Vado a Potsdam lasciando Berlino con la testa ricolma (come accade a tutti gli aficionados alla storia quando visitano posti importanti) di nomi, personaggi, vicende (quante altre città possono vantarne altrettanti?): Federico il Grande e Humboldt, i tesori di Pergamo e Babilonia, l’impero degli Hoenzollern e Hitler, gli Ebrei e il Nazismo, il Muro e il Ponte aereo del ’48, Bauhaus e la cultura degli Anni 20, Einstein e Brecht, la Guerra Fredda e lo storico “Ich bin ein Berliner”di Kennedy (e chiudo frivolmente con il lussuoso Adlon Kempinsky, per i cinefili “Grand Hotel”, il film, del 1932, passato alla storia per la battuta finale di Mischa Auer sorridente ‘portiere’: “Grand Hotel, gente che va, gente che viene”).
La reggia di Federico il Grande
E se a Berlino sono tante le tracce di Federico il Grande (l’illuminato, non per niente amico di Voltaire, sovrano che nel racconto brechtiano diede ragione al mugnaio sospirante “Ci sarà un giudice a Berlino”), a Potsdam il suo lascito è totale, assoluto. E si parla di tanti bei monumenti da non perdere (meriterebbe un salto anche il castello di Cecilienhof laddove nel ’45 Stalin, Churchill e Truman decisero le sorti della Germania, ma per stavolta, con il magnifico rococò voluto dal ‘vecchio Fritz’ a metà del ‘700, la storia può passare in secondo piano). Perché l’indescrivibile Sansouci Schloss non è la sola perla incastonata nel parco; lungo i più di sei chilometri di camminata si ammirano tante altre delizie dell’architettura: il monumentale Neues Palais, la rinascimentale Orangerie, il Belvedere, la cinese Teehaus (un dorato gioiello nel verde di un bucolico paesaggio) e inaspettati Bagni romani. Una sinfonia di belle visioni.
Dresda (e la sua Chiesa) risorta dalle ceneri
Costruita tra il 1726 e il 1743 come tempio protestante (di fronte all’ingresso una statua di Lutero ricorda la rivolta evangelica a quei licenziosi simoniaci del papato romano) la Kirche vanta un barocco puro che trova la massima espressione nella cupola. Che ahinoi, crollò su se stessa nelle due tremende notti (13 e 15 febbraio del ’45) del più tragico massacro compiuto nella storia dell’umanità: in confronto, Hiroshima e Nagasaki furono poca cosa e ricevettero maggior grancassa solo perché colpite con una sola, nuova bomba e per avere posto fine alla WWII, la seconda Guerra mondiale. Per avere un’idea della strage (i morti? da 60.000 ‘in su’) e del’inutilità del bombardamento (la Germania era già praticamente sconfitta e Dresda era occupata soltanto da profughi in fuga dai russi) basti segnalare che il comandante della Raf, l’aviazione britannica che colpì con migliaia di aerei Lancaster e Mosquitos, fu battezzato “Il Macellaio”. Ma torniamo alla vita e godiamoci la Fraukirche, novella fenice. Ciao Dresda.
La gita in Germania, che svolgendosi nella terra di Goethe devo chiamare Grand Tour, volge al termine, si torna in Baviera, soliti virilissimi calzoni corti di cuoio e sberle sulle cosce (comunque meglio ‘ste danze con ululati che le Notti dei Lunghi Coltelli), birra e salsicce (però che delizia quelle aringhe del Baltico e il merluzzo del Mare del Nord gustati a Berlino).