Resti romani e restyling contemporaneo
Nel giardino, a lato degli imponenti ruderi, si trova la cosiddetta Porta magica, che dava accesso al giardino segreto della villa del marchese Massimiliano Palombara di Pietraforte, uno dei maggiori alchimisti del Seicento; nella cornice presenta incisioni a carattere alchemico, con simboli in ebraico e in latino. A pochi passi da piazza Vittorio, in via Carlo Alberto, si notano alcuni semplici blocchi di tufo squadrati che sono resti delle mura serviane. Nella vicina via di San Vito, appoggiato alla chiesa dei S.S. Vito e Modesto – di aspetto quattrocentesco ma di origine più antica, documentata già nell’VIII secolo – ecco l’Arco di Gallieno, eretto nel 262 in onore dell’imperatore Gallieno, rifacimento di età augustea della Porta Esquilina, uno dei diciassette accessi che si aprivano nella cinta serviana.
Racconta altre storie la basilica di Santa Maria Maggiore eretta, nel punto più elevato dell’Esquilino, nell’omonima piazza ornata al centro da una delle colonne provenienti dalla basilica di Massenzio. Legata, secondo la tradizione, la sua fondazione a un evento miracoloso (la nevicata in cima al colle il 5 agosto 356) la basilica venne edificata da Sisto III (V secolo) in onore di Maria, ma fu più volte rifatta per volere dei successivi papi. Dietro alla facciata barocca sistemata, come l’interno, da Ferdinando Fuga nel XVIII secolo, nella loggia delle Benedizioni sulla facciata originale della chiesa, si distinguono i pregevoli mosaici di Filippo Rusuti del XIII secolo.
Notevole il campanile trecentesco, che è il più alto della Città Eterna con i suoi settantacinque metri. L’interno della chiesa ha l’estensione immensa e spettacolare della basilica del V secolo – confermata dalla sistemazione settecentesca – e costituisce un’eccellente testimonianza di architettura cristiana primitiva, splendente di colori. Bellissimi i mosaici del V secolo nella navata centrale sopra la trabeazione – che sono tra i piantichi esempi di mosaici cristiani a Roma, ispirati all’Antico Testamento – e quelli, coevi, nell’arco trionfale; pregevoli anche quelli nell’abside di Iacopo Torriti della fine del XIII secolo.
Gli splendori di Santa Maria Maggiore
Di grande pregio il soffitto, attribuito a Giuliano da Sangallo, a cassettoni dorati realizzato secondo la tradizione con il primo oro portato in Spagna dopo la scoperta dell’America e donato da Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia al papa Alessandro VI (1492-1503). Nella deliziosa abbuffata di opere d’arte che la chiesa propone, si notano il pavimento cosmatesco (in gran parte rifatto nel Settecento) la Cappella Sistina, ideata da Domenico Fontana per il papa Sisto V e ornata di stucchi, marmi e dorature, con il sottostante Oratorio del presepe dove si conserva quanto rimane del presepe scolpito da Arnolfo di Cambio nel 1290. Poi la sfarzosa cappella Paolina (in onore del papa Paolo V) con l’immagine venerata della Vergine sopra il ricchissimo altare maggiore e gli affreschi di Guido Reni. E’ bella e dominante anche sul retro la basilica, con l’abside affacciata sulla piazza dell’Esquilino, dove si eleva un obelisco proveniente dal mausoleo di Augusto.
In pochi passi si raggiunge in via Urbana la chiesa di Santa Pudenziana, una delle più antiche di Roma, dedicata a una delle figlie del senatore Pudente la quale, secondo la tradizione, fu convertita al cristianesimo dall’apostolo Pietro. Sorgeva qui l’antica dimora di Pudente, che fu tra i primi convertiti, poi ricoperta da uno stabilimento termale nel II secolo, all’interno del quale verso la fine del IV secolo sorse una chiesa. A parte il pregevole campanile del XII secolo, la chicca è lo spettacolare mosaico della fine del IV secolo (parzialmente danneggiato dai rimaneggiamenti tardo-cinquecenteschi) che si conserva all’interno nel catino absidale, sopra l’altare neoclassico: il Cristo Giudice raffigurato come se fosse un imperatore e intorno gli edifici si presentano quali erano all’epoca della Roma imperiale. Lontano dalla ieraticità bizantina, Cristo ha una plasticità che è romana, le ombre sulle vesti come nella classicità il gusto per i colori vivaci, il senso del movimento: ecco uno dei più antichi mosaici cristiani a Roma, a minuscole paste vitree, interessante per il persistere nella decorazione musiva di elementi caratteristici dell’arte romana.
Via Merulana, la via di un antico Giubileo
Celebre per avere dato ispirazione, con un fatto di cronaca che vi si svolse, a Carlo Emilio Gadda per “Quel pasticciaccio brutto di via Merulana”, uno dei pilastri della letteratura italiana del Novecento, come ricorda una targa all’altezza del numero 268, via Merulana è un trafficato viale cittadino che venne realizzato per il Giubileo del 1575, per collegare le basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore. Lungo la via, nel verde presso largo Leopardi, si trova il cosiddetto Auditorium di Mecenate, edificio in “opus reticulatum” in origine probabilmente un ninfeo, appartenente alla sontuosa villa dell’amico di Augusto (Horti Mecenatis) circondata da ampi giardini, che conserva tracce di pitture. Dalla traversa di via Santa Prassede, si raggiunge l’ingresso della chiesa omonima, preceduta da un cortile (l’antico ingresso su via di San Martino ai Monti, introdotto da un protiro medievale) defilata nel fitto tessuto abitativo e bellissima: dedicata alla figlia del senatore Pudente, Prassede, l’antico “titulus Praxedis” (luogo di culto presso la dimora privata di un protettore della cristianità) documentato verso la fine del V secolo, che acquisì nel IX secolo (822) la forma basilicale a tre navate per volere di papa Pasquale I.
A parte gli affreschi secenteschi, sono i mosaici del IX secolo a folgorare con colori straordinari su fondo oro: nell’arco trionfale, Gesù tra le mura della Gerusalemme celeste con angeli, apostoli e profeti biblici; nel mosaico absidale al centro, Cristo benedicente con sopra la mano di Dio, ai lati San Paolo e San Pietro che presentano rispettivamente Santa Prassede e Santa Pudenziana, sotto Gerusalemme e Betlemme. Di grande suggestione anche il sacello di San Zenone, che si apre lungo la navata destra, la più importante testimonianza dell’arte bizantina conservatasi a Roma; eretto da papa Pasquale I come mausoleo per la madre Teodora, interamente decorato da splendidi mosaici a fondo oro.
Nemmeno un giapponese si incontra in questo percorso, pochi americani, un discreto affollamento solo a Santa Maria Maggiore, sempre frequentata dai pellegrini; per il resto, resti archeologici romani e chiese bellissime quasi sconosciute, frequentate dagli stessi romani solo per i matrimoni. Chi l’ha detto che a Roma bisogna andare al Colosseo?
(17/01/2011)