L’Arengario, così si chiama l’antico Palazzo Comunale, è l’anima di Monza. O forse il suo cuore, visto che si trova in mezzo alle arterie che costituiscono il centro.
L’edificio è su due piani: sotto ha un porticato che ripara dalla pioggia e dal sole, sopra invece c’è una grande sala. Il piano inferiore, che fino all’Ottocento accoglieva una parte del mercato al coperto, è diventato un luogo dove ci si dà appuntamento, dove ci si ferma a chiacchierare, dove si trovano belle cose (lì sotto, per onorare la vocazione pubblica del monumento, oggi trovano accoglienza solo iniziative benefiche o culturali). Sopra, l’aula magna, dove nel Medioevo si tenevano i consigli del Comune e dei Mercanti, ora ospita mostre di vario genere e modello.
Arengario e Pratum Magnum
L’Arengario fu costruito nel XIII secolo di fianco al Pratum Magnum, la piazza che era la sede del Mercato e lo è ancora, perché il mercato settimanale del giovedì si fa in pratica ancora lì. L’edifico è di pochissimo posteriore al Palazzo della Ragione di Milano, ed ha una struttura dalle forme gotiche.
Mi ha sempre molto impressionato quel racconto (che non ho mai capito se sia vero o se si tratti di un’antica quanto significativa leggenda metropolitana) secondo il quale, quando nel Trecento un incendio bruciò l’Arengario allora nuovo di zecca, ci sarebbero stati in città un certo numero di suicidi.
Pensate: brucia un Palazzo del Potere appena inaugurato e c’è gente che se ne dispiace mortalmente. Chi al giorno d’oggi potrebbe crederlo? Eppure. Ma c’è un altro dato che dimostra l’amore dei monzesi per le istituzioni civili. Infatti (continua la leggenda) a quanto pare i mercanti misero i soldi di tasca loro per ricostruirlo più bello di prima. In ogni caso l’Arengario è lì da sette secoli con la sua torre un po’ più tarda (attualmente è un falso, essendo stata ricostruita nel 1903), edificata per compensare l’assenza di un campanile nel Duomo, mancanza alla quale fu posto rimedio solo secoli dopo.
La parléra dell’Arengario
Nel 1380 i monzesi vollero che su un lato del loro Palazzo Comunale fosse aggiunto un balconcino coperto, la famosa parléra, dalla quale venivano letti ad alta voce i pubblici decreti, affinché i cittadini sapessero cosa succedeva.
Nel porticato venivano conservate le unità di misura medievali che i mercanti usavano per i loro commerci. Su uno dei fianchi stavano le carrucole e le mensole di legno per coloro che venivano condannati alla berlina e al supplizio della corda (tale simpatica attrezzatura fu tolta solo alla fine del Settecento). In uno dei lati (quello meridionale) il podestà non solo faceva dipingere il ritratto dei condannati per falso, ma faceva mettere anche il loro nome e cognome.
Andate a vedere questo (bel) monumento, da sette secoli simbolo di persone amanti del lavoro, dedite all’artigianato e al commercio, orgogliose dei risultati della loro fatica, attente a difendere le pubbliche istituzioni e convinte di come sia sommamente vergognoso mentire e imbrogliare. Una meta perfetta in tempi di Expo (E poi intorno ci sono le vie dello shopping, con negozi niente male).
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