Capo Sata è dove finisce il Giappone.
Se si voltano le spalle al mare e si guarda verso nord, ci si trova con l’intero Giappone sospeso sopra la testa come una spada. È un territorio vulcanico, lungo e stretto: uno stato insulare che si protende – senza mai arrivare a toccarli – verso i suoi vicini. È una terra che ispira metafore.
L’hanno paragonata a una cipolla: uno strato dopo l’altro a ricoprire… il nulla. Qualcuno l’ha definita un labirinto, una fortezza, un giardino. Una prigione. Un paradiso. Ma per alcuni il Giappone non è niente di tutto questo. Per qualcuno, il Giappone è una via da percorrere. E Capo Sata è là dove la via finisce.
Una strada si snoda in giravolte che scendono verso il mare, affollata ai lati da palme consunte e da piante rampicanti. I villaggi scorrono via veloci. La strada si inerpica su per le montagne, svolta un angolo, per poi finire, bruscamente, in una foresta di pini e cedri. Una galleria si perde sul versante della montagna.
Da qui in poi si continua a piedi, nella frescura umida e inaspettata della galleria, dopo la tappa obbligata alle bancarelle di souvenir, per un sentiero che taglia fra gli alberi. Lungo il percorso, ci si imbatte in un tempio nascosto. Si suona il campanello per svegliare gli dèi e si prosegue verso il cuore della foresta. Da una rupe sporge un edificio in gas beton scolorito, aggrappato all’ultimo pezzo di terra solida.
Al suo interno, una donna dall’aria stanca vende calamari infilzati in bastoncini e ricoperti da uno strato denso e vischioso di salsa di soia. In qualche modo si resiste alla tentazione. Si salgono invece le scale che portano all’osservatorio e, dalle finestre piene di aloni di polvere e impronte di nasi, si può ammirare la maestosità di Capo Sata.
Alcuni turisti cominciano a gironzolare nei paraggi, senza un’idea precisa sul da farsi ora che hanno visto il panorama. Comprano i calamari, osservano attraverso i telescopi a gettone e aggrottano la fronte, pensierosi.
“E così, questo è Sata” dicono. La fine del mondo.
Sata dà veramente l’impressione della fine.
Qui il mare e la terraferma s’incontrano. La costa si tuffa tra i massi. Alberi di pino si sporgono dalle scogliere a strapiombo, le onde s’infrangono e si ritirano – da quella distanza quasi non si sentono – e rocce frastagliate e isolotti solitari emergono dall’acqua come pinne di squalo.
A Sata c’è sempre vento, un vento che tira dal mare aperto e risale dalla scogliera. “Guardate” dice il signor Migita, mentre arriva e raduna i figli davanti a sé. “Guardate laggiù.” Indica loro le montagne, dove si scorge una debole macchia rosa tra i sempreverdi. “Sakura” dice loro.
E il cuore prende a battermi. Sono arrivati i fiori di ciliegio. Ora è cominciato il viaggio, ora è partita la corsa, ora la sfida ha avuto inizio. “
Sakura! Lo pensi davvero?”
Guarda di nuovo. “Forse no. Vuoi dei calamari?”
(29/03/2013)