Per un secolo, a partire dai primi del Settecento, tutti andavano a Broadway a passeggio: “I giovani si alzavano alle cinque del mattino per fare quattro passi lungo il viale” scrive lo storico Edward Robb Ellis. Nel 1842, Charles Dickens durante un viaggio osservò “il vivace turbinio delle carrozze” e le persone eleganti che facevano compere e guardavano le vetrine dei negozi di lusso di Broadway: il tratto compreso tra Canai Street e Houston Street era particolarmente fiorente. Scriveva Dickens: “Dovremmo sedere a uno dei piani alti del Carlton House Hotel […] e quando siamo stanchi di osservare la vita che brulica in basso, uscircene a braccetto e unirci alla fiumana?”. All’ora della passeggiata del tardo pomeriggio, il giornalista del «New York Tribune» George Poster osservava nel 1849 che la strada si trasformava “in un perfetto Mississippi, con una doppia corrente, ascendente e discendente, di signore e signori borghesi” che esaminavano i beni esposti nelle vetrine dei negozi esclusivi e si rimiravano a vicenda.
In Europa, intorno al 1820, questo genere di cronaca, le impressioni e le riflessioni di gentiluomini che passeggiavano per le strade, si era trasformato in una forma d’arte, e gli americani potevano trarne vantaggio. La prospettiva del flâneur (il ‘gentiluomo che passeggia per le vie cittadine’), elaborata da Baudelaire, sosteneva l’idea di osservare la città e di rendere la stupefacente e stressante vita cittadina qualcosa da apprezzare, persino da celebrare. In cerca di materiale per il proprio giornale, Thè New York Aurora, Walt Whitman nel 1842 si mise un cappello a cilindro e una redingote e prese a passeggiare per Broadway tutti i giorni. Osservando dal marciapiede o da un omnibus gremito, esaltava “la continua, incessante, diabolicamente irritante, deliziosa, gloriosa folla!”. Ovviamente ciò che per uno era gloriosa folla, per un altro era un autentico inferno.
Dickens aveva notato i maiali randagi che trovavano affascinante quel grande viale, e se n’era interessato. Gli escrementi del bestiame di vario genere di cui ci si serviva a Broadway, in particolare dei cavalli (i primi tram a cavalli erano apparsi nel 1832), rappresentavano soltanto uno degli aspetti spiacevoli. Un inglese in visita (non certo un flâneur) ebbe modo di lamentarsi della “guida, della ressa e delle gomitate” su Broadway e a Wall Street. “Se poi vi si aggiunge il rumore assordante dei veloci omnibus che sfrecciano in tutte le direzioni, e delle carrozze (portate alla velocità con cui da noi vengono condotte le vetture), avremo un guazzabuglio di rumori e di immagini facili da comprendere ma difficili da descrivere. Le zone più affollate di Londra sono difficilmente paragonabili a questo”. Di sera si iniziarono a illuminare a gas i negozi e i grandi magazzini di Broadway, accrescendone il fascino. Le lampadine elettriche giunsero dopo il 1880 e l’elettricità venne ben presto utilizzata per la pubblicità; gli enormi tabelloni illuminati (ce n’era uno a Madison Square di 15 x 25 m che utilizzava 15.000 lampadine) diedero origine al soprannome ‘Thè Great White Way’ per il tratto di Broadway tra la 23 ª e la 343 ª Strada.
I teatri, molti dei quali mandavano in scena il burlesque, usavano la luce con profitto, e la zona dell’intrattenimento di Broadway si estese fino alla 421 ª Strada, che all’epoca era ancora considerata uptown. Oltre c’era “la campagna” già abitata da parecchi residenti, alcuni dei quali facoltosi agricoltori con grandi tenute agricole. Dal 1819 era in servizio una linea della diligenza che risaliva la boscosa Bloomingdale Road verso una zona chiamata Bloemendaal (dal nome di una città olandese, nella regione dove venivano coltivati i tulipani). Man mano si sviluppavano sia la città sia le imprese commerciali “plebee”, scriveva il periodico «Putnam’s» nel 1853, e la classe più agiata di New York “fuggiva lungo Broadway a seconda del grado di nobiltà”. All’epoca si trattava della prosecuzione di Bloomingdale Road, che prima del 1870 era stata allargata e resa più rettilinea, e di conseguenza (dopo un periodo in cui venne chiamata Boulevard), nel 1899 fu rinominata Broadway e le due strade infine si fusero.
Per pranzo mangiammo un tortino di patate dolci da Wilson’s, un ristorante che serviva piatti afroamericani (ora chiuso), poco a nord della 125 ª Strada su Amsterdam Avenue. Poi ritornammo sulla Broadway. Nessuno ci diede fastidio. Harlem (chiamata così per via della omonima città olandese) aveva toccato il fondo qualche anno prima e si vedevano ancora un sacco di edifici abbandonati. Mentre entravamo nei quartieri dominicani intorno a Inwood e Dyckman Street (nella vecchia New Amsterdam Dyckman era stato un abitante del borgo), la vita di strada andò via via aumentando come pure la gente che parlava spagnolo. Ci fermammo in una tavola calda per un caffè, poi facemmo l’ultimo sforzo sul ponte di metallo (mobile al passaggio delle navi) che conduce sia a Broadway sia alla metropolitana sopraelevata oltre l’Harlem River e nel Bronx (chiamato così per via di Jonas Bronck, 1600-1643, un capitano di navi che divenne agricoltore da quelle parti).
