Mercoledì 24 Aprile 2024 - Anno XXII

La pasta della Brianza

Dalle antiche focacce di farro dei Romani alla “riscoperta” di un cereale dalle molte qualità, coltivato e lavorato nella Brianza delle “fabbrichette”

Il farro, cereale millenario
Il farro, cereale millenario

Conoscete il detto milanese offellée fa el tò mestée? Significa “pasticcere fa il tuo mestiere” ed è un invito a fare ciò che si sa fare bene e a non addentrarsi in altri campi. Un invito all’umiltà e all’operosità, due tipiche virtù brianzole delle origini, troppo a lungo dimenticate.

Offellée viene da offa, la focaccia di farro dei Romani, che era un alimento talmente comune in questa parte della Lombardia, da dare il nome a un’intera categoria di artigiani.

Perfino Agostino, che era stato mandato dal grande Ambrogio a Cassago Brianza per riflettere sulla sua vita dissipata, si innamorò di un dolce di farro, mandorle e miele, poi in suo onore chiamato “dolce di Sant’Agostino”.

Il Farro del duemila; Sant’Agostino apprezzerebbe!

La pasta della Brianza

Dopo mille anni la tradizione del farro torna in Brianza grazie a due pastai di Ancona, Carlo e Carla Latini (www.latini.it) i quali sanno fare il loro mestiere (la loro pasta è una prelibatezza per ristoranti e negozi di gran classe in tutto il mondo) e decidono di riportare in vita questo antico cereale resistente al freddo, coltivato in terra di Brianza prima dai Celti, poi Romani e Longobardi e infine dimenticato.

Il triticum dicoccum – antenato del grano duro, che non ha subito selezionamenti ed è un prodotto originario e non evoluto – è stato seminato da 20 produttori locali in 72 ettari di terreno e con esso sono stati prodotti duemila quintali di pasta di farro al 100% (le altre in commercio ne contengono al massimo il 20 %); leggera e digeribile, essiccata a 45 gradi, mentre le paste industriali vengono essiccate a più di 90 gradi, lavorata con trafile di bronzo, per la gioia del sugo. Su ogni confezione c’è la dicitura “coltivato in Brianza”.

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Le fabbrichette chiudono, così i brianzoli si riconvertono alla terra, riscoprono qualcosa che viene dalle vestigia del loro passato di poveri cristi e lo attualizzano, affidandosi con umiltà e coraggio a forestieri venuti dal sud.

Questa non è pubblicità a un banale prodotto, non lo farei mai. È un piccolo segnale di speranza che va compreso e reso partecipe. (24/01/2011)

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