Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Karnataka. Mysore terra di sultani

Mysore Palace

L’India è un viaggio nel tempo dove bisogna tenere aperte le porte della mente. L’India è religione, riti, celebrazioni. Ti avvolge con i suoi sari colorati come farfalle e ti accompagna per le strade. Un’esperienza che Paola Pedrini ha fatto con il passo lento del viaggiatore che vuole conoscere e soprattutto capire. “La mia India”, pensieri in viaggio, edito da Polaris

Mysore, la città dei palazzi, della seta e del legno di sandalo

Mysore

“Non so perché ho scelto l’India. Forse perché sono sempre in attesa che succeda qualcosa e questo paese dalle mille sfumature mi sembra terreno fertile per le mie esperienze”.

La mattina partiamo presto per Mysore, la sede storica dei maharaja della dinastia dei Wodeyar fondata nel 1399, tra i primi a dichiarare la propria indipendenza nel 1565 dopo la caduta dell’imperatore Vijaanagar.
Lungo il tragitto attraversiamo “la città dei dolci”, chiamata così per la fiorente produzione di canna da zucchero, e “la città dei giocattoli” per la produzione di giochi per bambini in legno di sandalo. Alloggiamo all’hotel Luciya, in Sardar Patel Road, dove Jose si ferma spesso quando viene a trovare i figli e con un po’ di sconto prendo una camera per 300 rupie, semplice e pulita. Al primo piano c’è un distributore d’acqua filtrata e gratuita e dal piano terra si accede direttamente alla galleria del bazar, un tripudio di colori tra sari, sete e bangles tintinnanti. Il resto della mattinata rimango da sola a gironzolare  per l’enorme bazar, affollato, colorato e profumato di fiori di gelsomino, compro casacche in cotone meravigliosamente decorate in stile indiano e mangio piccoli dolci al cocco per la strada.

MysoreEntro al Jidda Bazar di Mysore, un emporio enorme stipato di tessuti; un ragazzo a piedi nudi mi fa accomodare al piano superiore, ci sediamo in terra a gambe incrociate e, per delizia di tutte le donne, mi mostra una dopo l’altra sciarpe, scialli e pashmine di ogni grandezza e colore, una montagna dì morbida seta da accarezzare, compro un caldo abbraccio pensando al rigido inverno italiano. Jose è andato a prendere i figli al college che frequentano ormai da un anno poco lontano da Mysore, da quando sono ritornati un po’ a malincuore in India. Gea, 12 anni e Manu, 8, sono nati e cresciuti in Italia ma Jose ha ritenuto opportuno riportarli alle loro radici e avere così la possibilità di conoscere la storia e le tradizioni dell’India fino a un’età in cui potranno decidere singolarmente dove e come proseguire la loro vita.

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Mysore Chamudeswari Temple-foto-Bikashrd
Chamudeswari Templefoto-Bikashrd

Mi fermo a mangiare un puri per strada, compro un ananas pulito e tagliato e con un taxi vado a visitare lo Sri Chamundeswari temple sulle Chamundi Hill, colline di 1000 metri che dominano la città di My Sore insieme a un imponente gopuram a sette piani alto 40 metri.
Una fila interminabile di pellegrini è in attesa di entrare ma la loro attenzione è più rivolta a un gruppo di scimmie che dispettose hanno rubato il telefonino a un ragazzo. Proseguendo lungo il percorso si incontra un enorme Nandi, un toro alto 5 metri scolpito nella roccia nel 1659, uno dei più grandi dell’India, meta di pellegrinaggio e completamente ricoperto da uno spesso strato di ghee. Rientro verso le 17 e mi trovo con Jose e i bambini. Manu è timido e si nasconde dietro le gambe del papà, occhi grandi come due nocciole, la pelle scura e levigata, un viso perfetto e lo sguardo intrigante, Gea è bellissima, sembra un’amazzone, il viso allungato come Jose, occhi a mandorla e un profilo che assomiglia molto a quello greco. È elegante, un fascino innato, delicata nelle movenze, gli occhi e la bocca sfumati di nero.

