Itinerari a misura di “naso”. Il libro Viaggi e Profumi di Luigi Cristiano e Gianni De Martino si muove sulle tracce di odori aromi fragranze. Si parte dalla vallata marocchina con le rose del Dadès all’umida foresta messicana dove cresce la vaniglia. Gli autori di questo libro hanno “messo il naso” in casa d’altri, gustando i profumi e gli aromi di alcuni paesi produttori di piante da profumo, spinti dall’interesse, uno come erborista compositore di profumi e l’altro come studioso di antropologia sensoriale, per le piante aromatiche. A differenza di come hanno fatto i nostri autori, i “grandi nasi”, viaggiano soprattutto per trovare le migliori basi naturali, gli ingredienti della migliore qualità per fabbricare quello che in gergo dei profumieri-compositori si chiama “le jus”. Il libro traccia la geografia dei profumi, con l’aggiunta di due capitoli – sui profumi della Bibbia e i balsami della Pompei antica – che sono viaggi nel tempo, all’origine dell’arte profumiera e della sua storia. Proponiamo la lettura del capitolo su la rosa del Dadès.
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La rosa del Dadès
Inseguendo la scia di un profumo di rose portato dal vento del Sahara, imbocchiamo, da Marrakech, la strada del sud-est che, fra le vette innevate dell’Alto Atlante e i burroni vertiginosi, porta nelle vallate subsahariane dove si coltiva la rosa centifolia del Marocco. Oltrepassata Ouarzazate – capitale del Sud marocchino che è stata scenario di molti film famosi come “Un tè nel deserto” di Bertolucci e “Thè Kundun” di Martin Scorzose – attraversiamo paesaggi sui quali incombono sontuose kasbah di terra rossa e distese di altopiani sassosi punteggiati da cespugli di lavanda selvatica, ciuffi di timo e dromedari.
Dopo circa 40 km, ecco l’oasi di Skoura con le sue palme da dattero, eucalyptus e oleandri, meli, viti e mandorli fioriti, tra i quali si ergono le spettacolari rovine dell’architettura berbera fortificata: gli ksur (ksar, al singolare). Risalendo verso nord-est la valle fluviale del Dadès e del M’Goun, dopo 50 km raggiungiamo El Kelaa: una cittadina circondata da mille kasbah e da campi incredibilmente verdi. Siamo a 300 km da Marrakech e a 85 da Ouarzazate sulla strada di Errachidia, alle porte del deserto. Proprio qui, a El Kelaa M’Gouna, è gelosamente custodito il segreto dei maestri profumieri di Provenza. Fin dalla prima metà degli anni Trenta, alcuni industriali e profumieri francesi iniziarono a valorizzare la produzione della rosa centifolia, la cui essenza, conosciuta come “Rosa di Maggio“, entrerà in profumi prestigiosi. Nel 1937, la società Floratlas installava una prima fabbrica, e nel 1938 per la prima volta trattava 72 tonnellate di rose. La presenza di questa fabbrica e l’installazione di una seconda, Aromac, del gruppo cosmetico Sanofi, che appartiene alla compagnia francese Aquitanie, hanno portato a un ulteriore sviluppo della coltivazione di questa pianta.
La rosa, sbocciata sulla Terra 40 milioni di anni prima della comparsa dell’uomo, era già presente in molte oasi sahariane. Si ritiene che la culla della Rosa di Maggio sia la Persia antica, ma nessuno sa individuare con certezza l’epoca dell’arrivo delle prime piante di rosa nella regione. Lungo queste vallate ricche di palmeti si snodavano in passato le rotte carovaniere che collegavano i paesi del Maghreb con l’Africa e con l’Oriente. E probabile che le piante siano state portate da pellegrini e viaggiatori al ritorno dall’Oriente. Solitamente infatti essi portavano dai paesi visitati semi e piante che avevano attirato la loro attenzione per la bellezza dei fiori o la qualità dei frutti. In ogni caso la rosa pallida ha trovato il suo terreno e il suo clima d’elezione in queste valli abitate dalle tribù berbere islamizzate.
I terreni coltivabili delle oasi erano troppo limitati perché le superfici consacrate alla rosa potessero estendersi, invece, queste valli del Sud del Marocco ne hanno permesso l’espansione. I campi si estendono a perdita d’occhio su una lunghezza di più di 50 km, lungo le riviere del Dadès e del M’Goun, dove la primavera esplode luminosa e inebriante. Oggi la produzione di rose del Dadès varia di anno in anno, a seconda delle condizioni climatiche. Le gelate primaverili posson condizionare considerevolmente il livello di produzione, dell’ordine di 3755 tonnellate l’anno, la maggiore produzione mondiale. Come ogni anno, durante la prima o la seconda settimana di maggio (dipende dal calendario lunare musulmano e dalle decisioni del locale Ente Nazionale per il Turismo), questo piccolo villaggio tra i monti dell’Atlante e l’immensità del Sahara, è il teatro di una festa animata dal folklore berbero in cui le rose e tutta l’industria sorta parallelamente a questa coltura stagionale giocano il ruolo principale. Una festa, quella delle rose, da non perdere per nessun motivo.
