso, davanti al Museo d’Arte e Vita Preistorica a Capo di Ponte. Permettere ai visitatori di “rivivere la storia” dell’uomo preistorico, in particolare dei Camuni, è lo scopo di tale museo, concepito in particolare per le famiglie e i bambini grazie a un ricco laboratorio interattivo. Capire le motivazioni che hanno spinto l’uomo a incidere sulla roccia, leggere le testimonianze del passato presenti nel territorio, confrontare il mondo preistorico, le sue credenze, i riti, le tecniche, i materiali usati con il nostro: in altre parole, servirsi del passato per rendere comprensibile il presente, legando le domande sul futuro alla conoscenza della storia, è uno stimolante approccio all’archeologia e alla preistoria.

Abbinata, la visita di straordinario interesse a uno dei parchi della Val Camonica che accolgono le incisioni rupestri – tra i quali il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri in località Naquane e il Parco Comunale di Seradina Bedolina – a trent’anni dal riconoscimento da parte dell’Unesco – che li inserì primo sito italiano nella lista del Patrimonio dell’Umanità.

Un lungo cammino evolutivo

Una selce scheggiata
Una selce scheggiata

“Sai cosa faceva l’uomo nel paleolitico?” è la domanda con la quale ci accoglie Ausilio Priuli, archeologo appassionato – che ha scoperto migliaia di figure incise e resti del passato e ancora si emoziona a ogni nuovo ‘incontro’ – nonché ideatore del Museo d’Arte e Vita Preistorica a Capo di Ponte. “L’uomo, all’inizio della preistoria, cacciava: intorno a quattordicimila anni fa in Val Camonica, quando il ghiacciaio che andava all’incirca da Lovere fino al Passo del Tonale si è ritirato, sono giunti i cacciatori provenienti dalla pianura. Intorno al 5000 a.C. i loro sacerdoti-artisti hanno iniziato a tracciare segni sulla roccia, graffiti che continuano a essere realizzati fino all’età storica, fino al medioevo”.

Nostro figlio, di otto anni, non si perde nemmeno una parola, coinvolto dal racconto dell’archeologo. Altro che libri di testo.

“Vuoi provare a scheggiare la selce?” – interroga l’archeologo. Con un colpo secco ricava lame e lamette, taglienti come un rasoio. “Ora prova a tagliare una ciocca di capelli, anche gli uomini preistorici usavano la selce a questo scopo, come anche per ricavarne punte di frecce, pugnali e lance.”

Pannelli, calchi, rilievi e fotografie aiutano nel Museo a ricostruire la storia e la vita materiale e spirituale dell’uomo preistorico e in particolare dei Camuni; ma sono soprattutto le prove pratiche a entusiasmare i bambini.

Vivere la preistoria

incisioni rupestri Cemmo, panoramica dell'area archeologica (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia)
Cemmo, panoramica dell’area archeologica (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia)

“Vivere la preistoria è possibile cercando di ripercorrere, per gradi, le esperienze fatte nel passato” continua Priuli “in questo momento sto ripetendo i gesti dell’uomo preistorico come se stessi usando la macchina del tempo”. Per capire esattamente come e cosa faceva l’uomo preistorico, oltre a imparare a rilevarne le incisioni rupestri, si utilizzano i suoi strumenti, fedelmente riprodotti, in dimostrazioni di archeologia sperimentale: come lavorare l’osso, plasmare l’argilla, costruire armi, accendere il fuoco con la pietra focaia, forare il legno e la pietra con il trapano a volano, battere una lamina di rame, filare, tessere. Con il fuso si ricava il filo dalla fibra di lino, con ventiquattro fili si ottiene una corda per l’arco, con un telaio, realizzato tagliando la pietra con la punta di selce, la stoffa.

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“Nel paleolitico l’uomo, che aveva una vita media di trentacinque anni, lavorava un’ora al giorno, nel neolitico due ore abbondanti, con l’avvento della metallurgia quattro ore, il tempo rimanente era dedicato alla ritualità, al gioco, al racconto mitologico. Pensa, oggi lavoriamo molto di più”.

