Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

Napoli e i suoi presepi

“Fare il presepe equivale a tradurre il Vangelo in dialetto partenopeo”. Parola di uno dei più grandi esperti del presepe napoletano, il drammaturgo Michele Cuciniello. Folclore e tradizione tra le figure, opere di abili artigiani vanto dal Settecento ad oggi nella città del Vesuvio. Si parla anche di presepi e canti popolari nel libro “Made in Naples. Come Napoli ha civilizzato l’Europa (e come continua a farlo)” di Angelo Forgione, Magenes Editoriale

Napoli e i suoi presepi

 Una delle tappe obbligate dei turisti in visita a Napoli è la celebre strada di San Gregorio Armeno, in cui noti artigiani, durante tutto il corso dell’anno, realizzano presepi famosi in tutto il mondo con una maestria che, da generazioni, si tramanda di padre in figlio. Non un luogo casuale, ma uno degli stenopoi (decumani ndr) della città greca in cui già in epoca pagana esisteva un artigianato di stipi votive, delle statuine di terracotta che venivano donate a Demetra, dea dispensatrice di abbondanza, per conquistarsene i favori. Un ex voto ripreso anche in età romana, in cui era la dea Cerere a ricevere l’omaggio. La parola “presepe” è un’italianizzazione del termine latino praesepium, che indica la mangiatoia degli animali dove è ambientata la nascita del Bambin Gesù. Scena iconografica che è, in realtà, una sovrapposizione simbolico-religioso del cristianesimo al mithraismo, un’antichissima religione misterica del mondo ellenistico legata al culto esoterico di Mithra, una divinità solare che i Romani identificarono nel Sol Invictus, il sole invincibile, nato in una grotta il 25 dicembre, in concomitanza del solstizio d’inverno, ovvero il momento dell’anno in cui il sole muore per poi rinascere. Il mithraismo, proprio come il cristianesimo, professava l’esistenza dell’anima e la possibilità che essa potesse raggiungere l’eternità.

Lo storico cattolico medievalista Franco Cardini spiega il nesso tra i due culti e chiarisce le origini della scena della natività nel suo Il libro delle festeIl cerchio sacro dell’anno: “La Chiesa approfittò dell’attrazione che il culto del Sol Invictus e mithraismo esercitavano su parecchi nuovi fedeli […] e diffuse l’affezione popolare per la nuova figura di Cristo attraverso l’espediente di una sua pur parziale assimilazione tipologica all’Eroe-Bambino mithraico-solare. Il Bambino della Natività venne circondato da due animali cari al culto mithraico, il toro e l’onagro, e i Magi che gli si presentavano vennero raffigurati in costumi persiani come i fedeli di Mithra. La Festa della nascita di Gesù si fissò al 25 dicembre, e la si collegò ai festeggiamenti del Sol Invictus […]
L’accavallamento ebbe origine nel 274 d.C., anno in cui l’imperatore Aureliano introdusse a Roma proprio il culto del Sol Invictus, proclamando il 25 dicembre Dies Natalis Solis Invidia giorno di festa in onore della nascita del nuovo dio, in quanto il più breve dell’anno, quello in cui il sole infante rinasce e cresce di giorno in giorno. Fu poi l’Imperatore Costantino, cultore del Dio Sole, a trasformare, nel 330 d.C., la festa solare del 25 dicembre in festa cristiana. Lo fece dopo aver abbracciato anche il cristianesimo, cambiando anche il nome del giorno festivo della settimana: da Dies Solis, giorno del Sole (rimasto Sunday nei paesi anglosassoni), a Dominus, giorno del Signore.

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Il primo Natale di Cristo si festeggiò nel 337, anno in cui papa Giulio I ne ufficializzò la data in nome della Chiesa Cattolica. E al 354 risale la prima comparsa della festa del 25 dicembre cristiano in un calendario della liturgia romana, legata alla nascita di Gesù. Quando l’imperatore Teodosio emanò, nel 391, il decreto con cui bandì il culto dei riti pagani, il mithraismo tramontò definitivamente e il cristianesimo iniziò a dilagare nel mondo occidentale.

Napoli e i suoi presepi
“Made in Naples. Come Napoli ha civilizzato l’Europa (e come continua a farlo)” di Angelo Forgione, Magenes Editoriale. Pagine 320; euro 15,00

I primi presepi risalirebbero al XIII secolo, periodo in cui l’attività artistica si concentrò in Toscana e nel centro d’Italia. Ma da tra i due culti alcuni antichi documenti in cui se ne fa menzione si evince che le primissime tracce di una rappresentazione lignea della nascita di Cristo risalgano alla Napoli del 1025, in una chiesa situata in Piazza San Domenico Maggiore e scomparsa a inizio Settecento, prima detta “la Rotonda” e poi dedicata alla “Santa Maria ad praesepe”. E una testimonianza ben più antica di quella del 1223, anno cui risale la Natività di Gesù a Betlemme con figure umane, rievocata nella notte santa a Greccio, nella provincia di Rieti, pervolontà di San Francesco d’Assisi.

E’ Arnolfo di Cambio a essere considerato il pioniere del presepe antico a figure scolpite, per aver realizzato nel 1292 delle statuine in legno che fecero scuola per tutto il secolo successivo. Si iniziò poi a vestire le figure in legno con gli abiti del tempo e il primo esempio fu di Gaetano da Thiene nel 1530. Il passo successivo fu il presepe a figure articolabili, datato 1627 e allestito a Napoli dai padri Scolopi in una chiesa alla Duchesca durante il periodo natalizio, per poi essere smontato, diversamente dalle usanze del tempo, secondo cui i presepi restavano nelle chiese in allestimento permanente. In quel periodo si allargò la scena presepiale, arricchendo la sacralità della sola grotta della Natività con le vicende profane della vita quotidiana attorno.

