Girava antan una battuta a proposito delle tre cose che non servono a niente e che per la precisione sono: gli auguri di Natale; le balle del papa; l’H di Rho. Sull’inutilità degli auguri e degli attributi papalini lascio la parola ai sociologi e ai vaticanisti. Posso invece dire la mia sul terzo e ultimo oggetto della battuta. Va anzitutto rivalutata l’importanza dell’ “H” di Rho. Questa lettera dell’alfabeto serve infatti per differenziare la Rho lombarda, alle porte di Milano, sede della nuova grande Fiera, dalla meno nota Ro Ferrarese; (ancorché vi abbia avuto i natali Sgarbi, polemico ‘maitre à penser’ della nostra repubblica). E su Ro (senza l’H) trovo giusto e anche interessante spendere qualche riga, beninteso documentata grazie a svariati sopralluoghi e soggiorni allietati da tantissimi piaceri.
Laddove mi riferisco: alla bella non meno che elegante e storica casa di campagna, la Beicamina, del mè amìs Nicola; alle ariose e toniche biciclettate sugli argini del Po. Ma soprattutto alla minor ferocia, rispetto alle zanzare milanesi, dei più umani mini insetti volanti della bassa padana. Questi ultimi, oltre ad attaccarti mediante voli isolati e non in squadriglie tipo Luftwaffe, operano solo in stagione e secondo ben precisi. Sembrano quasi sindacalizzati orari di lavoro. A Milano invece ti ritrovi sbranato 24 ore su 24, all year around, anche in gennaio e financo negli ascensori, che invece a Ro non ci sono.
In riva al Po, tra Serenissima ed Estensi
Il paese che descrivo (circa 3000 abitanti), tra Ferrara e Rovigo, è affacciato sul Po. Nel 1951 si divorò l’antistante Polesine e dicesi che se ci sarà un’altra alluvione ad essere aperti sarebbero stavolta gli argini emiliani. Insieme alla vicina Guarda costituì per secoli la vigile scorta dapprima del Ducato degli Estensi eppoi del papalino Stato della Chiesa. Questo qualora la dirimpettaia Repubblica Serenissima avesse pensato di invadere l’Emilia, non paga delle lombarde Bergamo e Brescia. Siamo (unica eccezione gli argini difensori) in una pianura che più piatta non si può; e credo proprio che a Ro di iscritti al Club Alpino non sia nemmeno il caso di cercarli.
Luoghi descritti da Riccardo Bacchelli ne “Il Mulino del Po”
Domina il Po (definito da Guareschi “Piccolo Padre”) si vive nel nome del grande fiume. Alle elementari, mi dissero, lungo 652 chilometri, poca roba appetto a tanti altri fiumi, ma contentiamoci padanamente di quel che abbiamo. Da cui un paesaggio sul quale si fiondò Riccardo Bacchelli per scrivere il celeberrimo Il Mulino del Po, non tanto un ‘mattone’ quanto un (enorme) ‘macigno letterario’. Diciamoci le cose come stanno, alcuni lo ricordano forse perché decenni fa ‘sceneggiato’ in tivù ma pochi hanno letto (e forse nessuno è mai arrivato alla fine: due palle).
Non perché scrissi tempo fa un articolo su un mulino ricostruito all’ombra del ponte che congiunge Ro a Polesella (chi passa di lì lo visiti, non perde il tempo) ma la vicenda dei Mulini potrebbe anche risultare intrigante (ve n’erano circa 140 nel percorso finale del Po); fecero ad esempio da esselunga per le signore di allora (che andavano a comprar farina una volta la settimana, dopo più di sette giorni appaiono le farfalline) e furono testimoni di due diverse culture gastronomiche (a Ferrara frumento, farina bianca, tortellini, nel Veneto granoturco polenta, con osèi, se c’erano, sennò si emigrava).
Sagra della Miseria, ricordando le carestie di un tempo
Già, la gastronomia, un nome che non mi va, meglio dire Cucina, soprattutto in queste terre che la fame l’hanno patita abbastanza, talché nella vicina Romagna il grande Olindo Guerrini (o se si preferisce Lorenzo Stecchetti) scrisse “Come far da mangiare con gli avanzi” (un gran bel libro, per favore leggerlo). E fu così che in tanto scenario di “sparagninità” contadina, alcuni anni fa inventarono a Ro la Sagra della Miseria (copyright del solito Bacchelli che nel II volume scrisse “… La Miseria viene in Barca…”).
“Il nome” spiega il patron della Sagra, Giuseppe Zagatti, “contiene la memoria di un passato durissimo fatto di privazioni e carestie, a causa delle difficili condizioni di un ambiente in cui terra e acqua ne modificavano continuamente l’assetto e dove il fiume imperversava con frequenti tracimazioni e alluvioni. La Miseria è anche l’occasione per recuperare antiche tradizioni culinarie cadute in disuso per le mutate condizioni di vita”.
Ma ora, è tutta un’altra “Cucina”!
Durante le tre settimane della Sagra (seconda metà d’agosto, primi di settembre) a Ro (ferrarese, quello senza l’H) propongono: Macarunzin dla Miseria (maccheroni della Miseria) – Mnestra ‘d fasò e malintajà (minestra di fagioli con maltagliati) – Pinzìn e salùm (Gnocco fritto detto anche crescentine e salumi) – Sumarìn e pulènta (Somarino con polenta) – Anguila e pès gat frit (Anguilla e pesce gatto fritti) – Caplàz con la zùca (cappellacci con la zucca). E poteva mai mancare la “Salamina ad còdga con purè” (che poi sarebbe la celeberrima Salama da Sugo ferrarese con purè, da gustarsi con qualche fogliolina di prezzemolo)? No per certo!