Venerdì 5 Dicembre 2025 - Anno XXIII

Giù nel verde Michoacan

Un viaggio in Sud America. Il sapore dell’avventura, l’incontro con la gente del posto, pittori, scultori, tanti italiani. L’avventura vissuta negli anni Ottanta da Sergio Giommoni di cui vi proponiamo un estratto del libro “In America Latina”, Edizioni Effigi

Lago di Patzcuaro
Lago di Patzcuaro

Chi ha detto che il Messico è tutto arido e semidesertico? Ci sono stati boscosi e pieni di verde. Uno è il Chiapas, al Sud, l’altro è il Michoacan, uno stato pieno di boschi e di laghi, non lontano da Città del Messico. Lì ci sono i laghi di Patzcuaro, di Erongaricuaro e altri, di cui non ricordo nemmeno più il nome.
Io arrivai a Patzcuaro, la capitale, venendo dal Nord. La città era molto graziosa, aveva quell’aspetto da città della frontiera che tanta iconografia sul West Nord-americano ci ha descritto, impreziosita però da note di barocco spagnolo. Il lago omonimo era più in basso, nella vallata.

Lago di Patzcuaro

Al Lago di  Patzcuaro ho passato giornate meravigliose, sulla stessa piazza su cui era l’albergo c’era anche un ottimo ristorante e se non avevo voglia di andare al ristorante potevo sempre mangiare una o due pannocchie arrostite che un ambulante vendeva proprio sotto all’albergo, nella piazza. Lì mi hanno parlato anche di un altro lago, quello di Erongaricuaro. Ci viveva una comunità internazionale di artisti: pittori, scultori, e così un giorno decisi di andarli a conoscere.

Erongaricuaro
Erongaricuaro

Il paese di Erongaricuaro aveva l’aspetto di tanti altri pueblos messicani, strade sterrate ai cui lati si alzavano alti muri di mattoni di terracotta. Quindi non appariva un albero dalla strada; bastava però superare il muro che separava il giardino dalla strada e ti trovavi in un paradiso di verde. Questo era l’aspetto della prima casa in cui entrai, abitata da un’artista italiana. Lei si occupava di bigiotteria, faceva gioielli ispirandosi ai disegni tradizionali degli indios della zona. Grazie a lei ho conosciuto anche molte altre persone, c’era un altro pittore, sempre italiano, alcuni nord americani e un ragazzo tedesco, Rolf.

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Rolf non si occupava di arte, ma aveva un campetto in cui coltivava il grano. Tutte le settimane, con il grano che ricavava dal suo lavoro faceva il pane, con una sacralità che avevo dimenticato. Era un ragazzo dolce, sensibile, sicuramente triste. Aveva una storia che vale la pena raccontare.

Giù nel verde Michoacan

In Germania faceva l’insegnante; per sfuggire alla logica perversa del nostro modo di vivere era andato in Messico e lì aveva sposato una ragazza del distretto Federal (di Città del Messico e dintorni intendo), acquisendo così la cittadinanza messicana, cosa a cui lui aspirava.

Era l’esempio vivente di una fuga all’incontrario, tutti che dal Terzo Mondo vogliono venire nel nostro, nel mondo occidentale e lui che aveva fatto la scelta opposta, così radicale da diventare anche, con il matrimonio, cittadino messicano. Poi la storia con quella ragazza era andata a male, purtroppo, si erano già separati. Lui però continuava a conservare la cittadinanza messicana. L’ho conosciuta. Quella ragazza una volta è venuta a trovarci, evidentemente dovevano ancora sistemare le pratiche della separazione e aveva l’aspetto e la mentalità occidentalizzati, come succede a molte persone che vivono nel Distrito Federal.

Lui invece no, era diverso, viveva in una casa col pavimento di terra battuta insieme al suo cane, l’unico affetto che avesse, e secondo me era già in odore di tubercolosi. Era uno sconfitto, la scelta che aveva fatto si era rivelata perdente, ma viveva la sua sconfitta con grande dignità. Era una persona molto sensibile, avemmo modo di passare diversi pomeriggi insieme: “Que buena onda, Sergio“, diceva, e veramente il rapporto fra di noi era empatico al massimo.

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Anche con gli altri ragazzi ero amico, abbiamo passato diverse giornate a parlare di pittura con l’italiano, il quale puntigliosamente mi faceva vedere i suoi quadri e mi faceva notare gli eventuali errori da correggere. Io stavo un po’ anche con loro, qualche giornata l’ho passata per le vie di Patzcuaro, altre giornate a giro per lo Stato del Michoacan, dove per esempio ho trovato un villaggetto, un puebio, tutto abitato da discendenti di italiani, la Piccola Italia lo chiamavano. Oppure andavo alle maestose rovine di Zin Zun Zan, espressione di una cultura pre-azteca, che si trovavano vicino a Patzcuaro.

Il rito della preparazione del pane
Il rito della preparazione del pane

Andavo anche a conoscere gli altri laghi della regione. Un pomeriggio raggiunsi un lago completamente selvaggio, non aveva cioè villaggi intorno e mi piccai di percorrerne a piedi tutte le sponde. Partii da dove mi lasciò l’autobus, l’unico posto in cui esistesse qualche casa e cominciai questo giro che si rivelò insolitamente lungo, tanto che finii il periplo a sera tardi. Ripartii con l’ultimo autobus che mi avrebbe potuto riportare a Patzcuaro. Per mangiare o andavo nell’ottimo ristorantino che c’era in piazza, oppure pranzavo con i miei amici artisti, laddove Rolf distribuiva con sacralità il suo pane, quasi come fosse una comunione.

Insomma i miei giorni erano spensierati, sereni, tanto che m’era quasi venuta la tentazione di fermarmi definitivamente lì con loro. Una sera che ero tornato al lago di Patzcuaro andai nel solito ristorante a mangiare e presi di nuovo una zuppa che avevo mangiato qualche giorno prima. Sentii che aveva qualcosa di strano, però la mangiai lo stesso; in realtà era la stessa zuppa conservata nei due o tre giorni precedenti. Mi venne una “vendetta di Montezuma”, el Vendigo de Montezuma, come lo chiamano laggiù, che mi ridusse uno straccio. Quella gastroenterite fu come un brusco risveglio. Avevo creduto di aver trovato la perfezione, mi sarei fermato definitivamente lì, con quei ragazzi.

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Il fatto è che quando mi sento veramente amato la mia corazza si scioglie, mi sento nudo, sensibile, come senza pelle. Questo mi era successo lì, a Erongaricuaro. Mi sarei davvero fermato definitivamente con loro, avrei imparato a fare il pane con Rolf, forse avrei cominciato a scrivere le mie storie fin da allora… e invece no, dovevo continuare a viaggiare, la mia ricerca non si fermava lì, come in realtà non si è ancora fermata definitivamente. La mattina dopo, senza salutare nessuno, ripartii con il primo autobus. (15/03/2013)

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