Assurda disperazione e fine di un incubo
Rinuncio alla palla, che nel frattempo ha preso una corrente e sta andando veloce al largo. Purtroppo nella stessa corrente ci sono anch’io. Nuoto alla disperata, bevendo, e sento che le forze mi abbandonano. Sulla spiaggia i miei bambini e la mia amica mi guardano, ma non capiscono che non ce la faccio più. Anche se facessi segnalazioni, sono troppo lontana. Si spaventerebbero e basta. Non ce la posso fare, l’arrivo è troppo distante e ho bevuto troppo. Ma com’è potuto accadere che per una stupida palla in pochi minuti sono arrivata a questo punto? È così che si annega? Sì, è così. Non ci credo che sto per morire perché mi sono sopravvalutata, perché ho agito senza riflettere. Un bell’insegnamento, da cui trarrei vantaggio se non mi trovassi qui che sto per inabissarmi. Ma, dopo tutto quello che ho passato nella vita, come posso annegare così, davanti ai miei figli, a cento metri dalla riva? Provo ancora qualche bracciata e chiudo gli occhi, per non vedere più quello che sto per lasciare per una stupida palla da due euro. Inizio a tremare, mi gira la testa. Sto andando a picco, ormai. Poi, disperata, allungo la gamba sinistra e, grazie al cielo, con la punta dell’alluce tocco. Mi trascino sulle punte degli alluci fino alla riva, con un tremito e la faccia cianotica. Mi sento svenire. Per fortuna la mia amica è un medico e mi aiuta. Il pericolo è scampato. È così che ho imparato che stare a cento metri dalla riva ha i suoi indubitabili pregi, ma è meglio non distrarsi. (14/09/2011)