Ci meritavamo una birra. Sulla 231ª Strada Ovest, appena a pochi passi da Broadway, entrammo in un bar del quartiere. Era tardo pomeriggio, il locale era pieno di avventori abituali, tutti bianchi, che comunque ci fissarono, forse per via della coda di cavallo di Seth. C’era un bancone con gli sgabelli, separé e boccali di ceramica dipinta appesi alle pareti. Bevemmo a sazietà e poi, con i piedi dolenti, salimmo le scale di metallo della metropolitana e sfrecciammo di nuovo downtown. Quel bar non c’è più. Lo so perché ci passo un paio di volte alla settimana, se sono in giro per commissioni; vivo a poco meno di due chilometri da lì. Spesso vado downtown in bicicletta, attraversando il Ponte di Broadway per immettermi sulla pista ciclabile che costeggia il Fiume Hudson a Manhattan. Talvolta, quando percorro la carreggiata in maglia metallica, ripenso a quella passeggiata con Seth. Ma un ricordo più recente risale al pomeriggio dell’11 settembre 2001, quando ho attraversato il ponte in auto per andare a prendere Margot, ora mia moglie, che era arrivata fin lì a piedi e poi in taxi dal suo ufficio a Midtown dopo gli attentati alle Torri Gemelle. Poco più a nord, oltre il capolinea della metropolitana, c’è uno dei grandi parchi cittadini, il Van Cortiandt, un tempo esteso campo di cereali di proprietà dell’olandese Frederick Van Cortiandt (1699-1749).
Broadway lo costeggia su fino a Yonkers, e ci trascorro una discreta quantità di tempo gironzolando in auto mentre cerco un posto per parcheggiare, quando vado a prendere i ragazzi all’allenamento di calcio. Il Van Cordandt è molto frequentato, non solo dalle squadre di calcio giovanili, ma anche dai giocatori di cricket delle Indie Occidentali, da quelli irlandesi di curling, da quelli di baseball (comprese diverse squadre di poliziotti), da gente che fa jogging o podismo oppure che porta a spasso il cane, oltre che da appassionati di auto da corsa telecomandate. Non molti di loro sembrano olandesi. Io invece sì, e qui mi sento a casa. A Broadway è servita qualche generazione per arrivare sin qui, e a me un paio in più per ritornare nella città in cui ha avuto origine la famiglia di mio padre. (21/12/2012)
Quindici anni dopo, per una fidanzata di nome Margot, il mio lavoro di scrittore e forse una traccia di counterfobia nella mia personalità, mi stabilii a Brookiyn. In un freddo fine settimana di gennaio il mio amico Seth venne in città e, per prendere un po’ d’aria, decidemmo di percorrere Manhattan in tutta la sua lunghezza. Broadway sembrava l’itinerario più adatto. Una domenica mattina di sole prendemmo la metropolitana fino al distretto finanziario downtown. Le sue corte vie fuori dal reticolato sarebbero state più adatte ai pedoni di centocinquanta o duecento anni prima; in quel gelido mattino, gli alti palazzi di uffici incanalavano il vento e impedivano la vista del sole.
I più imponenti di tutti, ovviamente, erano le Torri Gemelle del Worid Trade Center. Si trovavano un isolato a ovest di Broadway tra Liberty e Vesey Street, ad appena dieci minuti dall’inizio della nostra passeggiata di ventidue chilometri. Intorno al City Hall Park, lo spazio aperto e gli alberi ci offrirono un momento di tregua da tutti quei giganteschi edifici, oltre che lo straordinario panorama del Ponte di Brooklyn. Oltre si trovava Chinatown, meno affollata del solito per via del fine settimana, e poi, dopo Canai Street, SoHo, ancora meno affollato, una zona di passaggio verso i quartieri alti, divertente da attraversare con le sue strade acciottolate e gli edifici con le facciate in ghisa. Oltre Houston Street si respirava l’aria del Greenwich Village, ma la vera attrazione qui era Union Square Park, l’unico elemento della città che obbliga Broadway a fare una curva per aggirarlo. Attraversammo l’angolo meridionale del Madison Square Park all’altezza della 233 ª Strada (d’accordo, anche qui Broadway fa una piccola deviazione) e scorgemmo l’Empire State Building alla nostra destra mentre ci spingevamo oltre la 30 ª. Times Square era migliorata molto da quella prima visita del 1976, ma mi dava ancora alla testa, persino di domenica. Comprammo hot dog da un venditore ambulante al Columbus Circle e li mangiammo seduti sui gradini di granito del monumento a Colombo; stavamo celebrando un precedente incontro avvenuto a Barcellona a mezzogiorno, durante una vacanza primaverile, sotto la statua di Colombo alla fine delle Ramblas.
Mentre dal monumento di Colombo a Barcellona si gode della vista del mare, a New York si vedeva invece il brutto centro esposizioni Coliseum, un progetto di Robert Moses che ora non esiste più. Da lì le cose non fecero che migliorare. Broadway attraversa l’Upper West Side in stile boulevard, con un’isola centrale alberata. I marciapiedi sono larghi. Margot, quando ancora viveva nell’East Village, mi aveva spiegato che l’Upper West Side era “periferico”, un concetto che ci avevo messo un po’ ad afferrare. Intendeva, credo, perché era più recente, più pensato per le famiglie, e perché tra i suoi grandi negozi ce n’erano alcuni appartenenti a catene presenti normalmente nei centri commerciali.