L’Artista “raccontato” da Lluis Duran
‘Per colpa’ della mia già accennata ‘automobilmania’ passai tante volte da Figueres e in qualche occasione mi fermai anche a mangiare e dormire nel (almeno per me) ‘storico’ albergo, senza però avere la possibilità di intervistare colui che, ‘allora’ figlio del padrone di casa, fu testimone delle vicende umane, ludiche, anedottiche nonché gastronomiche del mio ammirato genio. Ma stavolta (complice anche il Turisme de Figueres, gracies) ce l’ho fatta ed eccomi vis-à-vis con Lluis Duran (e Dalì) nel ristorante (‘come era, dove era’, avrebbe detto D’Annunzio, mentre il resto dell’albergo è stato da poco ristrutturato secondo modernità). E grazie a Lluis Duran (figlio di Lluis, albergatori dal 1855) la curiosità da me custodita viene abbondantemente soddisfatta, con tale interesse da ricordare e riferire quanto l’albergatore catalano ricordava (tramandandolo ai posteri con un a me gradito stampato: “Anecdotas de Salvador Dalì y Gala y el Restaurante Duran de Figueres por su propietario Lluis Duran”).
Tuberose per Gala, amatissima compagna
I Dalì tornarono nell’Alt Empurdà nel ’48 dopo l’assenza durante la Guerra Civile (allo scoppio Dalì era in Italia) e il successivo soggiorno negli States (a New York, dapprima in un umile hotel, eppoi, divenuto Salvador celebre – per farsi conoscere pensò bene di redigere una copia del giornale “Dalì News”, notare la finezza – al sciccoso Saint Regis). Il mio intervistato Lluis Duran (junior) aveva circa 8 anni e ricorda bene le attenzioni di Dalì appetto alla sua Gala (prima di ogni pasto le offriva sempre una tuberosa, suo fiore preferito). Né gli sfugge che Dalì – visti i suoi precedenti un filino repubblicani e l’intellighenzia della Generazione del ’27, che certo non era conservatrice – avrebbe potuto avere i suoi problemi tornando nella Spagna franchista. Ma Dalì, oltre alle sue note stravaganze e a uno spirito mai quieto, doti che solitamente rendono simpatici, sapeva attentamente, detto col linguaggio d’oggidì, coltivare le “pierre”, eppoi a Franco non dispiaceva che qualche artista e personaggio della cultura tornasse in una Spagna a quei tempi emarginata a causa di quanto accaduto tra il ’36 e il ‘39.
La cucina di Dalì: semplice con modi raffinati
Memorabili, ricorda Lluis, le feste che Dalì “montaba” al Duran, tanto improvvisate quanto imprevedibili (e come show tradizionale agli ospiti era riservato il Flamenco dei Gitanos di Figueres). Grande ispiratrice e animatrice delle feste, minimusa di Dalì nonché stravagante personaggio della trasgressione, la chiacchieratissima (pure in Italia) Amanda Lear. Che Duran – un tempo giovane timoroso di dio, oggi serioso albergatore – sembra ricordare senza grandi entusiasmi. Che invece dedica al genio di Dalì (“sapeva disegnare meglio che pitturare”). Ma quali erano le preferenze gastronomiche del celeberrimo cliente, chiedo a Lluis Duran? Beh, da quanto mi racconta l’(ex) giovane amico del Maestro, più catalano di così Dalì non poteva esserlo. Era un seguace di una cucina semplice (con molta attenzione a igiene e salute, retaggio del soggiorno yankee) ancorché fosse sensibile anche alle prelibatezze provenienti dal vicino Mediterraneo (ma chiedeva al Maitre di togliergli le spine ai pesci). Dalì, ha scritto Duran, amava le “Torrades de pa amb all i oli” (pane tostato con aglio e olio, quasi una nostrana bruschetta). Prediligeva la “Sopa d’all amb farigola o menta” (fette di pane secco, aglio, poco olio, un rametto di timo o menta, nel tutto si può sbattere un uovo). E non poteva non gradire la tipicissima specialità locale, la “Butifarra dolça de l’Emporda” (Salsiccia di maiale trattata con zucchero e cotta con cannella e scorza di limone). Anche i grandi Maestri della pittura (è più bello il Cristo di Dalì? O quello di Velelazquez? O quello di Goya?) hanno un palato.
(24/02/2011)