Ore ventitre e dieci. L’aereo plana in mezzo alla tempesta di neve, si posa senza difficoltà apparente sulla pista innevata e si arresta davanti alla piccola hall dell’aeroporto di Kiruna, Lapponia svedese.
La citazione non è a caso. Questo aeroporto – trecento chilometri a nord del Circolo Polare Artico – è particolare, perché comprende l’Arena Artica, grandi capannoni con uffici e collegamenti via satellite, nonché strumenti meccanici ed elettronici per testare le macchine.
Qui, ad esempio, l’Agusta manda i suoi team tecnici a provare i nuovi elicotteri nelle condizioni artiche; e così fanno Airbus, Boeing, e poi Mercedes e Volvo. In effetti, quella dei materiali e apparecchiature elettroniche in condizioni estreme, con temperature che possono scendere a meno quaranta, è una frontiera tecnologica tutta da esplorare. Peccato che sia notte, e da parecchie ore. Se si ha la ventura di prendere un aereo al mattino, appena fuori della pista dell’aeroporto c’è una slitta trainata da cani (husky o siberiani) ad aspettare.
Kiruna una città modello nell’Artico
Nasce sotto gli auspici più favorevoli, Kiruna, nel 1900, quando il re di Svezia ratifica il piano di costruzione e i primi abitanti vi passano l’inverno. Levatore è Hjalmar Lundbohm, direttore delle miniere, ma non per questo limitato nelle sue opinioni. Tutt’altro. Lundbohm si interessa di arte e decide di fare della nuova città una comunità modello.
Come? Beh, invitando alcuni dei maggiori esperti di architettura e urbanistica sociale dell’epoca a collaborare. Fra i primi, Hallmann, che adatta il progetto generale di edificazione con le condizioni climatiche. Le strade cittadine, ad esempio, sono disegnate per assecondare il profilo del terreno con una trama irregolare, in modo da fermare i venti freddi. E una linea di tram si accaparra la nomea della più “settentrionale del mondo”. E poi un sistema di formazione, con i migliori artigiani svedesi del settore a insegnare nelle scuole obbligatorie della compagnia.
Una miniera “viva”
La miniera sotterranea più grande del mondo sta sempre sotto la “Montagna della Pernice”. Sotterranea dal 1960, perché prima si è scavato a cielo aperto. Si sale su un bus della compagnia per una visita guidata. Si imbocca il grande tubo per le viscere della montagna, un sistema di gallerie larghe che rappresenta la città sotterranea, l’alter ego della Kiruna di legno e cemento.
Qui sotto ci sono uffici, bar e ristorante, un museo e un auditorium (con pannelli, show multimediale), sale operative e di controllo, locali e macchinari di produzione, ascensori che rapidamente risalgono in superficie. E strade, con segnali e semafori, proprio come se si fosse “sopra”; cinquecento chilometri di tunnel e perforazioni, il cui punto più basso è attualmente a mille e quarantacinque metri sotto il picco della montagna, o trecento metri sotto il livello del mare. Il tutto in mezzo a un immenso deposito di materiale ferroso, di magnetite ad alto contenuto di ferro. Il minerale viene lavorato in “pellets” (pallottole, sfere) caricato sui treni per Narvik e qui imbarcato per le ferriere d’Europa che producono acciaio di alta qualità.
L’aereo al posto della slitta
Un benvenuto molto spettacolare per sottolineare che questo è, a suo modo, un punto di interscambio, come vogliono le più recenti teorie sui trasporti combinati. Solo che qui il cambio di mezzo, aereo con slitta, sta anche a significare un cambio di mondo, di cultura e, forse, anche di tempo.
L’aereo, espressione della contemporaneità e dei suoi link globali, lascia il posto alla slitta di betulla, coperta da pelli di renna e mossa da cani più o meno domestici, strumento secolare della mobilità artica, d’avventura.
