Sabato 5 Ottobre 2024 - Anno XXII

India, caleidoscopio di Fedi

Forse è impossibile enumerare quante e quali siano le ‘divinità’ e i credi religiosi presenti nel grande Paese asiatico. È d’altra parte incalcolabile il numero di persone che, dall’alba al tramonto, praticano la loro fede in mille differenti forme esteriori, figlie di una intensa partecipazione spirituale

Fede Il Tempio del Sole nella città di Konark, nello stato di Orissa. Foto: Angela Prati
l Tempio del Sole nella città di Konark, nello stato di Orissa. Foto: Angela Prati

“Noi, popolo indiano, dopo aver solennemente deciso di costituire l’India come una Repubblica indipendente, laica, democratica e socialista  …”.

Così ha inizio il documento che il 26 novembre del 1949 l’Assemblea Costituente ha redatto dando origine alla moderna Repubblica federale dell’India. E non è un documento da poco, anzi; forse è la Costituzione più lunga del mondo: contiene 448 articoli suddivisi in 22 parti, 12 principi e 118 emendamenti.

È redatta in due versioni ufficiali: Hindi e Inglese ed è entrata in vigore il 26 gennaio del 1950. Per completare il quadro, si può aggiungere che questa importante ‘Carta’ contempla i principali fondamenti politici; stabilisce le strutture, le procedure, i poteri e i doveri delle istituzioni governative, i diritti fondamentali e i doveri dei cittadini. Un documento onnicomprensivo, verrebbe da dire. Ad ogni modo, per chi è stato in India o per chi ne conosce comunque le importanti fasi storiche e politiche che ha attraversato nel corso dei secoli, balza evidente la presenza significativa del vocabolo: ‘laico’. Uno stato che ufficialmente non riconosce alcuna religione, dunque. Quasi un controsenso, per un paese abitato da un miliardo e trecento milioni di persone che, in percentuale da elezioni bulgare (93%!) si riconosce membro effettivo di una qualche fede religiosa.

La Fede nel ‘mondo’ religioso indiano
Le antiche grotte di Ajanta del Maharashtra, patrimonio Unesco. Sono una delle mete dei pellegrini buddisti
Le antiche grotte di Ajanta del Maharashtra, patrimonio Unesco. Sono una delle mete dei pellegrini buddisti

La scelta indiana trova però logica giustificazione proprio nel fatto che il cosmo religioso del paese è infinitamente vasto, incredibilmente sfumato nelle sue sovrapposizioni, tenacemente ancorato alle proprie tradizioni, tutto sommato rigido e sospettoso nei confronti di fedi diverse, pur se nella  stragrande maggioranza dei casi risulta essere tollerante.

La fede dominante è l’Induismo, ricco delle più diverse credenze, con una percentuale che supera di poco l’80% della popolazione. L’Islam vanta una percentuale superiore al 13% dei residenti indiani, mentre sappiamo che è preponderante nei due paesi confinanti (Pakistan a ovest e Bangladesh a est) un tempo uniti all’India all’epoca del dominio britannico. Le percentuali delle altre fedi sono decisamente inferiori: poco più del 2% per i Cristiani e poco meno per i fedeli Sikh; non raggiunge a sorpresa l’1%  il Buddismo mentre il Jainismo sfiora lo 0,5%.  Il panorama dei credi religiosi praticati in India non si esaurisce certo qui. C’è il Mazdeismo (o Zoroastrismo),  proveniente originariamente dall’odierno Iran e l’Ebraismo. Non mancano tradizioni di origini tribali minori, quali il Santal, il Sanamahismo, quelle Adivasi e numerose forme di Animismo. Un panorama davvero composito di ‘contatti’ con le entità supreme.

Le grandi religioni monoteistiche
Religiose che seguono l'esempio di Madre Teresa di Calcutta
Religiose che seguono l’esempio di Madre Teresa di Calcutta

Sono oltre 75 milioni gli indiani di fede musulmana e si può ben dire che i precetti rigidi di questa religione, entrata nel sub continente con la conquista che ha avuto luogo dal XIII secolo, prima sotto il Sultanato di Delhi e quindi con l’Impero Moghul, non siano riusciti ad intaccare granché le usanze, le cerimonie, i precetti della forte cultura induista. Sono attivi, in alcune zone, solo alcuni costumi islamici; ad esempio l’uso del narghilè e il purdah, che impone l’isolamento domestico alla donna che in pubblico deve presentarsi con il viso coperto. Le manifestazioni figurative dell’induismo contrastano con l’avversione del pensiero musulmano in tal senso; ecco perché i fedeli dell’Islam tendono progressivamente ad assimilare il costume e il credo religioso indù. A completare il quadro delle tre grandi religioni monoteistiche restano il Cristianesimo e l’Ebraismo, entrambe approdate in India nella zona di Goa e del Kerala.  Infatti San Tommaso, discepolo poco convinto di Cristo, riposa a  Kochi. Pare vi sia giunto nell’anno 52 d.C. e pare altresì che nei tre secoli successivi il Cristianesimo e in parte l’Ebraismo, in quella zona abbiano avuto una certa diffusione. Oggi in India il Cristianesimo è presente nelle sue varie forme: Cattolicesimo Romano, specie negli stati orientali (si pensi al grande influsso esercitato da Madre Teresa di Calcutta), Chiesa Ortodossa Orientale e Protestantesimo.

