Mercoledì 30 Ottobre 2024 - Anno XXII

Il Museo della Memoria e la casa del Gattopardo

Un tuffo nella memoria di antichi dolori (il terremoto del Belice) così simili a quelli che stiamo vivendo ora. Ma anche una edificante visita alla casa di uno scrittore che ha saputo interpretare con animo “ruspante” le bellezze e i destini della sua terra

Dal film Il Gattopardo di Luchino Visconti
Dal film Il Gattopardo di Luchino Visconti

Il Museo della Memoria e la villa di Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Santa Margherita del Belice, poco distanti l’uno dall’altro, due edifici che attraggono in particolare l’attenzione. La chiesa distrutta dal terremoto, ora risistemata a museo e simbolo del terremoto stesso e l’altro l’ingresso della villa del Gattopardo .

Belice 1968, il sisma e l’uomo

Il Museo della Memoria con i resti della chiesa
Il Museo della Memoria con i resti della chiesa

Il restauro della chiesa è magnifico: da una parte c’è ciò che resta, valorizzato e sottolineato dal cristallo e metallo che sono andati a sostituire la parte mancante. All’interno l’antica sacralità del luogo è rinnovata dalle foto del dolore e della disperazione delle persone le cui vite, il 15 gennaio 1968, sono state cambiate dal sisma. Ora questa chiesa è il Museo della Memoria e, oltre a conservare immagini della distruzione e della successiva ricostruzione, è essa stessa immagine e ricordo di ciò che di male può accadere e di come con creatività e passione (e denaro) si può rimediare ai rivolgimenti della sorte.

Mali conosciuti e gioie ignote

Il giardino di Villa Gattopardo. Foto © Comune di Santa Margherita di Belice
Il giardino di Villa Gattopardo. Foto © Comune di Santa Margherita di Belice

La villa è quella di famiglia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che veniva qui a trascorrere l’estate (il Belice doveva essere per i Palermitani ciò che la Brianza era per i milanesi) e proprio qui ha imparato a leggere e a scrivere. La casa ha un bel giardino e il silenzio delle stanze è interrotto solo dal rumore che fanno certi automi che si muovono in stanze ricostruite a dovere, i quali manichini dovrebbero mostrarci come si viveva qui, da ricchi, alla fine dell’Ottocento.

È tutto molto “gattopardi-ano”, infine. Questa chiesa, in cui il nuovo e il vecchio non sono solo vicini, ma proprio si compenetrano nella struttura portante, forse sarebbe piaciuta al grande scrittore siciliano, come gli piaceva la sua villa piena di silenzio (a chi non piacerebbe una sistemazione del genere?). Santa Margherita fa venire in mente la solitudine, ma una solitudine con tanta luce, che ha in sé qualcosa che in un certo senso è rigenerante, come può esserlo la ricostruzione dopo la distruzione. Viene in mente proprio una frase di Tomasi di Lampedusa: “È meglio un male sperimentato che un bene ignoto”.

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