Lunedì 2 Dicembre 2024 - Anno XXII

Micronesia: piccole isole, grande natura

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L’immenso Oceano Pacifico, tra le Filippine e le Hawaii, è punteggiato da una miriade di isole piccolissime. Micronesia, isole così chiamate dall’unione di due parole del greco antico: “mikros” (piccolo) e “nesos” (isola). Oggi, ricercate mete turistiche.

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Palau, acque cristalline e barriera corallina

L’arcipelago della Micronesia è formato da isole che sembrano minuscoli puntini in un oceano tanto grande.  Per lungo tempo rimasero sconosciute ai navigatori europei che dall’inizio del Cinquecento solcarono i mari tra America e Asia alla ricerca di nuovi possedimenti per gli “sponsor”  finanzianti le spedizioni (i sovrani di Spagna, Portogallo e Inghilterra) destinatari di oro, avorio, pietre preziose e soprattutto di quelle voluttuose spezie orientali che rivoluzionarono la nascente arte del cucinare.
Se isolamento vuol dire tranquillità, assenza di visite inopportune, serena contemplazione di una natura fantastica, bene fecero gli indigeni dei secoli scorsi a godersela. Ai loro discendenti andò peggio. Molte isole furono infatti teatro di tragici combattimenti,  durante la seconda guerra mondiale, tra “marines” americani e giapponesi; le famose battaglie del Pacifico, culminate con le imprese degli altrettanto famosi “kamikaze”.
A Guam gli spagnoli erano già arrivati alla fine del Cinquecento, trasformando l’isola in un importante scalo sulla lunghissima rotta dei galeoni “Filippine-Spagna” via Acapulco; qui le ricchezze venivano sbarcate e trasportate via terra a Veracruz, riprendevano il mare per Cuba e di lì proseguivano per Cadice. Facile a questo punto concludere che – tra tifoni del Pacifico, pirati, uragani dell’Atlantico, corsari e furti a bordo – la “polpa” che arrivava ai monarchi iberici si era ridotta sì e no a qualche “osso”.

Microcosmo Micronesia
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Le isole sono ricoperte da una fitta vegetazione.

La moderna Micronesia si suddivide in entità politiche – corrispondenti a vari arcipelaghi – suddivise nella repubblica di Palau (indipendente), le isole Marianne (Guam e Saipan, “territori” o per meglio dire virtuali possedimenti Usa) e gli Stati Federati (Yap, Truk, Ponape, le Marshall).
Fortunatamente (per i turisti che non amano spendere troppo né affrontare lunghi voli) Palau è l’arcipelago della Micronesia più “vicino” all’Italia, raggiungibile in meno di due ore di volo dalle Filippine.
Fortunatamente: perché Palau racchiude gran parte delle bellezze della Micronesia (quasi da potersi dire che chi è stato a Palau è stato, ha visto la Micronesia).

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Tartaruga marina uno dei tanti esemplari di fauna che qui si possono ammirare

Anzitutto il mare, definito da Cousteau il più bello del mondo e stavolta, perché lo scienziato francese fu particolarmente generoso in simili elogi, ci azzeccò; l’eccellente fauna subacquea; i ricordi storici delle battaglie tra americani e giapponesi (vi fu pure girato il film “Duello nel Pacifico” con Lee Marvin e Toshiro Mifune) e soprattutto le meravigliose Rock Islands, un incredibile opera della natura formata da isolotti emisferici di colore verde-smeraldo, galleggianti su un’acqua dai riflessi che spaziano dal blu al turchese. In questa piccola repubblica (quindicimila abitanti, ma con tanto di Casa Bianca presidenziale e -tra le curiosità – una ex ministro del turismo sposata con un pacioso imprenditore marchigiano, i ritmi di vita sono blandi, non stressanti.
Quanto al turista, al Palau Pacific Resort ha solo da scegliere tra il relax in piscina o sulla spiaggia, snorkeling e
pesca d’altura, ospitato in eleganti bungalow a due piani, nel verde di un giardino dalla natura lussureggiante.

A Yap, la moneta più “pesante” del mondo
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Yap, briciole di paradiso

Un’ora circa di volo da Palau ed ecco Yap, meno turistica (un tempo si diceva “americanizzata”, ma nel Pacifico è ovviamente massiccia anche la presenza dei giapponesi) e nota soprattutto per le curiose monete di pietra, circolari e bucate, talvolta – per i “tagli” più grossi – pesanti anche quintali. Chicca per i sub, assai vantata da chi promuove il turismo sull’isola, le razze: in autunno, oltre che numerose, sembra che siano particolarmente socievoli. Al centro della Micronesia, e quindi aeroporto di smistamento, Guam vanta i citati ricordi spagnoli e un presente quanto mai yankee (è tra le più importanti basi militari nel mondo). Certamente apparve meno attrezzata e soprattutto meno accogliente a Magellano (con il vicentino Pigafetta suo cronista) che appena gettata l’ancora fu derubato dagli indigeni Chamorros (talché le isole, prima di chiamarsi Marianne, erano conosciute come isole dei Ladroni).
Truk e Ponape, a ovest di Guam, offrono differenti sensazioni. La prima fu baldanzosamente definita dai
giapponesi la Gibilterra del Pacifico. Ma nel febbraio del Quarantaquattro gli aerei americani, scambiando la difesissima laguna per un Luna Park, tirarono al bersaglio e affondarono sessantaquattro navi dell’imperatore Hiro Hito. Grazie a questa vicenda bellica, Truk è oggi la mecca dei subacquei specializzati nell’esplorazione dei relitti marini.

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Un’altra Venezia a Ponape
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Micronesia, un mare dove tutti gli appassionati di immersioni vorrebbero tuffarsi

Ponape (o Pohnpei) la più orientale delle isole solitamente visitate, capitale Kolonia, è invece un’isola misteriosa e romantica. Nan Madol, una mini Venezia costruita sull’acqua con enormi blocchi di basalto, obbliga a domandarsi quali raffinate tecniche di trasporto conoscessero i micronesiani sette secoli fa.
Si dorme al The Village, ventidue bungalow costruiti con sobria eleganza (finestre senza vetri grazie alla costante temperatura, materassi ad acqua, dettagli semplici ma accurati) nel cuore di una collina dotata di una foltissima vegetazione.
Dal bar e restaurant “The Tattoed Irishman” (l’irlandese tatuato) immerso tra palme e piante tropicali, si domina l’azzurro della laguna delimitata del reef, più in là il blu dell’oceano. Facile, in questo remoto angolo del Pacifico, sognare a occhi aperti il mito dei “Mari del Sud” e altrettanto facile condividere il commento di Patty Arthur, padre cremonese, proprietaria del The Village (l’ha costruito col marito, olio di gomito e tanto
sudore): “The Village è un posto per  viaggiatori, non per turisti”.

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