Universalità dell’Induismo
Un devoto induista si bagna nelle acque del Gange
Un devoto induista si bagna nelle acque del Gange

L’Induismo, pur essendo la religione dominante dell’India, viene  per assurdo definita persino una ‘non-religione’; non ha ‘dogmi’ e ‘dottrine’ da proporre e il rapporto tra i fedeli e le divinità ha poco di teologico; è qualcosa a metà fra l’esistenziale e il filosofico. È comunque opinione corrente considerare l’Induismo come la più antica religione del mondo ed una fra le più diffuse: sud est asiatico, Mauritius nell’oceano indiano, Guyana e Suriname in America latina, Trinidad & Tobago nei Caraibi, isole Figi nel Pacifico, terre nelle quali si sono registrate nel corso degli anni cospicue ondate immigratorie dall’India. Le origini dell’Induismo sono senza dubbio collegate alla Civiltà della valle dell’Indo e ad altre civiltà preistoriche del sub-continente. Il testo più antico è il Rig Veda, ascrivibile al periodo storico vedico, databile tra il 1700 e il 1100 a.C.: i grandi poemi epici dell’Induismo (Ramayana e Mahabbarata) risalgono invece al periodo Purana, attivo tra il 500 e il 100, sempre a.C.; gli inni sacri Purana costituiscono la struttura mitologica dell’induismo con i quali vengono definiti i nomi degli dei del complesso pantheon religioso indiano: Brahma, Visnu e Shiva sono gli dei più importanti, ma l’insieme delle divinità – maschili e femminili – è soggetto alle differenti aree geografiche e alle influenze esterne. Attraverso pratiche meditative e ascetiche particolari, prendono corpo alcune teorie quali il Karma (insieme degli atti commessi in vita) il Samsara (ciclo della ruota delle nascite) e il Moksa (liberazione dai vincoli terreni); in epoche più recenti, ecco l’Ahimsa (non violenza sulle cose della natura, di qualunque genere esse siano). Molto praticata è infine la Sannyasi (rinuncia ai beni materiali e al possesso egoistico). Chi va in India, ne incontra migliaia di questi asceti, assorti in preghiera e meditazione.

Sikkhismo, dai monti del Punjab
Il tradizionale abito dei Sikh
Il tradizionale abito dei Sikh

Nato nel XV secolo per opera del Guru (maestro) Nanak, vanta una decina di milioni di adepti. La regione indiana che in maggior misura li accoglie è il Punjab, la cui capitale sacra è Amristar, al confine con lo stato islamico del Pakistan.

Il Sikkhismo si propone di conciliare la religione induista con quella islamica, non sempre con successo, motivo per il quale i Sikh si sono trasformati in un popolo di guerrieri. I cinque ‘K’ sono gli obblighi ai quali ciascun Sikh di sesso maschile deve attenersi: Kesha (capelli e barba lasciati crescere per tutta la vita, raccolti in una speciale reticella); Kangha (pettine sempre a disposizione) perché pettinarsi soddisfa esigenze fisiche e psichiche; Kara (braccialetto di ferro al polso della mano destra) a indicare il mutuo soccorso tra gli appartenenti alla comunità; Kirpan (spada a due tagli) a simbolo dell’origine guerriera; Kacchara (uso di indossare mutande) piuttosto insolito in India, per poter fare liberamente le abluzioni nei cortili del templi. Ma il simbolo più appariscente dei Sikh è il voluminoso turbante in seta o cotone, comunque dai colori vivaci, a rimarcare la dignità di questo popolo d’onore e di fede convinta.

Le Sette, figlie dell’Induismo
Una scultura lignea del dio Ganesh. Foto: Natthanan Chumphookaew
Una scultura lignea del dio Ganesh. Foto: Natthanan Chumphookaew

Pur mantenendo un’unità originaria, col tempo l’Induismo si è frammentato in varie sette o scuole che prediligono una specifica divinità. Devoti del dio Visnu sono i Vaishnava, riconoscibili dal segno che recano in fronte: una linea perpendicolare rossa e due linee oblique bianche. Appartenenti alla medesima setta possono essere considerati anche  i Krishnaiti, devoti al dio Krshna, considerato una reincarnazione del più antico dio Visnu. Krishna, nato nella città di Madura, ha propagato la Bahkti, ovvero una forma di devozione rivolta alla comunità, per mezzo di un’assistenza verso malati e bisognosi, azioni che favoriscono la personale ‘illuminazione’. I Krishnaiti si dividono poi in altre diramazioni: una di queste venera il Krishna della storia, Vasudeva; un’altra il Krishna Bhagavat, ovvero il dio bambino; c’è poi il Krishna Gopal, il dio pastore, che si dedica al gioco erotico con le pastorelle che, con lui, passeggiano nei boschi! Un’altra importante corrente filosofica è data dallo Shaktismo, i cui adepti venerano la dea Shakti, dea d’amore e tenerezza ma anche di morte e distruzione nelle sembianze della dea Durga o Kalì, colei che dimora nell’Himalaya, cinta di teschi umani e serpenti. Importante e diffuso è il culto che i Ganapa rivolgono al dio Ganesh dalla testa d’elefante, che la tradizione vuole figlio di Shiva e Parvati. Ganesh è ora considerato simbolo della sapienza e della letteratura, colui che viene invocato  all’inizio di ogni attività di un certo rilievo.

