L’India occidentale ha le sue più alte vette himalayane nei territori dello Jammu-Kashmir, del Ladack e negli stati dell’Himachal Pradesh e Uttarakhand. Quella centrale è separata dalle cime più elevate dal Nepal, la cui altitudine si fa impressionante solo lungo i confini con il Tibet e la Cina. Qui sorge, assieme ad altre famose montagne, il celeberrimo Everest (8848,56 metri; e cresce ogni anno di qualche centimetro!). La vicinanza con i rilievi più imponenti del pianeta si fa ancora una volta diretta negli stati orientali del West Bengala, del Sikkim, dell’Arunachal Pradesh e, naturalmente, in corrispondenza dello Druk Yul, che altro non è che il Regno del Bhutan. Ancora. Se la montagna regina della catena occidentale è il K2 (8611 metri) la più alta concentrazione dei famosi “ottomila” si registra in Nepal e lungo il confine cinese.
India orientale: Sikkim dimora degli dei
All’inizio della catena orientale c’è poi la terza vetta del mondo, il Kanchenjunga (8586 metri) cima dominante del piccolo stato indiano del Sikkim. Certo, nella vasta area che si allarga poi tra India e Cina, non è che manchino altre notevoli montagne. Ma il fulcro dell’Himalaya, l’emozione di trovarsi perennemente nella dimora degli dei, la si avverte qui, nella catena orientale compresa tra i grandi e piccoli paesi citati. Senza contare che la toponomastica locale aggiunge, al fascino della natura, la suggestione di nomi altamente evocativi, coniati dallo scorrere dei secoli e dalle popolazioni che qui abitano. L’Everest, in lingua locale Chomo Lungma, sta per “dea madre della terra”; il Manaslu è la “montagna dello spirito”; l’Annapurna la “dea delle messi dell’abbondanza”; il Lhotse Shar è il “monte a sud est”, mentre il Kanchenjunga, poeticamente, racchiude “i cinque tesori della grande neve”.
Sikkim, un terra in verticale
Uno dei più piccoli stati indiani (grande poco meno del Friuli) ha avuto una storia indipendente sin dal lontano 1642, sotto la dinastia dei sovrani Chogyal, termine tibetano tradotto dal sanscrito “dharmaraja”, ovvero “sovrano difensore del dharma”. Nel 1975, attraverso un referendum, è entrato a far parte dell’India. Nel territorio interamente montagnoso del Sikkim, con capitale Gangtok (che sta per “collina elevata”) si parla una variante del nepalese. Va detto che sono moltissime le lingue e i dialetti che si ascoltano da queste parti, in gran parte originate dal ceppo linguistico sino-tibetano. Più a sud, oltre all’ufficiale (insieme all’inglese) hindu, la lingua dominante è il bengali.
Gli antichi Lepcha che vivevano fra queste montagne chiamavano la loro terra “il paradiso”, mentre i tibetani, più concretamente, la definivano “la valle del riso”. Sanscrito è il termine maggiormente pertinente: “il paese delle montagne”. Oltre al già citato Kanchenjunga, vi sono le catene montuose della Singalila e della Donkhya, che generano profonde vallate che scendono al piano. Sono divenute ultimamente luoghi frequentati da sportivi e turisti, per il trekking, l’alpinismo, il rafting. Volendo, anche per il riposo a la contemplazione, favoriti questi dai molti monasteri buddisti. Una nota di particolare interesse naturalistico riguarda le numerose varietà botaniche che impreziosiscono il territorio: 660 tipi di orchidee, 4000 specie di fiori, piante medicinali quali l’artemisia e la digitale. A Gangtok, oltre al Palazzo Reale, è interessante l’edificio che ospita l’Istituto di Tibetologia, fondato dal Dalai Lama prima dell’invasione cinese del Tibet.
Alla scoperta del famoso “Trenino di Darjeeling”
Visto da lontano sembra un treno normale; man mano che si avvicina rivela dimensioni giocattolo, forme da cartoon, atmosfera da fiaba; insomma, da “effetti speciali”. Si tratta del trenino di Darjeeling, che scavalca non solo colline, ma anche logiche di costi e ricavi e di tecnologia. Sbuffando, si ribella ad orari “svizzeri”, dando priorità alle esigenze dei passeggeri e della volonterosa locomotiva a carbone.
C’è anche una non ufficiale gara di colori tra i vivaci blu, azzurri, rossi del convoglio e i vestiti dei passeggeri, non meno squillanti e vari. Tra sari e turbanti, ceste e fagotti, il tutto spesso avvolto da folate di fumo della vaporiera, sembra più un musical di Bollywood, che un mezzo di trasporto pubblico. Ma l’India è sempre generosa di queste sorprese. E anche qui, nel Bengala occidentale, non manca di promesse.
C’è persino un tocco leggermente umoristico che nasce dalle gradevoli sproporzioni tra vagoni e passeggeri; affacciati infatti ai finestrini, non è subito facile capire se siano viaggiatori giganti o sia il treno miniatura; insomma, una sorta di ”viaggi di Gulliver” indianizzato. Questo giocattolone, comunque, trasporta con impegno e ininterrottamente migliaia di persone lungo il tragitto Jalpaiguri-Darjeeling (86 chilometri) superando forti pendenze e salendo a duemila metri. E questo, dal lontano 1881. Ha due nomi: quello ufficiale è Darjeeling Himalayan Railway, ma quello usato da tutti è “Toy Train” (treno giocattolo). Dal 1999 è classificato tra i beni protetti dell’Unesco.