Ore una e venti. Un lieve tremito scuote la cittadina, come un colpo di tosse dal sottosuolo. Mi spiegano che è così tutte le notti, una specie di “watchman”, come nelle città dei secoli scorsi, che dà un rassicurante segnale ai cittadini: “è l’una, e tutto va bene”…
Sotto, a cinquecentoquaranta metri di profondità, una carica esplosiva ha abbattuto un altro pezzo di roccia, l’ennesimo da quando si è cominciato a scavare quassù, agli inizi del secolo scorso. “Giron”, dicono i Sami (Lapponi), per indicare la pernice artica. Un uccello simbolo di queste terre, che nel lungo inverno vira il suo piumaggio in bianco, per motivi evidenti. Un uccello grasso e tondo, dalla carne molto saporita e ricercata.
Tra salmoni e ferro
“Giron” dicono i Sami, e “Kirun” capiscono gli svedesi, qui giunti come cacciatori e mercanti prima ancora che come minatori. Il luogo del ferro sta tra le due montagne, quella detta del salmone, “Luossavaara”, e quella della pernice, “Kirunavaara”. I Sami hanno occhio per la neve e per le luci del nord; se hanno chiamato quella collina “del salmone” è perché nel vicino, omonimo lago, sguazzano i salmoni. Ma gli svedesi preferiscono il più “astratto” riferimento alla pernice, che accovacciata nella neve sembra proprio una collina…
La nuova città del ferro si chiama dunque Kiruna. Anche se l’impresa che gestisce il tutto si chiama LKAB, cioè Società Luossa Kiruna, nata nel 1890; prima privata, poi partecipata dallo stato e, infine, statale.
Nella città spaziale
Qui la tecnologia è in continua evoluzione, non soltanto per migliorare il prodotto o trovare nuove applicazioni, ma anche nell’estrazione e nella lavorazione. Oggi lo scavo e il trasporto sono automatizzati: il “minatore” in uno studio controlla contemporaneamente tre schermi e con “joystick” dirige le operazioni, ascoltando in cuffia della musica.
Tecnologia e ricerca artiche, come si è già visto per l’aeroporto. Non lontano c’è la città spaziale di Esrange, uno dei grandi centri europei. Qui si studiano le aurore boreali, il buco dell’ozono, i cambiamenti del clima. Si lanciano e si controllano satelliti, e poi razzi e navicelle, come il Mars Express o lo Smart 1. Si possono fare tour guidati del centro, entrare in contatto con lo spazio, vedere dati e immagini del satellite.
Comunità artica organizzata
Kiruna diventa un esempio di esperimento sociale: non solo città in condizioni ambientali difficili, legata a una singola attività di sfruttamento delle risorse, ma una vera e propria comunità artica, che si identifica con la sua miniera ma ne rielabora significati e contenuti.
Tanto da attirare ricercatori sociali e artisti, che presto la trasformano in un centro d’arte, in quegli inizi del secolo.
Come il Principe Eugenio, raffinato pittore, che dipinge l’altare maggiore della chiesa parrocchiale. E tanto da influenzare anche il primo governo socialdemocratico, quello di Per Albin Hansson, che negli anni Trenta costruisce il nucleo originario dello stato sociale svedese, il “Folk Hemmet”, che è un po’ come dire il prototipo del welfare.
Il che significa che tutti noi dobbiamo qualcosa a Kiruna, Lapponia. E Lundbohm diventa una leggenda, il “Re della Lapponia senza corona”, come lo chiama nientemeno che Rudyard Kipling. D’altronde, è facile fare un confronto: Dawson City, nel Klondyke, ha fatto la sua bella corsa all’oro, più o meno nello stesso periodo, poi è scomparsa. Kiruna la sua corsa al ferro la sta ancora correndo, facendo evolvere le tecnologie e le attività economiche, e trasformandosi in una città contemporanea.
