L’otto dicembre scorso passiamo davanti a un negozio di animali nel centro di Salò. In una gabbia per uccelli (grande, ma non gigantesca) ci sono sette gattini piccolissimi. La loro mamma per qualche motivo ha esaurito il latte e li ha abbandonati. Sono tutti addormentati meno uno, che miagola disperato raspando sul metallo della gabbia. Ci sta dicendo di portarlo via di lì. Ho sempre avuto gatti fin da quando ero piccola, ma non ne volevo più. Si dice sempre così. Ma non si può resistere a un micino bianco e beige che arriccia il nasino rosa per chiamarti. È un colpo di fulmine. Fulmine viene a casa con noi trasferendosi da Salò a Monza. La veterinaria chiama questo genere di felini i “gatti rosa”, proprio perché hanno i polpastrelli, l’interno delle orecchie e il naso appunto rosa. Lei e i suoi colleghi hanno notato che i gatti rosa sono quelli di indole più affettuosa, ed è vero. Fulmine è l’esilarante cucciolo di animale domestico che deve essere. Poi cresce come il solito imbranato gatto casalingo e viziato, e impara la felina (e canina) arte dell’attesa.
Le “presenze” di Fulmine
Come i suoi simili, passa ore e ore nell’attesa del nostro ritorno. Fulmine, che di solito è un tipino lento, onora la rapidità intrinseca al suo nome quando sente qualcuno che gira la chiave nella toppa e si precipita sulla soglia a salutare. Non per ottenere cibo, che è sempre a sua disposizione nella ciotola (la nuova tendenza salutistica nell’alimentazione felina è la crocchetta libera, non più le scatolette, e noi ci atteniamo con scrupolo alle indicazioni del medico dei gatti) ma per suo piacere e nostra gioia. Lui aspetta proprio noi, ogni giorno, di ritorno dal lavoro e dalla scuola. Quando siamo partiti per una vacanza itinerante, abbiamo dovuto abbandonarlo. Sì, l’abbiamo abbandonato. Lui non poteva immaginare quello che gli stavamo facendo, quando l’abbiamo portato in un posto nuovo, l’abbiamo salutato come sempre e ce ne siamo andati.
Tutto come prima
Lui si fidava. D’altronde non avevamo scelta, portarlo con noi sarebbe stato un problema. Cosa pensa un animale abituato ad aspettare quando non vede tornare gli esseri viventi a cui tiene di più, quelli da cui è sempre dipesa la sua vita? Come minimo si butta sotto una macchina, non perché non sa attraversare, ma per pura disperazione. Quando siamo tornati, con grossi sensi di colpa, siamo andati a prenderlo a casa dell’amico a cui l’avevamo affidato durante la nostra assenza. Fulmine ci ha accolto come se fossimo usciti un’ora prima, non di più. Ci ha perdonato, insomma, come fa un essere superiore di fronte a un tradimento. Fulmine è qui con me, mentre scrivo. Adesso ditemi con che coraggio, in un giorno d’estate, si può lasciare una creatura così per strada per poi chiudere la portiera e andarsene tranquilli al mare. (18/07/2011)