Rifugio per esuli tibetani
A pochi chilometri da Darjeeling si trova il Tibetan Refugee Self-Help Centre, sorto alla fine degli anni Cinquanta per ospitare gli esuli tibetani e il XIV Dalai Lama, in seguito alla invasione cinese di Lasha. Qui vigono regole comunitarie e ritmi di vita secondo i sacri principi, ma fioriscono anche attività artigianali di tradizione tibetana. Numerosi sono i templi buddisti fondati intorno a Darjeeling dai profughi tibetani. Si trovano quasi tutti in posizioni elevate e molto panoramiche ed è possibile riconoscerli da lontano per le bandierine colorate sospese al vento: sono le preghiere e i voti dei fedeli di suggestiva e intensa semplicità.
Tè nero, profumato e prezioso
Darjeeling ha firmato uno dei tè neri più pregiati e famosi del mondo: lo chiamano lo champagne dei tè. Tanto che il marchio viene talvolta falsificato; infatti pare ne venga commercializzato un volume doppio rispetto alla effettiva produzione. È coltivato dal 1841. È un tè di montagna, dalle piantagioni in quota, ultimo possibile limite per la coltivazione degli eleganti e lucidi cespugli della Camellia Sinensis.
Siamo ai piedi della catena dell’Himalaya, appena sotto quel misterioso territorio che prende il nome di Sikkim, avvolto da quel stimolante divieto di accesso (ora revocato) che eccita da sempre il viaggiatore di vocazione. Una atmosfera alla Buzzati, una attesa da Deserto dei Tartari, che spesso, come nel capolavoro dello scrittore, va delusa. Per anni il divieto non ha scoraggiato quei viaggiatori che uniscono a quello che si può vedere quello che riescono a immaginare.
Visita a una “tea farm”
Non si può passare da Darjeeling senza visitare una “tea farm” o “tea gardens” e vedere il processo dalla raccolta alla teiera. Una delle sorprese, a parte la danza della raccolta, è la valutazione che gli assaggiatori professionisti fanno del tè. Classificazione affidata al naso e alle mani che vengono chiuse a guscio dopo aver messo nel palmo una certa quantità di foglioline essiccate. Si soffia forte nello spazio aperto tra i pollici e poi si annusano gli aromi sprigionati. Ho avuto la sorte di assistere a lunghe discussioni tra assaggiatori: incomprensibili, ma molto suggestive!
Altra scoperta nel processo di essiccazione su linee di scorrimento, l’azione tremula del nastro per far cadere le polveri di tè, dividendole dalle pregiate foglioline. Ecco l’origine della ormai universale bustina di tè inventata dagli inglesi, nata per recuperare le briciole del tè, sempre pregiate, ma non eleganti come le foglioline che si gonfiano nella teiera: un cucchiaino per ogni tazza, più uno appunto per la teiera. Tutto qui è ancora piacevolmente artigianale, gli strumenti sono elementari; è l’uomo, la sua esperienza e sensibilità a giocare il ruolo determinante. Non il computer.
Colline coltivate a tè, paesini e monasteri
Le colline dell’Assam, dell’Arunachal Pradesh, del Sikkim, del Bhutan, ai piedi dell’Himalaya, disegnano un paesaggio molto dolce, uno dei mille volti dell’India. Gli innumerevoli paesini abbelliti da graziose costruzioni, villette sparse nel verde, danno al viaggiatore europeo una sensazione di paesaggio familiare ma con qualcosa in più, come l’esuberanza della vegetazione, il silenzio, i grandi spazi e una quieta operosità.
Il lavoro nelle vaste piantagioni di tè infatti, ha in sé una grazia tranquilla e silenziosa, quasi una danza lenta nel rispetto della natura. La raccolta è affidata a giovani donne per la precisione e la delicatezza del tocco nella scelta delle tenere foglioline da far scivolare nelle grandi gerle. Un rituale antico, quasi una cerimonia.
Piacevole atmosfera contemplativa
In questa zona si respira anche una piacevole suspence contemplativa, che nasce dalla continua attesa che tra le nubi in movimento possa apparire anche solo per un attimo la grande montagna: forse il mitico Everest, forse un’altra delle innumerevoli vette coperte dalle nevi eterne. Più a oriente, ecco l’Arunachal Pradesh, stato “meno” indiano degli altri. L’influenza tibetana e birmana è notevole, l’animismo fronteggia con successo il buddismo e la natura è più incontaminata che altrove.
Si passa dalle zone calde e umide lungo il Brahmaputra e del suo affluente Kameng, a quelle temperate delle medie altitudini con foreste sempreverdi, sino a quelle di montagna dove prevalgono le conifere. L’Arunachal Pradesh è un immenso zoo libero, che ospita (grande motivo d’attrazione per i turisti) una notevole varietà di animali: tigri, leopardi, orsi bruni, cervi, panda rossi, gibboni bianchi e una fauna avicola difficile da descrivere. Ai confini con la Cina, si elevano maestose le ultime grandi vette della catena himalayana.