Tra le più antiche sette, vi è quella dei Suryapatha, devoti di Surya, l’antica divinità del sole dei Veda. Non del tutto religiose, ma in sintonia con il pensiero induista, vi sono poi altre sette o scuole. L’Hata Yoga, la disciplina che consente di sperimentare il controllo sul proprio corpo, esaltandone le capacità attraverso il pranayama (controllo del respito) e il Tantrismo, secondo il quale tutta la natura è debitrice ad alcune dee: Aditi (dea dell’abbondanza), Annapurna (dea dei monti), Laksmi (consorte di Visnu) e Maryammei, dea del vaiolo e della morte.

Cerimonie e pellegrinaggi
Celebrazione del grande festival sacro del Kumbh Mela
Celebrazione del grande festival sacro del Kumbh Mela

Complesse e caratteristiche le prime, diverse a seconda della fede praticata. Nell’induismo i grandi rituali della vita, nascita, matrimonio e morte, vengono compiuti attraverso apposite cerimonie, comuni anche per i musulmani, ma totalmente diverse da quelle indù. Ad esempio, il matrimonio: mentre gli indù hanno matrimoni ancor oggi ‘combinati’ dalle famiglie, tra i musulmani il marito deve ‘acquistare’ la moglie e sottoscriverne il contratto in presenza della comunità. Così avviene, con riti e usanze che si differenziano non poco, per le altre manifestazioni sociali della vita.

L’ultima considerazione riguarda i molti e famosi ‘luoghi della fede’ dell’India. Per gli Indù sono città sacre Allahabad, Varanasi, Haridwar, più altre minori, come Puri, Tirumala e Katra. Famose anche le città ai piedi della catena himalayana del pellegrinaggio Char Dham (le quattro dimore): Gangotri, Yamunotri, Kedarnath e Badrinath. Conosciuto da tutti (anche fra gli occidentali) è il grande festival sacro del Kumbh Mela. Sette degli otto luoghi sacri che testimoniano della vita di Buddha, si trovano in India, mentre per i musulmani sono molto frequentati i santuari di Dargah Sharif ad Ajmer, la moschea Jama Masjid a New Delhi e quella di Haji Ali a Mumbai. La religione Sikh, infine, ha il suo luogo di culto nel Tempio d’Oro di Amristar .

Da Siddharta (il ‘costruttore’) le Nobili Verità
L'albero della Bodhi nel Tempio di Mahabodhi, discendente diretto dell'albero di Bodhi storico sotto il quale Siddharta raggiunse l'illuminazione
L’albero della Bodhi nel Tempio di Mahabodhi, discendente diretto dell’albero di Bodhi storico sotto il quale Siddharta raggiunse l’illuminazione

La dottrina Buddhista prende avvio dalla nascita (560 a.C.) di Gautama, sposo a 16 anni (con figlio) e Siddharta a 29, quando lascia gli agi di una vita privilegiata e dopo alcuni anni di meditazione ascetica viene identificato come Buddha (lo ‘svegliato’, meglio ancora ‘l’illuminato’).

La dottrina del Buddha, sotto il profilo psicologico, si stacca completamente dalla concezione induista dell’universo; ed è anche il motivo per il quale il Buddhismo risulta oggi diffuso in maniera modesta in India, sopraffatto dall’Induismo, mentre si è maggiormente propagato a Ceylon e in Indocina inizialmente, quindi in Tibet, con la variante del Lamaismo, poi in Cina, Giappone, Mongolia, Corea. I cardini sui quali si sviluppa il pensiero filosofico e religioso del Buddha definiti nel sermone di Benares, detto anche ‘delle Quattro Nobili verità’, sono i seguenti: 1) la vita è dolore; 2) la causa prima del dolore è il desiderio; 3) il dolore di vivere cessa quando cessano i desideri; 4) il mezzo per raggiungere la pace e la serenità è di seguire l’ottuplice sentiero, scandito dai seguenti precetti: retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retta concentrazione, retto sforzo e retto ricordo.

Oggi in India i buddhisti assommano a circa 5 milioni di individui, raggruppati soprattutto nelle estreme regioni settentrionali del paese. Lo Jainismo, religione affine al Buddhismo, conta non pochi seguaci nel settentrionale Gujarat e negli stati centro meridionali dell’India.

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