Domenica 24 Novembre 2024 - Anno XXII

Quattro passi a Shangri-La

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Un viaggio per quanto breve e frettoloso non può che suscitare curiosità. Nico Bosa in “Quattro passi a Shangri-La”, edito da Alpine Studio, ci trasporta lungo l’antica Via del tè e dei cavalli, dal “Paese a sud delle nuvole” fino al cuore dell’altopiano tibetano

L’ombra delle tigre sull’acqua

Shangri-La Una delle gole del fiume Yangtzè
Una delle gole del fiume Yangtzè

Shangri-La, l’Eden descritto in Orizzonte perduto, ha trovato finalmente collocazione nelle carte geografiche reali, in una regione tibetana dello Yunnan posta tra il Mekong e lo Yangtzè. Un viaggio da Kunming a Lhasa offre all’autore l’opportunità di curiosare in questo Eden artefatto, sospeso tra montagne sacre e gole vertiginose, dove i coloratissimi costumi delle minoranze etniche parlano di tradizioni ancestrali destinate a scontrarsi con i ritmi incalzanti della nuova Cina.
Riportiamo una parte del capitolo “L’ombra delle tigre sull’acqua”.

Ci fermiamo su una specie di promontorio che le ruspe hanno morsicato per bene fino a ricavare una spianata. Con i massi bucherellati rimossi dai lavori di sterro è stato assemblato un edificio incongruo, una via di mezzo tra i castelli degli gnomi e le abitazioni dei cavernicoli. I trogloditi vendono cibarie e bibite, oltre a regalare un buon volume di pop cinese. Con la quantità di frutta che abbiamo comprato nelle bancarelle lungo le strade bordate di eucalipti, abbiamo bisogno di tutto tranne che di cibo. Di fianco al castello calcareo un sentierino scende zigzagando ad un padiglione in legno che si affaccia sul vuoto, il paesaggio che si offre allo sguardo è un buon pronostico per le tappe dei prossimi giorni.
Non siamo certo i soli ad aver optato per le gole dello Yangtzè e c’è già un notevole viavai. È sicuramente un luogo particolare, inevitabile quindi che venisse valorizzato, e, come succede ovunque, questo comporta un corollario di sfighe che minano non poco l’autenticità dei luoghi e quella delle persone che ci vivono.

Shangri-La

Lo Yangtzè scorre verso nordest perché, dopo esser sceso per centinaia di chilometri dall’altopiano puntando verso meridione, all’altezza di Shigu – a una cinquantina di chilometri da qua – ha cambiato verso e ora fluisce quasi parallelo a sé stesso. Più avanti, neanche esitasse a varcare il confine con il Sichuan, fa una curva altrettanto brusca, però dall’altra parte, e di conseguenza questa porzione del suo corso disegna una grande N rovesciata. “Come una spada d’acqua”, giusto per citare Rock, il fiume ha dovuto aprirsi un varco tra il Dragone di Giada e la Montagna Innevata di Haba e, da certe prospettive, le pareti rocciose che lo contengono paiono effettivamente separate da un fendente ciclopico.
Parcheggio, biglietteria, cibi e bevande, gruppi di Cinesi felici, omini che ci incanalano nella strada pedonale che costeggia il fiume impugnando altoparlanti che emettono frasi perentorie e incomprensibili, probabili inviti alla prudenza. Ci avviamo a piedi lungo una stradina che ogni tanto s’infila in brevi gallerie. Le voci che escono dagli altoparlanti collegati ai registratori, del tutto incongrue con gli atteggiamenti e l’aspetto degli addetti che li maneggiano, creano un’atmosfera surreale.
Sull’altra sponda la strada, lì carrozzabile, corre molto più in alto e fa una certa impressione vedere pulmini che avanzano con una ruota nel vuoto. Un’enorme frana di roccia si è staccata sopra la carreggiata lasciando una cicatrice bianca sulla parete e un cumulo di massi candidi e spigolosi che emerge dalle acque turbolente come la punta di un iceberg.
C’è una mezzoretta di cammino e tutto il tempo per ritrovare e riperdere quelli del mio gruppo, salutare Cinesi felici e vario turismo internazionale, declinare le generalità e fingere di capire quello che mi viene detto.

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La copertina del libro 'Quattro passi a Shangri-La' © Alpine Studio, pagine 290, € 16,00
La copertina del libro ‘Quattro passi a Shangri-La’ © Alpine Studio, pagine 290, € 16,00

Ecco finalmente il punto più stretto e famoso di questo canyon, quello che gli da il nome di Gole della tigre balzante. Secondo un improbabile racconto, una tigre inseguita da un cacciatore Yi sarebbe riuscita ad attraversare il fiume usando a mo’ di pedana intermedia il grosso scoglio piazzato tra i flutti. Sarà anche il punto più stretto (comunque sempre una trentina di metri), ma io al posto della tigre avrei preferito sbranare il cacciatore perché c’è un vero inferno là sotto! L’acqua giallomarron sferza le sponde rocciose, rimbalza, si attorciglia intorno al masso, forma mulinelli schiumosi, sembra perfino invertire direzione, e poi si innalza per metri e metri sfrangiandosi in miliardi di gocce. Bisogna dire che, nonostante l’addomesticamento circostante, il ruggito dello Yangtzè è davvero impressionante. Ci sono delle scale che portano a due terrazze – diciamo così – panoramiche, dove si agitano i turisti che tentano di fotografare i flutti ribollenti senza esserne colpiti. I più previdenti indossano cerate gialle o rosa o trasparenti. Scendo in quella più larga e ci provo anch’io rimediando una bella rinfrescata.

