Dopo una colazione tradizionale, prima di gironzolare per Ōsaka vado alla ricerca del temporary shop di Saya nel centro commerciale di Umeda. Una marea umana apparentemente impazzita ma disciplinata va in tutte le direzioni: ecco il lunedì metropolitano! Raggiungo il mall e dopo un lungo abbraccio con la mia sorellina giapponese (Saya tiene tanto alla nostra amicizia da chiamarmi “brother from another mother”) e un caffè – unico alimento occidentale che mi concedo – inizio l’avventura.
Ōsaka merita un paio di giorni di visita. L’aria fremente è diversa da quelle della nobile e compassata Kyōto o della sofisticata e spendacciona Tōkyō. Qui dominano divertimento ed eccessi; persino le facce che incontro raccontano una comunità festaiola e sfrontata, tipica delle città porto. E naturalmente la festa passa per il cibo. La nomea di “Tenka no Daidokoro”, cioè cucina della nazione in quanto porto di riferimento del riso, è valida anche oggi: Ōsaka è il posto dove sperimentare, assaggiare, lasciarsi conquistare da prelibatezze per il palato e per gli occhi. Il tutto senza fronzoli, dato che lo street food è una delle cifre distintive: banchetti, mercati e locali alla mano dove assaggiare prodotti tipici a prezzi più contenuti rispetto agli eleganti ristoranti della capitale.
Ōsaka città degli eccessi e del Kuidaore
Essendo Ōsaka una città di eccessi, un altro suo soprannome è “città del Kuidaore” ovvero del mangiare finché non si sviene. E direi anche del bere finché non si sviene, perché mi sembra che qui non ci si tiri indietro nemmeno sul fronte alcolico…
Mi dirigo verso la metro e resto colpito dalla disciplina dei viaggiatori che seguono con rigore le istruzioni sul pavimento. Raggiungo la zona di Namba, il quartiere dello shopping e dei negozi. Qui si trova anche la famosa Dōtonbori, ovvero l’area del divertimento, zeppa di bar, ristoranti, sale di pachinko e karaoke, sale giochi, discoteche, che si snodano lungo uno dei numerosi canali della città. Vi si affacciano le fantasiose, colorate e chiassose insegne delle attività commerciali che attirano turisti e cittadini a tutte le ore.
Dōtonbori trionfo di sapori, odori, colori
Insegne a forma di granchi e di lanterne-pesce-palla che non passano certe inosservate! E poi i ristoranti dove si serve il Fugu, una prelibatezza che richiede un certo talento da parte degli chef che lo preparano e che dal pesce palla devono eliminare il veleno letale.Mi imbatto in una sorta di giostra da luna park tra le case, a metà tra ruota panoramica e montagna russa, e vengo travolto dalle mille proposte culinarie.
Solo per la carne si va dalla Kōbe beef, la carne di bovino massaggiato per renderla morbida, alla superiore Matsusaka beef, riconoscibile dall’aspetto marmoreo; fino alla Wagyu beef, il cui standard prevede che oltre al massaggio si somministri agli animali della birra per stimolarne l’appetito.
Dōtonbori è un trionfo di sapori, odori, colori e sono tantissimi i chioschi e i piccoli negozi che preparano le specialità locali: takoyaki, deliziose polpettine di polipo fritte; okonomiyaki, frittata/pancake alla piastra con pesce, verdure o carne; kushikatsu, spiedini di carne e verdura fritta. Dopo una merenda a base di takoyaki, mi sposto al mercato del pesce per un’altra avventura; qui si vende pesce fresco ma sono moltissimi gli angoli di ristorazione in cui assaggiare ostriche e ricci di mare appena pescati, spiedini di polipo, granchio e gli immancabili sashimi anche di Fugu. Il mercato è un pullulare di colori e di gente che compra, assaggia, beve, chiacchiera, in un vociare rumoroso tipico dei festaioli abitanti di Ōsaka.
Nipponbashi il quartiere dei prodotti tecnologici
Mi sposto nel quartiere di Nipponbashi, detto anche Den Den Town, la zona dei prodotti tecnologici che è anche il paradiso degli amanti di manga e anime; viene definito l’Akihabara di Ōsaka, ovvero l’equivalente in scala ridotta del pittoresco quartiere di Tōkyō dedicato al mondo dei fumetti, dei cartoni animati e dei cosplay.
Una sosta al Gundam cafè è d’obbligo! Ritrovo i personaggi dell’infanzia con i cartoni di Goldrake, Mazinga e Gundam, che si possono acquistare in tutte le versioni e taglie, anche in quella manichino. I distributori automatici di gadget ispirati ai vari manga mi fanno capire che questo regno per bambini adulti va preso molto sul serio: è un luogo di fantasia ed evasione dalla routine per molti giapponesi stressati, che qui possono liberare l’immaginazione.
Shinsekai, per un viaggio nel tempo
Un’altra area interessante è il quartiere di Shinsekai. Costruita a inizi ‘900 come zona della vita notturna di Ōsaka, con influenze arrivate da New York e Parigi, l’area è presto andata in declino ma l’atmosfera retrò è oggi motivo di visita da parte dei turisti in cerca di un viaggio nel tempo.
