Si è scritto tanto dei suoi paesaggi, dei suoi prati, dei suoi laghi. Si è inneggiato ai suoi scrittori, ai suoi giardini, ai suoi cavalli e alle sue inconfondibili pecore con la testa piccola e nera. Nessuno dimentica la sua birra e il suo wiskey, con la “e”, mi raccomando. Fiorella Mannoia ha cantato i suoi cieli. Ma per me, che sono figlia della repubblica marinara di Venezia, i mari d’Irlanda sono stati ingiustamente trascurati. La verde Irlanda è talmente verde che si finisce per dimenticarsi che è un’isola circondata dal blu. Certo, chi cerca il sole del Mediterraneo, o quello delle Maldive, non troverà su quelle coste spesso ruvide e rocciose, pane per i suoi denti. E magari dermatiti per la sua pelle. Ma chi ha voglia di riempirsi gli occhi di quell’imperdibile connubio fra il grigio cilestrino delle onde, l’azzurro terso del cielo, il bianco delle nubi; chi desideri scoprire fari e forti, spiagge lunghe e selvagge, non deve assolutamente rinunciare a visitare le contee affacciate sui mari dell’Irlanda del sud est e del sud ovest. Su quelle coste si ha l’impressione che l’orizzonte non possa essere altro che una frontiera verso l’ignoto, un’apertura verso l’impossibile. In pratica, il mare che l’uomo ha conosciuto dagli albori della sua storia fino agli inizi del Novecento e di cui parla Alain Corbin nel suo bellissimo saggio intitolato, appunto, “L’invenzione del mare”, pubblicato da Marsilio.
Kinsale, atmosfere celtiche
A Kinsale, una specie di Portofino irlandese, non è possibile soltanto andare a vela, pescare, passeggiare per il paese, frugare nei negozi che ammonticchiano gli uni sugli altri i maglioni dei pescatori (li fanno anche per i neonati e per la verità sono tenerissimi); mangiare ostriche, bere un “irish coffee” guardando ondeggiare le barche da diporto attraccate nei due porticcioli, incantarsi davanti alle piccole case dipinte di colori intensi (che non appartengono solo al Mediterraneo: le case colorate, ognuna in maniera diversa dall’altra, si distinguevano dal mare anche nelle giornate di nebbia, e così si trovano a Torcello come in Irlanda). A Kinsale, le tracce lasciate dalla storia sono addirittura imponenti, a cominciare da Charles Fort, un monumentale forte seicentesco proteso sull’acqua che testimonia – ancora una volta – l’animo ribelle degli irlandesi, la volontà di potere dell’Inghilterra e la sua strenua determinazione ad essere una potenza imperiale.
Il Faro bianconero
Se l’Irlanda del sud ovest tende a difendersi dall’Oceano, dalla sua forza, dagli aggressori che vi giungevano, le coste del sud est, affacciate verso il braccio di mare che la divide dall’Inghilterra, hanno una natura assai più dolce. La strada costiera da Wexford (una cittadina dove il mare si mescola con la foce del fiume che l’attraversa) porta verso il più antico faro d’Europa e forse del mondo, il giustamente celebrato Hook Head; bianco e nero come un panda o come una maglia della Juventus, è un meraviglioso nastro panoramico che guarda su spiagge soleggiate, su piccoli ameni paesetti come Duncannon o Coutown. E quando si giunge a Hook Head, alla cui lanterna si può arrivare inerpicandosi su certe scalette di pietra consunta che hanno addosso un forte odore di salso, si scopre un luogo che è un concentrato di simboli dell’andare per mare. Quel promontorio che aggetta verso l’acqua in un digradare di fiordi, secche, rocce, insenature e risacche, poteva trasformarsi per le barche dell’antichità in una temibile trappola, capace di spaventare anche navigatori eccellenti come i Vichinghi, che nel quinto secolo furono i primi invasori dell’Irlanda.