L’Archeodromo

incisioni rupestri La ricostruzione del villaggio neolitico
La ricostruzione del villaggio neolitico

A breve distanza dal Museo, in prossimità della pieve di San Siro – capolavoro dell’XI secolo tra i più pregevoli esempi romanici in Lombardia, dedicata al vescovo del IV secolo San Siro, cristianizzatore delle Alpi – ecco l’Archeodromo, primo esperimento in Italia di ricostruzione archeologica di un villaggio preistorico del tardo neolitico, realizzato nel 1990 dall’archeologo Priuli sulla sommità di una collina rocciosa, dominante l’estesa valle di origine glaciale: splendida la vista che si gode oggi dall’alto sul fiume Oglio, su Pizzo Badile camuno, sul massiccio dell’Adamello con Pian della Regina e sul monte Concarena. Per comprendere come potesse svolgersi la vita di un gruppo umano almeno 6000 anni fa, si esplorano sei capanne in legno, vimini, paglia, canne, pelli e argilla di dimensioni tali da ospitare famiglie estese, arredate con giacigli di erba secca e pelli, con focolari sui quali pendono le pentole di argilla.

“Nel neolitico il clima era subtropicale, la popolazione viveva all’aperto” spiega l’archeologo “le capanne venivano edificate in posizione arroccata e facilmente difendibile, predisposte per famiglie estese con anche venti componenti, in un villaggio abitato da circa cento persone. Intorno erano foreste immense ma anche campi coltivati.” Anche nell’Archeodromo è possibile ripetere i gesti dell’uomo del passato: tirare con l’arco, usare i colori naturali, accendere il fuoco, macinare il grano, impastare la farina, cuocere il pane, utilizzare le trappole per animali. Già, perché – sostiene Priuli – “la sperimentazione archeologica consente soprattutto di capire come ‘pensava’ l’uomo preistorico”.

Un museo a cielo aperto

incisioni rupestri Un esempio di incisione rupestre rinvenuta in Val Camonica
Un esempio di incisione rupestre rinvenuta in Val Camonica

La Val Camonica è un enorme museo a cielo aperto. Trecentocinquantamila incisioni rupestri raccontano una storia plurimillenaria: non esiste una concentrazione così alta al mondo come in questa valle favorita dalla presenza di rocce levigate dai ghiacciai di Wurm, assai adatte a essere incise. “Realizzate esclusivamente da sacerdoti-artisti, le incisioni rupestri erano una sorta di preghiera” spiega Priuli a nostro figlio “un sasso per l’uomo preistorico era un elemento vivo, che aveva uno spirito; l’uomo aveva bisogno di comunicare con le forze della natura. Ecco perché troviamo tanti sassi incisi in questo luogo sacro, meta di pellegrinaggio anche da molto lontano, persino dall’attuale Monaco di Baviera, cioè dal centro dell’odierna Europa” continua l’archeologo “le più antiche manifestazioni sono costituite dai bovidi di Mezzarro, realizzate dai primi cacciatori che circa quattordici mila anni fa giunsero nella valle. Nel mesolitico si tracciavano raffigurazioni dinamiche di animali in funzione della caccia, mentre con l’avvento dell’agricoltura fece la sua comparsa l’uomo in figure schematiche, simboliche, dal grafismo essenziale. Con l’avvento del rame le rappresentazioni divennero più complesse e monumentali con uomini, carri, animali domestici e selvatici, oggetti ornamentali associati spesso a simboli solari: armi quali asce, alabarde, pugnali, spade. Ma è l’età del Ferro – molto importante in Val Camonica dove si trovava grande abbondanza di minerali di ferro – il periodo più fecondo per l’arte rupestre camusa, al punto che circa l’ottanta per cento delle immagini che oggi conosciamo nella valle appartiene a quell’epoca; la stragrande maggioranza tra il periodo di influenza etrusca e la romanizzazione del territorio. Anche in età romana si continuò a incidere sulle rocce, fino a quando con l’avvento del cristianesimo cominciarono ad apparire soggetti e simboli della nuova religione. La tradizione di incidere non venne meno nemmeno nel medioevo e cessò solo quando il Concilio di Trento proibì la pratica del culto delle acque, degli alberi e delle pietre.”

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I parchi di Seradina Bedolina e Nazionale di Naquane

Rosa camuna (Foto: Luca Giarelli)
Rosa camuna (Foto: Luca Giarelli)

Abbinata alla visita del Museo e dell’Archeodromo eccone un’altra – da preferire senz’altro guidata – a uno dei vicini parchi che accolgono le incisioni rupestri, da trent’anni nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco: noi abbiamo scelto il Parco Comunale di Seradina Bedolina, con oltre un centinaio di rocce incise e il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri in località Naquane, che ospita graffiti dal Neolitico all’epoca storica. Quest’ultimo, aperto nel 1955, tutela uno dei più importanti complessi di rocce incise della valle, visibili seguendo cinque diversi percorsi nel bosco. Tra le testimonianze più importanti sono la roccia n. 1, la più grande, dove si apprezza per esempio la rappresentazione di un rito di iniziazione di una donna con una figura femminile attorniata da altre donne in atteggiamento di danza; la roccia n. 50, con la particolare scena degli oranti, e la roccia n. 35 con inciso “l’uomo che corre”.