Incensi e saponi di sandalo

Mysore

Ci fermiamo poi lungo la strada e acquisto incensi e saponi al sandalo, molto più profumato e più intenso dell’olio essenziale di sandalo classico. Alle 18 i bambini devono rientrare al Paul International College, li accompagniamo asciugando a Gea una lacrima che le scorre sul viso. Jose mi confida che è sempre molto duro separarsi da loro. È una scuola cattolica con regole rigide e ferree, le visite dei genitori sono permesse solo una volta al mese, le telefonate una volta alla settimana. I bambini non possono portare niente all’interno del college che non sia strettamente necessario per studiare, niente cibo, niente giochi, niente computer, niente telefoni o macchine fotografiche. Sotto l’enorme statua di Cristo che sovrasta l’ingresso i bambini vengono perquisiti come fossero criminali. ‘ Mi si stringe il cuore a lasciarli, mi dispiace vedere soprattutto Gea con l’aria triste, quasi arrabbiata. Manu ha ancora la vitalità e l’incoscienza dei bambini, Gea la sensibilità di una piccola donna. Lascio Jose qualche minuto da solo con loro e poi usciamo senza voltarci per ripartire verso Bangalore.

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La saggezza indiana distoglie la mia attenzione dai bambini verso un albero di mango che si trova nei giardini della scuola. Arrotoliamo le foglie e le utilizziamo per pulirci i denti e massaggiare le gengive mentre, mi spiega Jose, i rami dell’albero del neem sono un ottimo sbiancante, oltre ad avere molte altre proprietà medicamentose che gli conferiscono il nome di “farmacia del villaggio”. Mentre rientriamo a Bangalore il sole sta tramontando, Jayakesh mette un bellissimo cd di musica indian pop e in silenzio ognuno affronta il proprio viaggio. Ci fermiamo a mangiare lungo la strada in un piccolo villaggio, questa domenica di festa sta finendo ma famiglie e soprattutto gruppi di uomini sono ancora in giro a cicalare, a mangiare e bere. Parecchi sono i negozi che vendono alcolici, abitudine molto diffusa tra gli uomini soprattutto nei fine settimana di festa come questo. Ritorniamo a dormire all’Hotel Luciya, il ragazzo addetto al facchinaggio ci accoglie con un sorriso e un chai fumante.

Il Mharaja’s Palace illumina la notte

Mysore

Ci fermiamo a bere un chai e i bambini mi raccontano del college, degli amici italiani, della difficoltà di integrazione quasi superata nella nuova realtà indiana. Poi tutti insieme andiamo a visitare il Mharaja’s Palace di Mysore in stile indo-saraceno, un tripudio di ostentata ricchezza, vetrate, specchi e colori sgargianti. Nei fine settimana e durante i dieci giorni del Dussehra, precisamente alle 19.30, l’edificio viene illuminato da 96.000 lampadine, uno spettacolo degno di una fiaba da mille e una notte. E noi rimaniamo lì, a bocca aperta, incantati da tanta maestosità. Mangiamo al Dasaprakash restaurant, in Gandhi Square, un edifìcio con parecchie camere a buon prezzo con annesso ristorante tipico indiano; musala dosa per tutti e soda, acqua con aggiunta di anidride carbonica simile alla nostra acqua gassata. Oggi è il 15 agosto, festa nazionale, in tutta l’India si festeggia l’Indipendence Day, giorno che commemora l’indipendenza dalla Gran Bretagna e la nascita della nazione nel 1947. I negozi sono chiusi ma la gente è tutta in strada per festeggiare, la città è tappezzata dalle bandiere indiane, le donne indossano i sari migliori e le lunghe trecce sono adornate con fiori di gelsomino, ovunque celebrazioni, musica e banchetti stracolmi di cibo che, come direbbe Jose, “profumano bene”. Partiamo tutti insieme e visitiamo i dintorni di Mysore fermandoci a passeggiare per più di un’ora all’interno degli splendidi giardini ornamentali Brindavan Gardens che si stendono a valle della diga sul fiume Cauvery. Spesso utilizzati come set dei film di Bollywood, sono affollati soprattutto nei fine settimana e nei periodi di vacanza quando le fontane sono illuminate da giochi di luce accompagnati da sottofondi musicali di colonne sonore cinematografiche.

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