Finalmente buio in sala. E con sala intendo quella da pranzo. La mia. Natale 2020.
Non so se l’autoisolamento l’ho scelto io o se sia stato lui a scegliere me. Comunque insieme stiamo benone. Sola in sala, con in testa la foto d’archivio di una tavola imbandita che non mi manca affatto; davanti una mensa splendidamente sparecchiata nel più bel Natale di sempre, senza nessuno tra le palle dell’albero. Anzi, non ci sono nemmeno albero né palle.
Mangio crostini al salmone e bevo vino sdraiata sul divano. Salmone selvaggio dell’Alaska, non quella cingomma arancione che compro da decenni al cinquanta per cento di sconto. Siccome i miei parenti ne mangiano a chili non mi posso permettere niente di meglio. E neppure ho mai desiderato permettermelo, peraltro.
Il Natale 2020 da casa Coppini
Ho stappato una bottiglia di champagne vero, non quella sciacquatura di piedi che porta mio cugino acquisito (acquisizione mai richiesta, comunque). Lui, che da quando lo conosco ha già inglobato mangiato metà del salmone prima che io riesca a sedermi a tavola.
Finalmente Champagne vero nel bicchiere di cristallo, quello per il vino e con il piede. Non in quello di vetro a fiorelloni che il mio pro-cugino alternativo ritiene sufficientemente alternativo per i suoi gusti trendy. E nemmeno nel flute amato da mia suocera. Ormai del suo originario servizio da 24 ne sono sopravvissuti solo tre (uno dei quali non è in gran forma), perché sono anni che ne spacco almeno due alla volta.
Tengo a precisare involontariamente, sebbene in realtà dentro di me è sempre stato grande il desiderio di frantumarli, così come il pranzo di Natale frantuma me. Li polverizzo con il pensiero e si vede che loro comprendono il mio disappunto nei loro confronti, visto che si suicidano scivolando dalle mie dita e sfracellandosi sul pavimento. Peccato.
Natale 2020 salmone, champagne e salame
Salmone, champagne e salame: non mi serve altro. Brindo all’assenza del panettone gastronomico della moglie di mio cugino, che ha l’aspetto di una cupola di segatura pressata (in realtà moglie e panettone assomigliano entrambi a cupole di segatura pressata), ma come sapore è leggermente peggio di un sandwich di calcestruzzo.
I gamberetti invece sono di regola mollicci e si attaccano al palato, aiutati in tale operazione dalla salsa cocktail che, come tutti sanno, è la variante rosa del vinavil. Festeggio la mancanza dell’insalata russa che ha il sapore di un (si fa per dire) manicaretto preparato prima della Rivoluzione d’Ottobre, con la maionese che presenta screziature giallo canarino, mentre le verdure spappolate dall’ingiustizia del tempo supplicano una degna sepoltura.
E quei ravioli disfatti che galleggiano nel brodo di pollo, comprati al discount ma spacciati dal prozio per una specialità artigianale di alta gastronomia? Un crimine. Che dire poi dell’arrosto così morbido che si taglia con la motosega e che viene servito con patate semi-carbonizzate che sembrano non già essere state mezz’ora in forno ma aver attraversato un girone dell’inferno? Brindo felicemente solinga a tutto quello che non c’è.
Natale 2020 senza la magica atmosfera di un pennuto strozzato
La tele è accesa su un thriller. Che bello non dover sentire le abominevoli canzoni di Natale di mia cognata. Si tratta di due CD che da un decennio o forse due vanno in loop per tutto l’interminabile pranzo. Il primo contiene successi natalizi cantati da un tenore, l’altro sono praticamente le stesse musichette emetiche di prima, però starnazzate da una sorta di gallina strozzata. A quanto pare la mia famiglia ritiene che i suoni emessi da un pennuto ferito o da un noioso trombone creino una magica atmosfera: questo con tutta probabilità è lo stesso motivo per cui, intanto che costringono i commensali a sentire tali abomini, non fanno che blaterare.
In mancanza di un’autocoscienza familiare bisogna rassegnarsi al fatto che i parenti più mangiano e bevono più delirano, così come più il tasso alcolico e di colesterolo salgono meno arriva il sangue al cervello.
Natale 2020: pranzo in famiglia ma senza litigata natalizia
Ed ecco che dal tradizionale pranzo natalizio di famiglia si approda all’ineluttabile litigata natalizia di famiglia. Finalmente, mentre loro urlano e si rinfacciano sgarri di trent’anni fa, ne approfitto per eliminare l’album dell’oca querula e cantare Piva piva l’oli d’uliva intanto che spengo quel rudere di riproduttore CD e attacco Spotify. Durante il solito momento di baruffa che precede il consueto momento di riconciliazione con relativa stucchevole commozione mi avveleno con il vinaccio e mi sfondo di frutta secca e torroncini per dimenticare l’imminente arrivo del dolce.
Il dolce è il momento peggiore, primo perché nel frattempo si uniscono alla gaia combriccola gli altri parenti che fino a quel momento si era riusciti a evitare e poi perché c’è sempre qualcuno che, volendosi mostrare per forza originale, non può per esempio portare lo stramaledetto pandoro e il prevedibile panettone fatti secondo la ricetta tradizionale.
Giammai, meglio presentarsi con mostruosità ricoperte di glasse disdicevoli. Per non dire degli abbinamenti discutibili: poco ci manca che qualcuno giunga con un panettone ricoperto di salsa di mango e farcito con gelato al gorgonzola o un pandoro alle gocce di cioccolato con topping di sugo allo scoglio.
Natale 2020 esclusivo con alle spalle i brutti ricordi
Almeno per quest’anno, questi sono solo brutti ricordi. Stavolta, dopo il pranzo di Natale che sto gustando minuto per minuto, mangerò solo qualche cioccolatino, ma di quelli buoni, non quei robi paltosi ripieni di creme incomprensibili. Spero che nessuno decida di farmi una sorpresa e suonare alla porta, perché lo champagne, intendiamoci bene, basta solo per me.
Prossimamente fingerò di essermi sentita abbandonata, di aver vissuto con angustia la desolazione di un Natale azzoppato, quando invece questo mi pare indiscutibilmente il Natale più bello di tutti. E poi non sono sola. Ci siamo io, il tenero Bambinello nel Presepe, il gatto Anacleto e soprattutto quella Gran Signora della Veuve Clicquot. Che altro serve il 25 dicembre?
Abbandono la lotta
che ci sia una fine
un ritiro
un angolo oscuro tutto per me
voglio essere dimenticato persino da Dio.
Robert Browning
Leggi anche: