Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Io e l’Uruguay

Alla scoperta (e al giusto ‘rilievo’ storico) del piccolo stato che fronteggia l’Argentina e sul collo sente il fiato pesante dell’immenso Brasile. Un po’ di storia, personaggi, massoni, calciatori, bovini e Tupamaros

Garibaldi vittorioso

Garibaldi ammiraglio a Montevideo
Garibaldi ammiraglio a Montevideo

Quanto alla storia dell’Uruguay, ho più sopra, ancorché brevemente, narrato (non senza citare l’esistenza dei tranquilli Indios Charruas, e più a nord dei più incazzosi Guaranìes) cosa accadde nei tre secoli (1500 – 1800) intercorsi tra la Scoperta colombiana e (1825) quella che curiosamente definirei una “doppia indipendenza” (dalla Spagna e dal Brasile). 
Nel XIX° secolo il Paese si sviluppò economicamente e culturalmente, grazie a una importante immigrazione, in cui eccelse (vivaddio! almeno, sia pur ogni tanto una vittoria!) quella proveniente dal Belpaese, segnatamente dalla Liguria (oggidì il 40% degli uruguagi è di origine italiana). E proprio a metà dell’Ottocento, Garibaldi, grande Chè Guevara ante litteram (e parimenti al Chè, che fu emarginato dal Fidel, il Peppino fu fregato dai Savoia), sconfitto nella lotta per l’indipendenza del sud del Brasile, fuggì dal Rio Grande do Sul e corse (incredibile la sua cavalcata con Anita e il neonato Menotti) a Montevideo alla difesa, stavolta vittorioso, dell’indipendenza dell’Uruguay (fondò pure una sorta di Marina da Guerra divenendone ammiraglio). 

Pochi abitanti, numerosissimi bovini

Ragazzi che mostrano il computer che gli è stato consegnato dalla scuola
Ragazzi che mostrano il computer che gli è stato consegnato dalla scuola

Una fertile terra, piatta, salvo poche colline, e ricca d’acqua, nonché la citata immigrazione (e nel trattare la vicenda calcistica racconterò una curiosa chicca che condurrà fino alla piemontese Pinerolo!) cominciata nel XIX° secolo, nella prima metà di quello successivo, anni ’20 e ’30 del ‘900, fecero dell’Uruguay una sorta di terra promessa, eccellente non solo per una florida economia ma pure all’avanguardia (non solo nell’America Latina bensì nel mondo) quanto a sistema politico, ardite leggi (vedi divorzio), cultura, avanzamento sociale e rapporti Stato–religione.

Non solo per gli infiniti bovini (senza però i campanacci) ruminanti tra verdi panorami l’Uruguay era definito “la Svizzera del sud America”.

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Dagli anni ’50 del secolo scorso ai nostri giorni, anche la Republica Oriental (ancorché al confronto dei dirimpettai argentini gli uruguagi vivano meno stressati da ubbie di grandeur culminanti in bidoni pieni bonds e altri debiti accollati al resto del mondo) non se l’è passata bene (vedi le vicende dei Tupamaros).

La Uruguayde prosegue (nella prossima puntata: Colonia del Sacramento).

(01/05/2014)

 

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