Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

Gujarat, India. Asini e Deserto salato

Assieme ai simpatici quadrupedi, alle meraviglie del Deserto Salato, ecco uno spaccato d’India che potremmo definire “provinciale”, se paragonato alle grandi metropoli. Ma una provincialità ricca di storia, monumenti, religiosità talvolta esasperata. E non mancano i ricorsi ai “Nababbi” e ai “Maharajà”

Gujarat, India. Asini e Deserto salato

 

Come narrato nei precedenti servizi, partito da Ahmedabad, metropoli capoluogo ma non capitale del Gujarat, India occidentale, ho ammirato due magnifici templi, il Rani-ki-Vav (definito ‘pozzo’, ma dentro che meraviglie) a Patan e quello del Sole a Modhera, laddove alcune raffigurazioni osè, anzi sexy, potrebbero turbare il viaggiatore bacchettone (chissà perché, a differenza delle religioni orientali, il nostrano cattolicesimo ha oscurato le parti intime di maschietti e femminucce eppoi criminalizzando quel che ne deriva). Entrambi i sullodati monumenti vantano la stessa antichità (XI° secolo) e tanta arte, a quei tempi circoscritta alla sola Asia (l’Europa stava uscendo dai Secoli Bui con l’umile Romanico).

Cibi vegetariani e niente alcolici

Gujarat, India. Asini e Deserto salato

Meno allegro può risultare, nel Gujarat, il viaggiatore aduso a “innaffiare” (si diceva antan) i propri pasti con un bel bicchiere di Barbera o vabbè, in subordine, qualche sorso di birra. Manco a parlarne (salvo affrontare un lungo iter burocratico, riempire moduli, ottenere nulla osta, poi timbri e firme sul passaporto, dopodiché vai nella camera d’albergo e ti arriva la birretta di cui hai ormai perso la voglia). Perché il Gujarat è (unico in India) uno Stato “dry” nel senso di ‘secco’, rigidamente senza alcolici (ma una volta li ho fregati scolandomi una birra contrabbandata da uno Stato confinante). A ciò aggiungasi che sulle insegne di gran parte dei ristoranti è quasi sempre presente la scritta “Veg”, vetariano (e ci credo, con tutti quei Giainisti, molti Vegani presenti nella regione nonché l’estremo rispetto per le lattifere dei pii hindu). Ne consegue che un nostrano viaggiatore dai normali comportamenti enogastronomici (non parliamo poi se amante di quelle belle “fiorentine” alte tre dita) una gita nel Gujarat se la gode certamente, ma qualche minirinuncia dovrà affrontarla (unico rimedio, ‘fare il pieno’ in arrivo – e un altro Pit Stop alla partenza – sui voli Emirates da e per Dubai: le hostess capiscono il tuo dramma e sorridenti ti recapitano bottigliette a gogò di vini australiani, francesi e californiani).

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A Bhuj, eredità imperiali

Gujarat, India. Asini e Deserto salato

Capoluogo del Kutch è Bhuj, la prima di altre città visitate lungo l’itinerario (Rajkot, Gondal, Junagadh) la cui media grandezza (100, 150.000 abitanti, più grande Bhavnagar, 500 mila) permette di notare facilmente l’influsso politico e culturale anglosassone nei quasi due secoli di presenza british in India. Né va dimenticato che nel Gujarat i funzionari coloniali della regina Victoria, oltre che con le genti hindu ebbero a che fare con governanti e fedeli musulmani. Non si contano le entità politiche islamiche, grandi e meno grandi, che hanno costellato questa regione, tant’è che al viaggiatore capita sovente di pernottare nel palazzo che fu di un Nawab (quanto fascino nella nostrana traduzione: Nababbo) o di un Maharajà (grande principe, sovrano, altra esotica parola evocante Salgari e i misteri dell’oriente).

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