Il Parco di Seradina Bedolina, costituito nel 2005, non è solo un parco archeologico – che ha restituito l’incisione della “Rosa camuna”, divenuta nel 1975 l’emblema della Regione Lombardia – ma rappresenta anche un piccolo ecosistema con un microclima che ha permesso lo sviluppo di particolari specie vegetali: il percorso di visita immerso nel tipico bosco alpino. Di particolare importanza, in un’area del parco intensamente incisa con figure databili a cavallo dell’Età del Bronzo (2000 a.C.) e l’Età del Ferro (1000 a.C.) la roccia n. 21, in cui sono rappresentate capanne, armati e un’iscrizione in caratteri nord-etruschi (IV-I secolo) e la roccia n. 18, con una serie di coppelle, incisioni tondeggianti, eseguite da gente comune. In località Cedolina, interessante la cosiddetta “roccia della Mappa”, raffigurazione topografica dell’Età del Ferro.

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Leggere la Roccia Grande

incisioni ripestri La grande roccia n° 12 di Seradina (Foto: Archeocamuni)
La grande roccia n° 12 di Seradina (Foto: Archeocamuni)

Alla Roccia Grande (la numero 12) la più istoriata di tutto il Parco Comunale di Seradina Bedolina, si può passare l’intera giornata, tanto è ricca di incisioni e tanto complessa ne è la lettura. “Cosa vedi?” chiede l’archeologo, abituato ai bambini che lascia camminare a piedi nudi sul roccione, a nostro figlio che sgrana gli occhi. “Osserva quella grande quantità di puntini: è la rappresentazione di un campo coltivato e sai perché lo disegnavano? Per propiziarne la fertilità. Vedi questa scena di lotta? Era incisa per garantire ai guerrieri coraggio e vittoria in combattimento. Rappresentare un episodio di caccia o un animale con il corpo trafitto da lance o frecce era anch’esso un modo per appropriarsi della sua forza. Questa invece è una raffigurazione schematica di una capanna. Osserva anche la tecnica, non è sempre la stessa: si parla di incisioni rupestri ma in verità si tratta di graffiti, incisioni per graffi ripetuti o incisioni picchiettate. Le incisioni picchiettate sono le più numerose ed evidenti, eseguite con strumenti in pietra per percussione diretta, generalmente con ciottoli di fiume facilmente impugnabili e più duri della roccia che andavano a incidere. I graffiti invece erano realizzati con uno strumento appuntito in pietra (in metallo dopo l’avvento dei metalli) che lasciava un segno sottile e perciò spesso più deperibile e oggi di difficile lettura.” Non si ferma l’archeologo e porta l’attenzione di nostro figlio su disegni sempre diversi, accostati, sovrapposti, intersecati, non facilmente identificabili senza l’aiuto di un esperto.

Disegni e graffiti vivi

incisioni rupestri Una scena di aratura (Foto: Archeocamuni)
Una scena di aratura (Foto: Archeocamuni)

“Adesso guarda il sole, che veniva rappresentato in vari modi: era assai importante, sia perché la zona non era molto soleggiata, sia perché vi erano stati osservati specifici fenomeni astronomici. In questo caso è raffigurato sotto forma di ruota, visto che all’epoca gli uomini lo concepivano come un grande carro infuocato che attraversa il cielo. Ora guarda qui, puoi distinguere facilmente alcuni disegni di mani e di piedi e schematiche rappresentazioni antropomorfe. Se trovi il cavallo, possiamo collocare il disegno intorno al 1100 a.C., quando venne introdotto l’uso di questo animale che fu poi una delle figure più ricorrenti, generalmente cavalcato da guerrieri e cacciatori di cervi. Possiamo continuare a cercare: duellanti, cacciatori, camosci, stambecchi, cervidi, scene di aratura, carri a quattro ruote, bovini, utensili: su questa roccia levigata dal ghiacciaio ci sono un migliaio di figure incise che risalgono dal 3000 a.C. (circa) alla piena romanizzazione”.

Grande la soddisfazione di nostro figlio che passa di disegno in disegno senza fretta. I bambini, si sa, danno il ritmo in viaggio: meglio soffermarsi su una sola roccia piuttosto che puntare a vederle tutte senza vedere niente.

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