 Napoli era evidentemente stata protagonista della gestazione del presepe e lo divenne ancor di più nel Settecento, quando si sviluppò, affermandosi velocemente, la grande tradizione presepiale napoletana, capace di cambiare i canoni della rappresentazione religiosa e avviare una diffusione della stessa in tutti gli Stati preunitari e oltre i confini italiani. Il secolo d’oro fu quello del Regno indipendente di Carlo di Borbone, la cui fioritura culturale fece del presepe un vero e proprio status symbol dalla città capitale culturale d’Europa. L’ispiratore fu il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, personaggio popolarissimo e influente, che girava nei vicoli del centro e del porto per incontrare i peccatori e cercare di convincerli a pentirsi a colpi di bastone. Padre Rocco adottò il presepe come strumento di propaganda religiosa di redenzione, esortando i malfattori a riprodurre la scena della Natività nel tentativo di accendere in loro la fede. Re Carlo amava molto intrattenersi con il religioso, che infatti gli ispirò la costruzione del Real Albergo dei Poveri, e si racconta che, a ogni incontro, lo salutasse così: «Padre Rocco, comme jammo a presepio». Una domanda che da l’esatta dimensione di come il frate ne avesse fatto una missione personale.

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Il sovrano amava intagliare il legno e rimase contagiato dal nuovo cimento, dedicandosi personalmente all’allestimento di un presepe a corte col coinvolgimento della moglie Maria Amalia nella cucitura dei vestiti e dei principini nelle creazioni di creta.
L’interesse e la passione del re fecero da enorme cassa di risonanza e resero il presepe straordinariamente popolare, a tal punto da diventare una vera e propria mania collettiva dee napoletani, capace di far tornare bambini anche i più adulti. Da strumento educativo, religioso e moralistico, si trasformò in un divertente passatempo, che, uscendo dalle chiese per entrare nelle lussuose stanze dell’aristocrazia, divenne sempre più raffinato e colto, guadagnando in popolarità quel che perse in sacralità.

 Le figure dei pastori napoletani si definirono con un processo evolutivo in tre fasi che li rese esemplari di assoluta originalità. Stabilita l’altezza dei pastori in misura terzina di circa quaranta centimetri, si adottarono prima snodi e giunture per le articolazioni delle sculture in legno e poi si iniziò ad applicare la testa e gli arti distinti su un corpo centrale realizzato avvolgendo della stoppa attorno a un’anima di fil di ferro.

Papa Francesco nei presepi di San Gregorio Armeno
Papa Francesco nei presepi di San Gregorio Armeno

Infine l’innovazione finale: la sostituzione delle teste in legno scolpito con teste in terracotta modellata, la quale, per duttilità e malleabilità, consentiva una maggiore accuratezza e morbidezza espressiva, oltre a rendere più veloce la realizzazione. Ne scaturì una vera e propria corrente artistica eterogenea in cui si cimentarono artisti di diversa provenienza: pittori, architetti, ceramisti, sarti, musicisti e scultori, tra cui anche Giuseppe Sanmartino, autore per il Principe di Sansevero del Cristo velato, considerato il più eclettico tra gli scultori napoletani del Settecento e fondatore di una vera e propria scuola di artisti del presepe. Tutti a realizzare testine, affiancati da artigiani minori che completavano i pastori creando mani, piedi e abiti rifiniti nei minimi particolari, spesso con le rinomate sete di San Leucio. Nella nuova corrente artistica si tuffarono anche orafi e costruttori di strumenti musicali, realizzando accessori in miniatura perfettamente funzionanti, unitamente agli artigiani ceramisti di Vietri che fornivano piccole brocche, bicchieri, piatti e vasi decorati. Tutta questa pluralità artistica e l’utilizzo di una varietà ampia di materiali fecero del Presepe napoletano del Settecento qualcosa di ben differente dall’intera tradizione che l’aveva preceduto. Il risultato appassionò non solo il re ma contagiò tutti gli strati sociali della società napoletana perché, attraverso lo sviluppo del paesaggio e del vissuto partenopeo, con la realtà umana era descritto il divino, reso in tal modo estremamente comprensibile a tutti. Lo evidenziò uno dei più grandi esperti del presepe napoletano, il drammaturgo Michele Cuciniello:
«Fare il presepe equivale a tradurre il Vangelo in dialetto partenopeo.»
La Natività locale uscì dai confini cittadini e nacquero ben presto correnti ispirate alla tradizione napoletana anche a Genova e in Sicilia. L’unica voce fuori dal coro fu però di quelle importanti: Luigi Vanvitelli. L’architetto di corte detestò fortemente la nuova mania e, nel 1752, scrisse al fratello Urbano, residente a Roma, alcune parole cariche di sdegno sia per il presepe che per i napoletani:

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«Ho veduto li Presepii, ragazzata nella quale si applicano efficacemente questi napoletani».

Napoletano di nascita era anche lui, ma, evidentemente, l’influenza delle sue rigide origini olandesi e il suo individualismo creativo non gli consentirono di capire la coralità diversificata della lavorazione presepiale e di condividere quella dilagante passione popolare. E neanche capì che, mentre lui stesso contribuiva a edificare le meravigliose regge e i grandi palazzi nobiliari della nobile capitale, il presepe diveniva per tutti un simbolo di ostentazione di nuove opportunità. Cospicue somme di denaro si investivano pur di accaparrarsi i pastori più belli, dando sfoggio di ricchezza culturale e monetaria al tempo stesso.

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