Con tutto il rispetto per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e senza rigurgiti bossiani, tutte queste identità tra le genti del Belpaese (che dicono essere così tante da “confezionare” una nazione) io non le vedo proprio. Anzi, fatta salva la lingua (ma anche a tale riguardo occorre qualche distinguo, vedi i gotici suoni gutturali che farfugliava Gustavo Thoeni nei doposci, il francofono ‘patois’ valdostano e il romanesco delle telenovelas e dei mezzibusti della Rai) a mio modesto parere a sud delle Alpi le differenze fanno (abbondantemente) aggio sulle tanto sbandierate identità.
Asparagi diversi. Tutti gustosi
Eccoci dunque a commentare le diversità nel Belpaese dei vari tipi della (dizionario Sandron della lingua italina, De Agostini editore) “pianta erbacea delle gigliacee, il cui rizoma produce lunghi polloni carnosi gustosissimi a mangiarsi”. Prima dell’avvenuto sopralluogo a Cilavegna, ne conoscevo tre. Oltre ai sottili, ‘redditizi’ (quanto a sfruttamento, ne puoi mangiare almeno tre quarti, butti via poco) asparagi cosiddetti ‘selvatici’ o ‘di bosco’ (in Spagna noti come ‘trigueros’, del grano) mi erano infatti noti quello verde della piemontese Sàntena e della adiacente Poirino (e più o meno identica pianta è coltivata nel napoletano e negli emiliani campi di Altedo) nonché il celebrato asparago bianco di Bassano (e glissiamo sui colori, sennò i veneti comincerebbero a ciacolare pure sulla supremazia – altra differenza – della loro lattea polenta appetto a quella gialla del resto delle Alpi).
Differenze linguistiche e vegetali
Mi riferisco, ad esempio, alla cucina con il burro e a quella con l’olio, alla diversa valutazione del peccato tra i seriosi giansenisti brianzoli e i più condonanti altrettanto cattolici ma vaticani, per non parlare della grave discrepanza filologica (segnalata a suo tempo da Enzo Biagi) laddove al Nord l’organo sessuale maschile è chiamato “uccello” e al Sud “pesce”. E non ho finito, perché recentemente, grazie a una trasferta a Cilavegna, nel norddovest della lombarda Lomellina, ho potuto scoprire un’ulteriore e per certi versi insanabile diversità: quella della cultura (la coltura è invece identica) dell’asparago. Vabbè, non sarà un argomento da massimi sistemi, ma mica si può sempre parlare del bunga bunga e del Veltroni-pensiero (se mai è balenato); a parte il fatto che si ‘fa turismo’ anche cuocendo e vendendo asparagi quindi ‘festeggiandoli’ con festival e sagre ben organizzate (know-how forse non ancora afferrato dalla Pro Loco del sullodato centro lomellino, vedi più avanti).