Anche i pesci amano l’Irlanda
Ad ovest l’Irlanda affaccia sull’oceano Atlantico e sulle sue burrasche, ma se si ha l’accortezza di andare a Kinsale, un piccolo borgo marinaro con cinquecento e passa anni di storia, che si trova a una mezz’ora di pullman da Cork, città universitaria, l’oceano non offrirà al visitatore l’urto violento della sua forza. L’arabesco delle piccole penisole, delle baie, delle insenature, frenano l’impeto delle onde che si quietano fino a diventare uno specchio d’acqua appena mosso dalla brezza. E pieno di vele. Già, perché i primi velisti della storia, altro non furono che i pescatori. Chi rientrava più velocemente degli altri in porto aveva la possibilità di spuntare il prezzo migliore sul pescato. E l’Irlanda è il paese della pesca: il “quadrilatero irlandese” (ovvero i quattro lati dell’isola) fino a pochi anni fa era talmente ricco di merluzzi che nel 1994 la Common Fishing Policy, l’organismo che si occupa della politica europea della pesca, fu d’accordo nel consentire a quaranta pescherecci spagnoli di operarvi. In altre latitudini, come gli storici banchi di Terranova, il merluzzo rischia ormai di diventare specie protetta. Ma i mari d’Irlanda continuano ad essere molto ricchi di pesce, sicché il viaggiatore che ne abbia voglia può armarsi di una lenza, noleggiare una barchetta e diventare un pescatore della domenica.
Kinsale Un Forte bello come un museo
Per chi come me ha studiato i forti nati dopo l’avvento della polvere da sparo (invenzione che ha profondamente modificato tutta l’architettura delle costruzioni da difesa) Charles Fort è bello come il Louvre. La sua pietra scura, i suoi camminamenti coperti di verde, lo rendono molto diverso dagli eccezionali forti che a Malta costruirono i cavalieri gerosolimitani dopo aver sconfitto Solimano, nell’assedio del 1565. Ma l’imponenza è la stessa. E Charles Fort ha dalla sua anche una dolente e meravigliosa leggenda celtica, secondo la quale una volta all’anno sugli spalti cammina l’anima infelice d’una nobildonna il cui sposo fu ucciso per errore il giorno stesso delle nozze. Sempre a Kinsale, di fronte a Charles Fort, si erge quel che resta del castello di Desmond, una sorta di torre d’avvistamento pronta a cogliere ogni segnale dell’arrivo degli Spagnoli o degli Olandesi, che in quei mari spesso si scontrarono con le navi dell’impero britannico.
Vita di spiaggia? Parlare col vento
“Ma le spiagge?” potrete obbiettarmi. Ci sono anche quelle. All’estrema punta sud est dell’Irlanda, per chilometri e chilometri si stende, incontaminata, selvaggia, eppure accogliente, la lunga spiaggia di Curracloe, che Steven Spielberg usò come location per la scena dello sbarco in Normandia, nel suo “Salvate il soldato Ryan”. E dove, chi voglia sentirsi davvero in Irlanda, può andare anche a fare lunghissime galoppate sulla battigia: all’ingresso di quello che è un luogo frequentato dai villeggianti ma attentamente tutelato sotto il profilo naturale, si organizzano passeggiate a cavallo anche per i principianti. Accoccolata su quella spiaggia, in una ventosa giornata in cui il sole faceva brillare la spuma delle onde, immersa in un paesaggio che offriva solo sé stesso; niente chioschi, niente panini, niente cabine, solo i falaschi, la lunga spiaggia che si stendeva a vista d’occhio e il grido degli uccelli marini, mi sono sentita per la prima volta, mezza irlandese. E mi sono promessa di visitare tutto quello che di quest’isola ancora non conosco. Il Connemara, per esempio. Ma questa, come si usa dire, è tutta un’altra storia. La prossima storia.
Per gli appassionati di birdwatching
Guidati da un falò di segnalazione dei monaci, i Vichinghi salvarono le loro imbarcazioni e risparmiarono i religiosi. Settecento anni dopo venne costruito da Raymond le Gros un vero e proprio faro e solo nell’Ottocento Hook Head – che è stato attivo fino a dieci anni fa – ha assunto la forma che oggi vediamo. Sterminata è la letteratura sui fari, che sono luogo di riconoscimento e di comunicazione fra terra e mare, fra sicurezza e pericolo. Ma il faro tozzo, possente, alto sulle rocce ha qualcosa di unico, è “ il faro” per eccellenza. Il promontorio di Hook Head è anche un luogo di passo degli uccelli. Nei periodi delle migrazioni se ne possono vedere fino a duecento specie diverse e chi è appassionato di birdwatching avrà di che saziarsi gli occhi.
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