Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Sul treno chiamato jazz da Bari a Martina Franca

Un treno chiamato jazz

Il turismo slow in carrozza piace agli italiani. Il treno luogo d’incontro per stare insieme con modalità differenti. La lentezza del treno per ammirare i paesaggi, i panorami, per gustare prodotti tipici. Nel viaggio sul treno speciale da Bari a Martina Franca si è ascoltato il jazz

Il treno chiamato jazz

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Un treno chiamato jazz, interno del vagone

“Il treno chiamato jazz” sibilava quasi in segno di allegria e i bambini tripudiavano. Dario De Simone, dell’Aisaf di Bari, psicopompo dell’iniziativa, era frastornato, sballottato tra il cronista ansioso di sapere mille particolari e l’operatore di Telenorba che lo riprendeva di faccia, di profilo, nascosto dal contrabbasso che il suonatore faceva fatica a salvare dalla ressa.
Scene già viste un mese prima, quando sullo stesso binario il “Salento Express” aveva fatto la sua prima corsa. La macchina era dei primi anni ‘50: pezzo da museo, sì, ma ancora nel pieno della sua potenza. I vagoni risalivano forse al tempo della guerra: quasi gli stessi di quelli che ci portavano da Taranto a Martina, dove la notte ci svegliavano terribili boati: le bombe che facevano lampeggiare l’orizzonte e crollare i palazzi. Allora il treno non oltrepassava la stazione di Nasisi, perché quella di Taranto era a rischio. Da lì alle Tre Carrare, dove abitavo (saranno venti chilometri? Di più?) bisognava andare a piedi. Camminata stancante, che dovevamo fare dopo ogni bombardamento per accertarci che la nostra via non fosse sommersa dalle macerie. Quando il conflitto si concluse e si raccoglievano i cocci, alla stazione della Bimare andavamo con la carrozza. Il vetturino, sempre lo stesso, in cassetta con il cappello a cilindro, si presentava alle sei del mattino, quando le strade erano deserte, le finestre chiuse e i negozi pure, a parte quello del fornaio. Il treno per Martina partiva alle 7.30. Le tappe: Nasisi, Statte, Crispiano, Madonna del Pozzo, San Paolo. Mi inebriava il fischio “d’a Ciucculatera” che a volte aveva un respiro affannoso.

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La Murgia dei Trulli nei ricordi di ieri

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Un Treno chiamato jazz, intrattenimento musicale a bordo

Passarono gli anni, e non so più quante volte, arrivando a Bari da Milano, raggiungevo Martina con la Sud-Est. E riscoprivo dettagli dimenticati, provando emozioni che mi inumidivano lo sguardo. Un giorno, non so più se a Casamassina o a Conversano, l’altoparlante annunciò che i contadini, per una protesta, avevano occupato le rotaie, per cui non era possibile proseguire. Non mi scomposi: scesi, mi sedetti su una panchina rinunciando ad accendere il solito toscanello per meglio osservare i viaggiatori: contrariati o adirati o impennati. Io avevo tempo, ero libero da impegni: ero già in Puglia, nella mia Puglia, che per Giuseppe Carrieri è la patria di Andersen, “un Andersen mediterraneo, con più balenanti misteri”…E gioivo, respiravo aria familiare, ritrovavo vecchie fragranze. .. Ero diretto a Martina, e ricordavo:… “la Murgia dei Trulli raggiunge qui la sua  vetrina domenicale, la sua stravaganza espressiva”.
“È un’indecenza”, urlò un tale con una voce da gallinaceo. “Uno schifo”, gli si associò un altro. “La polizia che fa; sta a guardare?”, tuonò un terzo. Poi un coro assordante. Io, serafico, quando potetti, azzardai: “Ognuno si difende come può. Subiscono un’ingiustizia e reagiscono”. Uscii indenne dall’intervento. Nessuno ebbe la tentazione di ridurmi in poltiglia. Era quasi mezzogiorno; l’interruzione doveva concludersi alle 16. Guardavo il locomotore e invidiavo i macchinisti che dalla cabina di guida si godono il treno che filando divora la strada ferrata. E pensavo alla piattaforma girevole della stazione di Martina, sepolta sotto uno strato di terra. Mi dicono che prossimamente verrà riscoperta, restaurata e sistemata come base di una “Ciucculatera”: un monumento al treno, che alimenta i sogni, le chiacchierate, le confidenze, gli sfoghi, gli incontri.

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Semaforo verde per il “Salento Express”

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Arrivo del Salento Express a Martina Franca

Il mio amico Gerardo voleva andare a vedere il luogo della sepoltura della piattaforma. Ma non c’era tempo. Le sbarre del passaggio a livello erano state abbassate. Il “Treno chiamato jazz”, o meglio “Salento Express”, aveva già lasciato lo scalo di Locorotondo. Erano quasi le 19.
“Attenzione al terzo binario”, ha avvertito una voce. Subito dopo la baraonda. Mille macchine fotografiche scattavano foto. Duecentottanta viaggiatori salutavano con in fazzoletti in mano, il marciapiede formicolava di gente che sbucata improvvisamente assediava il convoglio: un’accoglienza calorosa che bloccava i gitanti sulla piattaforma, sugli scalini. Il trombettista vinceva la tentazione di intonare il silenzio, per agevolare uno dello “staff” che informava, sgolandosi: “Chi vuole può andare a visitare il centro storico, ma deve tornare puntuale”, mentre una siepe umana s’ingrossava attorno a un complesso che, non ancora defatigato, riprendeva il concerto sul piazzale.
Un 19 settembre da inserire negli annali, ha commentato il papà di Gerardo, Nicola, uomo di poche parole, ma sempre ben dosate, che con il suocero Vito e la moglie Antonella aveva atteso lungo l’ora dell’evento. “A parte lo spettacolo davvero grandioso, avete notato la pianta di capperi spuntata proprio sul terzo binario?”.

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