Rinuncio a spostarmi nell’altra, quella che più si protende verso il fiume, dove i più temerari sfidano con coraggio la rabbia del fiume… Ma figurati! Qua siamo tutti polli d’allevamento, coraggioso era Rock che ci è venuto nel 1924, quando solo arrivare fin qui era un azzardo e nessuno poteva garantire se si sarebbe usciti indenni dalle fauci della tigre.

Shangri-La Il tempio di Shibaozhai
Il tempio di Shibaozhai

Raggiungo i miei compari all’entrata, intenti a recuperare le energie spese nell’escursione: birre, coke, ma anche pannocchie abbrustolite e patate dolci. A me le patate ‘mericane mettono sempre l’acquolina in bocca e un sereno buon umore. La signora ha intuito che sono uno che dà soddisfazione e me ne prepara un bel cartoccio. Hanno la pasta gialla e un sapore più vago di quelle nostrane, ma vanno bene lo stesso, rimangono un cibo dell’anima che ricorda infanzia, nonne e stufe a legna con i cerchi di ghisa incandescenti. Si può pretendere di più per tre yuan?
Prendo una birra con Marzio. I cibi dell’anima richiedono sempre un’abbondante dose di liquidi, poiché tendono a compattarsi nell’ingombro corporeo. Il mio amico ritiene che la strada che abbiamo percorso sia uno scempio e che questo chiosco sia da abbattere. Lo ascolto con estremo interesse annuisco, mi godo la birra e un’altra patata e sorrido alla signora che le vende: io il chiosco lo salverei.

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Shangri-La Scalinata lungo la parete rocciosa della montagna
Scalinata lungo la parete rocciosa della montagna

La strada costeggia un affluente dello Yangtzè che si è scavato il letto a fianco della montagna innevata di Haba e poi inizia a risalire verso l’altopiano. Proseguiamo nell’aria ripulita e finalmente più fresca fino ad arrivare ai pascoli di Xiao Zhongdian.
Di fianco alla strada lunghe pertiche infilate in piramidi di sassi sorreggono file multicolori di lungta, i “cavalli del vento” che spandono le loro invocazioni con un rumore di foglie secche.
Nella grande spianata i ragazzi incitano piccoli cavalli in nervose sfide che si concludono con grandi risate, sul ciglio dello sterrato tavoli precari espongono bevande gasate, biscotti e frutta secca. Accoccolate dentro ai grembiuloni polverosi, donne con i capelli intrecciati a strisce di tessuto rosa e azzurro gesticolano indicando i funghi stesi su tovaglie quadrettate e asciugamani bisunti. Gli uomini propongono le larve raggrinzite dei cordyceps di bassa qualità, un’anziana Yi fuma la pipa sotto a un quadrato di stoffa nera sospeso sulla testa.
Alla fine del pianoro una cornice di bosco sorregge poggi più alti dove si coltiva qualcosa che li tinge di verde tenero, di giallo e di fucsia. Quello fucsia dev’essere grano saraceno. Il paesaggio prende il sopravvento, risaliti sui veicoli incolliamo il naso ai finestrini. Guido, noto ai più come “il cobra di Firenze”, sospende l’usuale repertorio di malignità sul resto della comitiva. Tondrup, il nostro autista, accompagna in falsetto le note che escono dagli altoparlanti, si sente a casa. L’atmosfera è ormai tibetana, come ricordano le onnipresenti bandierine e l’abbigliamento delle persone che incontriamo.

Shangri-La Zhongdian, montagna e monastero
Zhongdian, montagna e monastero

Arriviamo a Zhongdian dopo esserci abbassati in una valle ed esserne riemersi con il sole già basso all’orizzonte. Passiamo tra edifici appena terminati, o ancora in costruzione, prima di immetterci in un vialone che porta nella zona degli alberghi.
Nella rotatoria che costeggiamo per puntare verso la città vecchia ci accoglie l’enorme immagine di una cresta innevata che fa da fondale a un monastero tibetano; in primo piano sorridono donne in costume etnico con i capelli acconciati con strisce di seta. Incorniciato da ideogrammi cinesi e caratteri tibetani, il bagliore dei ghiacci rivaleggia con quello dei padiglioni dorati per darci il benvenuto: Welcome to Xangelila. Non è il primo cartellone del genere che abbiamo incontrato, ma questo è colossale. Seppur inquadrati in modo diverso, montagna e monastero sono quasi sempre gli stessi, mentre le varianti toponomastiche sono piuttosto numerose: Shangelilla, Xangelila, Shangrila, Shagri-la, Shangrilla, Saghi-La… Comunque l’avete capito: siamo arrivati a Shangri-La! […]

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