Peñarol e Nacional, derby continuo
Diverso, si diceva, il Calcio uruguagio, nel senso di strano e speciale: dove lo trovate un campionato di un Paese giocato dalla quasi assoluta totalità delle squadre della capitale? Quest’anno 15 delle 16 squadre sono di Montevideo (e ce credo, la città ospita quasi la metà degli abitanti dell’Uruguay, il resto sono cittadine e paesotti).
E tra le tante squadre della ‘capitale più a sud del sud America’ svettano due Clubs: il Nacional e il Peñarol, sole sacerdotesse del Calcio uruguagio (il derby, ne hanno combattuti più di 500!, è evento nazionale). La prima è la squadra dei señoritos, i montevideanos-bene. Il Peñarol è invece più ruspante e tanto popular da possedere uno stadio (il Josè Pedro Damiani, il cognome non stupisca, quasi il 40% degli uruguagi ha origini italiane) poco ricco di posti, solo 12 mila, tant’è che la squadra gioca nel ben più capiente Centenario (Mondiali del 1930 a ricordo dell’indipendenza conquistata un secolo prima). Chicca finale: il nome Peñarol deriva da Pinerolo.
Nella seconda metà del ‘700, Giovanni Battista Crosa, finito in Uruguay (come se in quella remota colonia ispanica non potessero trovare un maestro di una corale) diede il nome della cittadina natale al barrio in cui andò a vivere. Scherzi del viaggiare: ti ritrovi in capo al mondo, disquisisci di fùtbol, poi, d’amblè, pensi al caro Vej Piemont!
(22/05/2014)
Calciatori. Emigranti speciali
Nel primo decennio di questo secolo, 1414 giovani uruguagi sono emigrati per giocare a Calcio: 238 in Argentina, 113 in Messico, 102 in Spagna. Un’esportazione massiccia e oltretutto in forte crescita, i cui numeri spiegano tutto, se si pensa che l’Uruguay conta solo 3 milioni e mezzo di abitanti, appetto a 240 milioni di vicini di casa (40 milioni gli argentini, 200 i brasileros) altrettanto football dipendenti. Solo nel 2010 emigrarono dal Paese 111 giocatori e 14 tecnici (e nonostante la penalizzazione derivante da cotanta diaspora, l’Uruguay vinse la Copa America 2011). Il sullodato pannello non precisava però quanti sono i calciatori uruguagi approdati nel Belpaese e mi azzardo a conteggiarne una settantina. Posso invece, grazie a una mia fuerte aficiòn al fùtbol, ctare quelli più noti affermatisi nel Belpaese dai lontani anni ’30 ai nostri giorni: i matusa ricorderanno Puricelli, Schiaffino, Ghiggia, gli sbarbati Cavani, Gargano, Forlan, Muslera. Per non parlare di quel baloss dell’Alvaro Recoba, el Chino – da sberle quel suo sfottente sorriso – che con un solo (massimo due o tre) gol all’anno, vabbè assai belli, faceva godere Moratti, padrùn dell’Inter, a tal punto da essere tornato in Uruguay con tanta grana da far stare bene i suoi cari per qualche generazione (ed è vero! ne ho avuto conferma mediante indagini esperite a Montevideo). Ma prima di informare su storia e gloria del Calcio uruguagio completo l’info sull’export pallonaro aggiungendo che – giusto le regole dell’economia moderna – in Uruguay esiste anche un import di giocatori, però scarno quanto a numeri e a know how (trattasi di poche pippe – provenienti da Paesi calcisticamente arretrati – sostituenti portieri, centrocampisti o punteros del posto andati nel mondo a tirar su soldi).