Lunedì 2 Dicembre 2024 - Anno XXII

Sieti capitale della nocciola

Sieti-paese-albergo-Parco-Monti-Picentini

A Giffoni Sei Casali, sempre con gli amici, approdiamo a Sieti alla scoperta dei borghi della Val Picentina, tra ricorsi storici e più terrene delizie gastronomiche: olio, vino, caciocavallo, melanzane alla parmigiana, nocino e “Cicerenella”

Sieti nocciole
Nocciole di Sieti

Volato Milano-Napoli, poi in auto a Castellabate (panoramico set di Benvenuti al Sud, per me location di una cena con caciocavallo podolico), risalito sul mezzo sono stato trasferito a Giffoni Sei Casali, in uno dei quali, Sieti, pernotto: B&B di una sola camera ma dai magnanimi lombi: un palazzo di un vescovo del ‘400 dal pregevole portale che mi ricorda gli ingressi delle magioni barocche spagnole.

Olive nobili: da Ippocrate a Galeno

Sieti Risotto con le nocciole
Risotto con le nocciole

16 novembre – Sieti è la Capitale della Nocciola

(la latina Corylus Avellana, in spagnolo basta la seconda parola) ma la Borsa della matrigna della Nutella (la presenza delle nocciole non supera infatti il 13% e quanto al patrigno, il cioccolato, sono ahilui mischiati vari additivi ahinoi obesizzanti) si officia a Paestum in un’altra Borsa, quella del (meno calorico) Turismo Archeologico. Prima dell’autotrasporto trovo il tempo per esplorare Sieti e farvi piacevoli scoperte. La più curiosa (già descritta nella prima puntata, ma è tanto l’entusiasmo del neofita), al locale frantoio depongo nella pressa (come dice la pubblicità, ma stavolta è vero) una manciata di olive e ne esce un ben di dio destinato ai miei mangiari (questa è vita). Già, l’olio “Ogni mal toglie”, scriveva nel ‘500 Hernàn Nuñez in Massime e Proverbi e ne erano già certi, da secoli, Ippocrate padre della Medicina (non mancava mai nelle sue pozioni) e il vicepadre Galeno (non ricordo dove lessi che l’olio fu presente in ‘circa’ 373 suoi medicamenti). Ma pensiamo alla salute, perché se si parla di politica e di nostrana gioventù disoccupata, l’è grigia: nel frantoio, delle 4 persone occupate 3 vengono dall’Est Europa e cuccano 40 euro al dì (orario normale) e/o 70 (doppio turno). Mah.

Sieti: le “giuste” intuizioni di Giustino

Sieti La casa di Giustino Fortunato
La casa di Giustino Fortunato

E nella mia minivisita ho anche goduto scoperte più colte e intriganti. Con quel nome, Sieti (che pur non essendo una city si concede il lusso di dividersi in 2 boroughs, Alto e Basso) sembra vantare origini latine (Segetum, per wikipedia coltivazioni a terrazzamenti – siamo a 400 mt slm – ma pare che nella lingua di Virgilio questo sostantivo significhi altre cose, tipo il crisantemo selvatico, un lepidottero e il fiordaliso). È invece ben certo (e più importante) che Sieti – turisticamente definito ‘Paese albergo nel cuore del Parco dei monti Picentini’ – è luogo d’origine (bella la casa di famiglia) della stirpe di Giustino Fortunato, meridionalista che del Sud “capì tutto” già nella seconda metà dell’’800. Purtroppo, nella seconda metà del ‘900, poco interessarono ai politici gli scritti (“Il Mezzogiorno, sappiatelo pure, sarà la fortuna o la sciagura d’Italia”, 1909) di Giustino Fortunato (e aggiungo quelli di Rocco Scotellaro, leggere Contadini del Sud per credere): credevano di risolvere problemi secolari con le lire a pioggia della Cassa del Mezzogiorno, i malaccorti (quando non disonesti) spendaccioni.

Popilia e Pan Biscotto: preziosità locali

Sieti

E a Sieti devo altre piacevoli esperienze gastronomiche oltre a quelle politico– culturali fornitemi dal ricordo di Giustino Fortunato. Perché alla Borsa di Paestum “si lavorava” (virgoletto, non potendo non provare un filino di vergogna – a Milano si dice facia de palta in spagnolo sin verguenza – nell’uso di questo verbo), ma a Sieti si mangiava. Anzi, meglio ancora, si cenava. Al “Popilia” gusto tante specialità indigene sfiziose assai, ma vado con la testa anche al nord mediante ricche melanzane alla parmigiana; e sorseggiando un ineccepibile, digestivo nocino penso a quello concepito nel modenese la notte di San Giovanni (epperò faccio in tempo a ricordarmi che “anche qui hanno le noci” sennò cosa ci starebbe a fare la non lontana Nocera?).

SietiMa se si parla di liquori casarecci, lode massima vada al “Popilia” per la Cicerenella, alias bucce d’arancio e anice, che (per dirla in volgare romanesco) ai sciccosi Grand Marnier e al Cointreau je fanno na pippa. Oltre ad antiche foto di ottocenteschi fuorilegge alle pareti, nocciole (sembra giusto) à gogò al “Brigante”: sugli spaghetti aglio&olio, nel burro mantecato e (sembra ovvio) nei dolci del Galop finale. E in questo ristorante evocante Fra Diavolo apprendo pure l’ennesimo modo per godere quel magnifico dono della natura chiamato pane, senza doverlo cuocere quotidianamente. Ben cotto ‘a biscotto’, doppia cottura, da questa parti si usa affondare il pane secco in vascuotto nell’acqua di un recipiente, lo sponzapane, e dopo breve immersione (dipende dal gusto e dalla capacità) si ha un pane identico a quello comunemente usato a tavola.

Sieti: tracce di storia e di conquista

Sieti Il borgo medievale di Terravecchia
Il borgo medievale di Terravecchia

Ma da bravi professionisti del turismo si pensa anche a viaggiare. Da Sieti (‘un sesto’ di Giffoni Sei Casali) si va nella più mondana (per via del Festival cinematografico) Giffoni Valle Piana e si gode un gran bel panorama della Valle Picentina da Borgo Terravecchia. Un complesso residenziale che possiede tanta storia alle spalle da – come ovvio e giusto – sbandierarla nella promozione turistica (ovvi romani a parte, nel dominante castello vi trascorse un anno Federico II di Svevia, quel colto monarca nato Hohenstaufen–Altavilla, che, chissà, avrebbe potuto fare molto di più per il sud del Belpaese se – come sempre – la Chiesa non si fosse, diciamo, messa di mezzo). E a Torrevecchia ecco l’ennesima traccia della lunga presenza de mi querida España nel meridione d’Italia: nel ricostruito borgo si ammira un ‘palazzo’ di Don Rodrigo d’Avalos, discendente del grande condottiero (almeno per Carlo V) Marquès del Vasto y de Pescara nonché sposo di tale Isabella di Muro di Giffoni. Ma si torna a Paestum, a “lavorare”.

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