“Che bella… sembra finta!” si dice di un una rosa da concorso. “Che bello… sembra vero!” è il commento per un bel fiore di plastica. Una contraddizione che fa riflettere e non solo sul concetto di relatività del “bello”.
La più che centenaria storia della plastica è fatta di alti e bassi, miserie e splendori. Negli anni Cinquanta arriva dagli Usa: è sinonimo di funzionalità e avanguardia. Una volta diffusa nelle case italiane rivela l’aspetto dozzinale e l’aria da brutta copia di legno, porcellana, ceramica. Con gli anni Sessanta e la pop art, la plastica si pone come l’espressione di un’estetica alternativa e culturalmente avanzata. Bracciali e collane di plastica, dalle disprezzate bancarelle, passano ai colli e ai polsi di eccentriche modaiole.
La plastica cambia “pelle”
Si afferma una concezione: la plastica è “out” quando vuole imitare altri materiali, è “in” quando esibisce senza veli la sua natura “pop”. E sono molti i creativi a utilizzare plastica e affini in questo senso.
Il neoprene delle mute è ormai un tessuto da passerella, Marc Jacobs nelle recenti sfilate di New York ha proposto camicie in cellophane e giacche in gomma. Ed è così che con un “capovolgimento di ruoli”, plastica e affini sono addirittura materia “da imitare”.
È il caso delle borse di coccodrillo di Giosa, storico artigiano milanese, che perdono la rigidità originaria per assumere una morbidezza, anche al tatto, da materiale futuribile; o di quelle in pitone, struzzo e coccodrillo di Zagliani, dall’incredibile effetto gomma.
(24/02/2011)