La raccolta delle rose
Dopo aver preso alloggio presso l’amichevole Hotel Les Roses du Dadès, costruito negli anni Settanta nello stile di una kasbah e completamente integrato nel paesaggio, andiamo nei campi ombreggiati da mandorli, da fichi e da melograni color porpora, alla ricerca dei primi cespugli di rose. C’inoltriamo fra canali (seguias) imbricati in una geometria perfetta dove l’acqua scorre in abbondanza e alimenta numerose parcelle di terra coltivata a grano, orzo, erba medica, piselli o fave. I campi sono chiusi da grandi siepi di rosai e si stagliano su un orizzonte per metà azzurro e per metà bruno che conserva il suo aspetto sahariano. Non sono veri e propri campi coltivati a rose, come immaginavamo prima di partire, ma siepi che costeggiano il bordo interno di migliaia di piccoli appezzamenti e coprono circa 100 ettari, divisi tra numerosi piccoli proprietari. Questa varietà di piccole e delicatissime rose pallide si sviluppa in cespugli alti circa tre metri, con rami bruni irti di spine laterali. Le sommità fiorite portano fiori rosa dalle corolle dense, che spandono un odore soave. Quello che meraviglia è che questa straordinaria varietà di rosa, la Rose de Mai che qui chiamano rosa del Dadès, si sia acclimatata così bene a circa 1500 metri di altezza, fra le nevi dell’Atlante incombente e il torrido sole del Sahara. Forse la sua fragranza intensa, leggermente speziata a differenza della rosa bulgara, si deve proprio alla sua breve vita. Nella freschezza del primo mattino, le rose apertesi durante la notte spandono ovunque il loro profumo e l’aria risuona delle risa e dei chiacchiericci delle donne, che, avvolte in caftani neri e con la fronte fasciata da stoffe colorate, si chiamano da un campo all’altro. A occhio e croce, osservando la fioritura dei cespugli di rose di quest’anno, un metro di siepe dovrebbe fornire una raccolta di circa un kg di rose fresche. A mano a mano che il sole si alza, gli scialli si appesantiscono, riempiendosi di teneri boccioli di rose.
Karima, le agili mani tatuate con l’henne, rifiuta, come le altre, di farsi fotografare. In compenso, aiutata da Aziz, il fratello che sa un po’ di francese, ci dà alcune informazioni. Ci dice che le rose verranno portate a un sensale, che le avvierà subito in camion verso le due fabbriche di El Kelaa, e che quest’anno (1999) la fabbrica paga per un kg di rose un prezzo concordato di 5,30 DH (dirami). Aggiunge che una famiglia di sei persone può raccogliere, in un giorno, circa 120 kg di rose, e che la raccolta si svolge dalla metà di aprile alla metà di maggio di ogni anno. Un gran lavoro, se si pensa che i fiori, delicatissimi, vanno spiccati manualmente uno a uno e che occorreranno 500 kg di rose fresche (circa 100.000 fiori) per ottenere un kg di concreta. Un prodotto che peraltro Karima non vedrà mai perché verrà interamente esportato in Francia per ricavarne qualche grammo di assoluta (circa 200 grammi per ogni kg di concreta). E comprensibile che nell’ambito dell’industria profumiera la quotazione di un kg di assoluta oscilli tra i 13.000 e i 15.000 dollari e comporti corsi fluttuanti e non poche preoccupazioni legate al clima e al territorio, al dialogo con gli agricoltori, i botanici, i chimici, gli industriali e le autorità locali.
Occorre anche mettere in conto il corso fluttuante dei fiori e i costi sempre più elevati della manodopera. Costi comunque impensabili ai piedi delle Alpi, dove abbiamo assistito in Liguria per la rosa e in Sicilia per il gelsomino alla scomparsa progressiva e costante dei terreni e delle coltivazioni di fiori da profumo. Le donne avanzano di cespuglio in cespuglio. Sanno che devono fare in fretta. Immediatamente dopo la raccolta, le rose vengono portate nei diversi posti di compera, circa una cinquantina, che le due fabbriche hanno installato lungo le rive dei due fiumi (Dadès e M’Goun). Questi posti sono serviti da camion affinchè la rosa arrivi in fabbrica fresca e il più rapidamente possibile. Tutta la produzione giornaliera dev’essere trattata il giorno stesso.