Giovedì 28 Marzo 2024 - Anno XXII

Magico Botswana

botswana

Un safari fotografico in una terra antica dove la Natura è imponente e dove è facile ammalarsi di Mal d’Africa. Una sorta di Arca di Noè con una ampia e variegata presenza di specie animali e vegetali tutte da immortalare

Botswana
Vita e colori dell’Africa

Abbiamo imparato ad amare l’Africa attraverso i racconti venatori di Hemingway. Ma quella che ricordiamo attraverso la penna e il mirino del fucile Mannlicher del grande scrittore americano era una terra di altri tempi. Una terra dove cacciare era uno sport lecito, da “machos” e gli animali allora non avevano anima, cuore o lacrime. Una delle ultime emozioni pacifiche che l’Africa può offrire oggi è mostrarci “l’ultima frontiera”. Portarci oltre il limite della civiltà. Farci provare l’ebbrezza africana che fu di Burton, di Speeke, di Mungo Park. Il Botswana è la madre di queste emozioni, uno degli ultimi spazi selvaggi dove la parola safari ha un senso compiuto.

Il piccolo aereo Cessna 206 collega la città di Maun al campo di Savute, nel nord-est del Botswana. Sono due ore di volo nel cuore dell’Africa Australe, sopra questo paese grande due volte l’Italia. Kurt, il pilota, indica l’orizzonte: “ladies and gentlemen the wild Africa” dice compiaciuto, “signore e signori l’Africa selvaggia”, aprendo un sipario immaginario sui grandi spazi semidesertici. La pista d’atterraggio è a un paio di chilometri. Ai lati di quella cicatrice polverosa, sotto le acacie tortilis, sono fermi branchi d’elefanti e di gnu blu dalla coda nera. In fila indiana, percorrono le piste polverose marciando verso l’acqua.

Botswana, l’arca di Noè

Botswana

Nella sorgente d’acqua vicino a Tsodilo si ritrova tutta la fauna di Chobe. C’è poco spazio per bere e gli animali danno una lezione di civiltà mettendosi in coda. Affiancandosi gli uni agli altri secondo la legge della Natura. Gli elefanti bevono per primi, le giraffe e le antilopi seguono e attendono il loro turno. Solo una iena maculata, sfacciata e impudente, tenta di intrufolarsi, di raggiungere l’acqua. Ma è scacciata dal vecchio capobranco. La iena berrà a notte fonda, quando la savana si popola di suoni al chiarore diafano della luna crescente africana.

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La riserva di Moremi occupa quasi un ottavo di territorio di nord-ovest del Botswana. La caratteristica che la rende unica al mondo non è solo la quantità esuberante di animali che vi si radunano: 170 specie di mammiferi (tra cui 65.000 elefanti), 530 specie di uccelli e 42 di anfibi, ma è famosa soprattutto per essere uno scherzo geologico ben riuscito. Il fiume Okavango nasce in Angola, corre lungo il confine namibiano e entra grande e impetuoso in Botswana. E qui scompare, insabbiandosi con un grande delta, unico al mondo, che finisce nel nulla, ai limiti del deserto del Kalahari.

Il pericolo in agguato

Botswana ghepardo

“È lo scrigno della vita” dice la guida Phillip Nxanda riferendosi all’Okavango, e spinge sulla pertica facendo allontanare il mocoro, la canoa di legno, dal pontile. La piroga scivola lenta e silenziosa sull’acqua bruna nel cuore del delta, sopra un mare di ninfee, di papiri e di graminacee palustri. Si va per la grande caccia, senza fucile, il click innocuo della macchina fotografica farà molte prede. Qui non è cambiato niente dai tempi del re zulu Shaka, dal viaggio di Livingstone, dall’epopea di Rhodes.

I paesaggi sono immutati come gli occhi sanguigni dei bufali cafri che spiano miopi il nostro lento navigare tra le canne, le garzette che dimorano sul dorso degli ippopotami, la saetta metallica e iridescente dei martin pescatori in volo, la staticità omicida del coccodrillo sulla sponda, l’eleganza dell’aquila pescatrice che sfiora l’acqua dell’Okavango con i suoi artigli d’acciaio: tutto è come un tempo. Nella sua impenetrabilità l’Okavango ha trovato la sua salvezza, una preservazione naturale.

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Botswana. il fiume misterioso

Magico Botswana

Lontano ruggisce un leone con la voce profonda, simile ad una tosse imperiale, gutturale; gli ippopotami nuotano semisommersi lasciando scoperte orecchie, narici e occhi che sono sullo stesso piano: tutti i loro sensi vigilano. S’immergono e lasciano una scia di bolle d’aria sull’acqua scura, da cui Phillip si tiene a debita distanza. In questo angolo palustre di frontiera africana la civiltà si è arenata come le acque dell’Okavango e la nostra presenza di uomini è misera e diluita in questo posto, possiamo essere solo spettatori, non facciamo numero, non esistiamo, non siamo Africa.

Per la prima volta nella vita proviamo quella gelida sensazione di essere preda, che era nei nostri cromosomi, sopita dagli anni e da troppa incivile civiltà. Questo stallo di sicurezza crea brividi d’avventura, di totale mancanza di difese che ci fa amare ancora di più questa terra. Raccontano i Boscimani che l’uomo bianco ha la strana malattia di essere innamorato di questo paese, dei suoi spazi, dei suoi silenzi, del vuoto e degli animali, dei suoi cieli di nuvole spezzate e delle stelle che illuminano tremolanti la savana. Dicono i San che gli uccelli tessitori, nei loro nidi a scrigno, racchiudono il cuore dei bianchi e lo appendono alle acacie, come pegno, in attesa del loro ritorno.

Comodità e buon gusto

Magico Botswana

L’arrivo al campo ricorda un passo del libro di Karen BlixenLa mia Africa“, quando, al ritorno dopo una lunga assenza, la scrittrice trova schierata tutta la servitù sotto la veranda della sua villa sulle colline N’Gong. È un rituale dal sapore un po’ retrò, vagamente coloniale: cuochi, porter, guide e camerieri del lodge sono in fila ordinata ai bordi delle tende, battono le mani intonando una canzone tswana che sa di benvenuto e s’inchinano presentandosi, sussurrando timidi il loro nome. Il lodge è intimo, poca gente, nessun rumore e solamente dodici tende che nascondono all’interno una piacevole sintesi di comodità e buon gusto: tappeti, mobili in stile inglese, bagno, quadri. I campi e i lodge, seguono la politica turistica di alto livello di questo paese, che ha la moneta più forte dell’Africa, una solida e collaudata democrazia e i diamanti come prima voce di esportazione.

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L’odore del fuoco, le prime voci nel campo, il breakfast con pancetta, uova e caffé lungo e nero, rendono più sereno il mattino, dopo aver passato buona parte della notte a osservare nella semioscurità un branco di elefanti che si aggirava fra le tende, montate proprio sotto una piccola foresta di acacie erioloba. I pachidermi sono ghiotti dei suoi grossi baccelli a mezzaluna. Arrivano a notte fonda, scuotono con la proboscide i rami ed i frutti cadono come pioggia sopra le tende. Gli elefanti sono così vicini che si sentono il loro respiro profondo e i gorgoglii baritonali con i quali comunicano.

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