Architetture del Novecento
Già, ma com’è, oggi Kiruna? Hjalmar Lundbohm ha la sua tomba in mezzo alle betulle, nella collinetta sotto la chiesa. Una tomba semplice, come era l’uomo, ma solenne. Sulla pietra si fa cenno alla sua umanità. alle sue virtù civili, al suo interesse per il bello. E bella è la chiesa in legno, che prende spunto dalle tecniche costruttive delle “stavkirke”, le chiese in legno a pilastro portante della tradizione vichinga norvegese, per poi evolvere in una specie di enorme tenda lappone, omaggio alla cultura autoctona. Le case del primo Novecento, in parte progettate da Gustav Wickman, tenendo presente il clima artico, fanno corona alla montagna della miniera.
Si tratta di un album d’architettura, che segue l’evoluzione del gusto del secolo scorso. Di particolare valore, perlomeno simbolico, la casa di Lundbohm e il suo giardino; e il Municipio, con la sua strana torre, deposito di alcune delle opere degli artisti accorsi a Kiruna. Anche la ferrovia è particolare. Una linea costruita con grandi sforzi, inaugurata nel 1903, per collegare Kiruna con il porto atlantico di Narvik, Norvegia. Va sottolineato che allora Norvegia e Svezia (e fino al 1905) erano unite sotto la stessa corona. Oggi, i numerosi treni che trasportano il ferro a Narvik sono intervallati da treni passeggeri, che permettono di scendere fino al fiordo.
Astronauti per gioco
La nuova frontiera, però, è Xero, che sta per Zero Gravità. Voli aerei che permettono di annullare per qualche secondo la gravità, e di vagare nello spazio interno, proprio come fanno i cosmonauti nelle loro navicelle. Come? Con un aereo modificato, adatto a voli parabolici, vale a dire in salita da seimila a novemila metri e relativa discesa: la parte centrale di questo volo è a gravità zero. Le parabole possono essere ripetute anche trenta volte, dando così la possibilità di sperimentare varie situazioni.
Passatempo per snob ricchi? Forse, visti anche i costi. Ma non bisogna dimenticare che questo è uno dei desideri segreti dell’uomo. Qui si possono sperimentare il contatto con superfici diverse, interagire con i materiali, acquisire una nuova percezione dello spazio e del moto e, soprattutto, avere una sensibilità, un rapporto diverso con il proprio corpo. E vedere liquidi e oggetti danzare, come in una fiaba.
L’hotel di ghiaccio
Kiruna è la municipalità più grande e più settentrionale della Svezia. Seimila laghi, sette fiumi e venticinquemila abitanti, 20mila chilometri quadrati, quasi un sesto dell’Italia. Sta tutto nei numeri. Aggiungendone però un altro paio. La media delle temperature di gennaio, che è meno 14 (ma molte giornate sono a -20/-40, “real feel”) e i giorni di sole di mezzanotte, che sono 50 all’anno. Jukkasjärvi non è lontano. Un posto sperduto sul fiume Torne, un villaggio sami. Ma lo conoscono in tutto il mondo per un’intuizione geniale: “icehotel”, l’hotel di ghiaccio.
Si rimane sbalorditi di fronte al grande igloo, alle sue colonne trasparenti, alle statue, fontane, decorazioni; alle luci, alle stanze, una diversa dall’altra, ai corridoi e al bar. Un tripudio di ghiaccio, materia bellissima e anodina, espressione concreta del freddo. Natura e arte, antico binomio, trovano qui espressione e voce. Di fianco, una riproduzione in ghiaccio e neve del Globe di Londra, con tanto di gradoni, palco e rappresentazioni serali. Il safari all’alce è invece un’escursione paesaggistica.
Si guarda la natura artica, la neve, le betulle, i rilievi. Poi, qua e là, compaiono alci ruminanti, che si lasciano avvicinare dal pulmino dei partecipanti. Più difficile è il tour alla ricerca dell’Aurora Boreale. Si parte in motoslitta o in slitta trainata da cani, fino allo spiazzo giusto, lontano dalle luci della città. Ci si piazza su pelli di renna, faccia all’insù, e si aspetta che il cielo si colori, che le particelle sfreghino l’atmosfera colorandosi di verde e blu, rosso e giallo. Da dicembre a fine aprile.
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