Ma com’è, quand’è originata tanta nostalgia del Turismo-Che-Fu? Beh, se dovessi usare gli antichi, craxianianti modi di parlare della cosiddetta ‘Milano da Bere’ direi che ‘il discorso sta a monte’ ma credo proprio che non sia il caso di ciurlare nel manico e più tranquillamente confesso che ho pensato al Fu-Turismo in alcune recenti, tranquille vicenduole consumate nel tran tran giornaliero… Passo brevemente a spiegarmi. Per Fu-turismo (per maggior chiarezza ho inserito un trattino) non mi riferisco alla novecentistica corrente culturale di Filippo Tommaso Marinetti (artista genio e sregolatezza) e nemmeno alla recente creazione politica di Gianfranco Fini (politico poco accorto che – dimenticando la nota Legge del Guffanti: Stare Coperti di Dietro e Davanti – aspetta ancora un po’ e il Silvio gli ciula tutti i fedelissimi che aveva formichianamente tirato su uno per uno).
No, Fu-turismo (termine che peraltro ho già inventato ma non ricordo se ne ho depositato il copyright) è per me il Turismo-Che-Fu (quindi defunto, scomparso, d’antan) un altro modo di viaggiare appetto a quello oggidì praticato, di vedere, girare il mondo, e mi riferisco al differente livello dei servizi un tempo prestati, ai rapporti tra il cliente e chi lo organizzava, ai comportamenti del viaggiatore durante la trasferta, all’attenzione riservata (lo shopping non era ancora bisogno e motivazione primaria del viaggio) a luoghi e posti che si visitava (fossero solo hotel o financo semplici bar).
Moderni tourbillon turistici
Il mondo cambia, Panta Rei, tutto scorre, eh sì lo so, e vabbè sono antico, ma per quanto possa incidere (e credo sia pure molto) la tara che va data alla mia anagrafe (per i vecchi, i fascisti, i comunisti e i nazisti, è noto, ‘si stava meglio prima’) è innegabile che “come si viaggiava una volta oggi ce lo scordiamo”. Una dimostrazione? In questo inizio di bimillennio ci spostiamo di più e in più, eppertanto non può che produrre in giro un gran casino turistico, leggi bar e ristoranti pieni, overbooking, guide un tanto-al-chilo, intasamenti sull’autostrade, disagi originati, tanto per capirci, da quella “massa” – vedi le sue riunioni oceaniche, altro che le attuali navi crociera da 50000 cabine e tra poco ci metteranno pure il metrò – tanto cara al diabolico dottor Goebbels, raffinato teorico della propaganda, del lavare il cervello di sempre più gente.
Do you remember El-Qahira (alias, Il Cairo)?
Prima vicenduola. Il Piero Oliosi mi manda una sua foto di una piazza del Cairo. Mi ricordo! Lì c’era (verifico e vivaddio c’è ancora) il mitico Caffè Groppi. Lo dico al Roberto Cossa (pure lui studentesco accompagnatore di viaggi dopodiché creò in tanti anni il colosso Vacanze distrutto in pochi mesi dai Tanzi mediante un neoTurismo di finanza farlocca e apparenza, alla faccia di sudore e palla avanti e pedalare). E col Roberto si ricorda quando, in visita al Groppi coi clienti o con i tour operator dell’Incoming (poliglotti gentiluomini greci o italiani in genere di Alessandria d’Egitto) si respirava una misteriosa non meno che ammaliante atmosfera mediorientale da Agatha Christie e British Empire, profumi coloniali di varia estrazione perché in termini di cultura si parlava più francese che inglese: (Aahh! breve inciso. Piero: adesso la piazza della foto inviatami si chiama Midan Talat Harb; e Roberto: Groppi non era greco bensì ticinese).