Il mondo che non c’era è il titolo della mostra annunciata al museo archeologico nazionale di Firenze dal 19 settembre. Il continente americano, scoperto da Cristoforo Colombo (tuttavia aveva immaginato di condurre un viaggio nelle Indie), sarà raccontato da una selezione di centoventi manufatti e opere d’arte delle civiltà precolombiane.
La mostra è un omaggio a Giancarlo Ligabue, industriale e paleontologo veneziano, scomparso a gennaio di quest’anno. Ligabue ha speso la sua vita in esplorazioni scientifiche. Proprio dalla sua collezione sono stati scelti una buona parte dei reperti. Molti di essi, precisano gli organizzatori, finora mai esposti al pubblico. Si tratta di esempi delle civiltà che popolavano la Mesoamerica e le Ande. Il periodo è quello prima dell’arrivo degli europei: Olmechi, Maya, Aztechi, Inca, oltre a esempi della cultura Chavin, Tiahuanaco e Moche.
Dall’America a Firenze
Non è un caso che la rassegna, realizzata da Ligabue Spa insieme a istituzioni veneziane e toscane, trovi sede a Firenze. Furono proprio i Medici, nel Cinquecento, a decidere di custodire, nelle loro collezioni, le prime testimonianze di quei popoli sconosciuti che abitavano Il mondo che non c’era e che, di lì a poco, vennero sterminati.
Le opere delle civiltà precolombiane avevano già sedotto alcuni degli uomini più colti del Rinascimento, come già Albert Dürer, che scrisse: “Queste cose son più belle che delle meraviglie […] Nella mia vita non ho mai visto cose che mi riempissero di gioia come questi oggetti”. Il valore di quei manufatti, del resto, venne dimenticato da gran parte degli europei, che tendevano a considerare gli indigeni americani popolazioni barbare e poco evolute. Il “mondo che non c’era” sembrava troppo diverso dal loro.
Dagli Olmechi agli Inca
Tra i manufatti presenti in mostra figurano maschere in pietra, sculture e lavorazioni in ceramica e in oro. Al visitatore poco esperto di cultura precolombiana, Il mondo che non c’era apparirà come un percorso di esplorazione, che darà conto delle diverse civiltà che gli studiosi degli ultimi due secoli hanno riscontrato nell’America centrale e meridionale.
Tra gli altri, si troveranno le maschere di in pietra di Teotihucan, la più grande città della Mesoamerica, tra le quali la maschera in onice verde già appartenuta ai Medici; vasi con decorazioni e iscrizioni Maya; statuette di ceramica cava, di cultura Tlalica e Olmeca; utensili decorati in oro Aztechi, come propulsori per lanciare frecce; le Veneri ecuadoriane di Valdivia.
Alcune opere in mostra vengono dalle collezioni antiche di Andrè Breton e Paul Matisse. Forti, come sembrava allora, della “loro” civiltà avanzata, gli europei aspettarono almeno quattro secoli per riuscire a vedere un valore artistico nell’espressività dei popoli “primitivi”.