Ricordi del passato e un occhio al presente
Stavolta, di nuovo a Buenos Aires, 32 anni dopo, non ho fortunatamente bisogno di “entradas” (eppoi anche gli accorti Luis e Giacomo hanno capito che ormai se tenti di mettere le mani nel calderone dei biglietti calcistici rischi di bruciarti l’intero braccio) ma un tetto, info e dritte per far le cose in fretta, sì (mi fermo infatti soltanto una manciata di ore, in transito verso la garibaldina Montevideo). Eppertanto tampino l’Anamaria, seconda generazione “de los Zanone”, che mi dice dove andare e cosa fare dalla tolda della milanese Latintour (che poi sarebbe l’Eurotur da questa parte del Charco, pozzanghera, nomignolo “cariñosamente” riservato dalle ispaniche genti all’oceano Atlantico).
Ed eccomi a Ezeiza, la Malpensa di Buenos Aires, dopo undici ore di volo Iberia da Madrid (escludenti qualsivoglia piegamento di gomiti e ginocchia, roba da invidiare – quanto a possibilità di sgranchirsi le membra – le acciughe sottolio adagiate in lattina). Da Ezeiza, però, a differenza di Malpensa, si arriva nel centro della metropoli percorrendo una strada più bella, veloce, larga e meglio tenuta della tragica non meno che triste autostrada, si fa per dire, che dalla brughiera lombarda conduce a Milano. Profumo, o per meglio dire, avvisaglie di Pampa.
Una bottiglia “super” per dimenticare
E infine, grande highlite del mio blitz a Buenos Aires, eccomi di ritorno alla Estancia, mitico ristorante in Lavalle, più di tre decenni dopo le mie Mundialegginti serate conviviali con Bearzot “Citì degli Assurri” e il grande – e a me caro – Mago Herrera. E anche stavolta gran magnata di Bife e Asado de Tira, dopodiché nell’acceso entusiasmo del ritorno, dimentico pure di far bene i conti (evidentemente dalla Norma nulla imparai) e sbagliandomi di grosso sul cambio del peso argentino ordino una bottiglia di Malbec Rutini che più o meno mi costa quanto il ricavato di una dozzina di composizioni turistico-letterarie. E vabbè, mi scolo la “boccia”, non per dimenticare la voragine debitoria appena apertasi, bensì per lenire la tristezza provocata dall’imminente partenza da “Mì Buenos Aires Querido”.
(08/04/10)
La Baires sempre viva
Rivisitazione di “Bue”, subito alla Boca, quartiere che più Xeneis di così non si può (Ma se ghe pensu e vedo la Lanterna…) e visto che la Lega ha vinto queste ultime elezioni, salgo sul carro del vincitore commentando che oltre ai partenti per la Merica intonanti “Santa Lucia lontana e’ te”, c’erano pure quelli che cantavano il “Sirio” (dal nome del piroscafo che a partire dal 1906 portò chissà quanti nordici emigranti a cercare miglior “suerte”). E scopro una Boca ripulita, le case del tenero Caminito (“Desde que se fue triste vivo yo…”) ripittate con colori-pastello forse eccessivi ma anche suggestivi, da cui un “barrio” forse un po’ più “turistico” del lecito, almeno appetto ai miei tempi, ma va bene così (dove va la massa è fisiologico che appaia qualche sbavatura disneyana, sennò rieccoci al solito turismo d’élite di quelli con la puzzetta sotto il naso). Non è cambiata l’animazione nella pedonale Florida; quanta gente nei teatri e negli altri locali pubblici di Corrientes (pare Milano, alle 17,23 in via Santa Sofia: il deserto) e davanti alla Casa Rosada i soliti contestatori (solo Peròn riuscì a mettere tutti gli argentini d’accordo, o quasi) che vogliono mandare in galera il presidente di turno (stavolta è una presidenta, in arrivo dalla lontana Patagonia, ma dentro – se hanno ragione i proclami murali – ci deve andare pure il consorte disinvoltamente affarista).