Al centro dell’area si trova la torre Tsutenkaku del 1912, che è un omaggio alla torre Eiffel. Il quartiere si trova a metà tra l’archeologia industriale e il fascino della decadenza, ma agli accenni di abbandono rispondono la voglia di rivitalizzazione dei giapponesi e il rinnovato interesse architettonico dei turisti.
Billiken, dio della felicità
Shinsekai è anche il centro “religioso” della venerazione per la curiosissima figura di Billiken, raro esempio di culto di un… giocattolo! Il personaggio nasce negli Usa nel ‘900 grazie alla fantasia dell’illustratrice Florence Pretz, che disegnò questo elfo con le orecchie a punta poi venduto come bambola e amuleto portafortuna.
Ma se in America Billiken è stato dimenticato, questo non vale per il Giappone: nel complesso di Shinsekai vi era originariamente un luna park e la statua di Billiken lì collocata venne progressivamente venerata come dio della felicità, con il motto “thnigs as they” cioè le cose come dovrebbero essere. Ciò basta a spiegare l’invasione di statuette Billiken nel quartiere, anche in formato “dolce”, e di visitatori che lasciano una monetina alla sua statua sotto la torre, chiedendo in cambio buona fortuna.
I parchi divertimento di Ōsaka
Non può mancare nella visita di Ōsaka almeno mezza giornata nei parchi di divertimento; scelgo gli Universal Studios e torno bambino destreggiandomi tra i Minions, il college per maghi di Harry Potter e Spider Man.
Anche l’appena aperto Super Nintendo World sembra davvero divertente: la Super Mario mania, partita dal Giappone, ha contagiato il mondo dei videogiocatori e non solo e vede qui il suo primo parco a tema.
Concludo le mie giornate a Ōsaka con una cena luculliana a base di granchio. Il papà di Saya ha invitato me e i loro parenti a un banchetto di portate di pesce eccezionali. Il ristorante è fantastico, il saké scorre e le risate generali, dovute anche alla barriera linguistica con chi non conosce l’inglese, culminano quando le mie povere gambe, doloranti per la tradizionale posizione accovacciata, scricchiolano come quelle di un vecchietto al termine della cena. Kampai (salute!).
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Spazzatura che fare?
Pare incredibile ma in Giappone trovare un cestino dei rifiuti per strada è un’impresa impossibile. La pulizia pubblica è ineccepibile: a Ōsaka addirittura tirano su con delle pinze le foglie cadute a terra e la pochissima e accidentale spazzatura! E sì che lo street food non manca! Ma come fare quando dobbiamo buttare via ciò che rimane di una merenda, una bottiglietta vuota, un fazzoletto usato? La risposta è: teneteli con voi!
Se portate uno zainetto, tenete sempre una borsa di plastica all’interno per raccogliere la spazzatura. La raccolta differenziata porta a porta e la gestione dei rifiuti hanno raggiunto un tale livello in Giappone che l’unico modo che avete di potervi sbarazzare della vostra immondizia è di farlo in hotel.
Attenzione poi a non gettare alcuna cartina o mozzicone di sigaretta per strada: potreste essere multati in modo molto salato, quindi per chi fuma anche un piccolo posacenere portatile non è una cattiva idea. Le strade che vedrete sono così pulite che abbagliano la vista! Viva il Giappone!
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Pepper e i suoi fratelli
La tecnologia è una delle caratteristiche del Giappone e ci si imbatte in oggetti tecnologici un po’ ovunque. Una figura che si incontra facilmente è Pepper, un’assistente robot con sembianze femminili: è alta 1m e 20 e dotata di una base a 3 rotelle oltre che di un touchscreen sul torace. Il robot è programmato per assistere i clienti e svolge mansioni di receptionist, lavora in banche e cliniche fornendo informazioni, si occupa dell’istruzione a scuola.
Pepper è stata presentata nel 2014 come un’umanoide capace di leggere le emozioni umane, per migliorare l’esperienza d’interazione con le persone grazie alla sua capacità di decodificare le espressioni del viso e il tono della voce degli umani. Combinando i dati raccolti, Pepper riesce a capire se il suo interlocutore è ad esempio triste o allegro e può intervenire di conseguenza. I giapponesi ne sono davvero entusiasti tanto che è nato un Pepper Cafè a Tōkyō, nel quartiere di Shibuya, un bar gestito assieme da umani e da esemplari di Pepper.
La mania per la robotica in Giappone ha portato alla nascita di tanti esperimenti high-tech: si va dagli assistenti per la casa ai cani robot, per arrivare a ristoranti e hotel gestiti esclusivamente (o quasi) da robot. Una tradizione che affonda le radici nella passione per la meccanica nata con le Karakuri del XVII secolo, ovvero bambole e burattini meccanici inizialmente costruiti in legno, che vengono universalmente riconosciuti come il punto di partenza culturale dell’ossessione nipponica per l’automazione.
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