A Istanbul voci e odori hanno pervaso la mia mente, fin dall’arrivo. Minareti solitari si ergono quasi come fossero canne sospese per la città, a sovrastare cupole bianche all’ombra delle quali la metropoli brulica di mercati e di gente. E come canne sospese e silenziose fluttuano regolarmente al suono di voci lamentose che si insinuano mestamente tra vicoli e strade. Altoparlanti appesi a ogni angolo di via, come campanule pendenti, sussurrano parole lontane. Strida di gabbiani si uniscono al coro di voci urlate e cantate; e a un tempo indefinitamente lontano questi suoni conducono e ritornano in mente nomi letti sui libri di scuola: Bisanzio, Costantinopoli, l’Impero Ottomano. E si staccano dal fondo di quei cassettini mosaici dorati intravisti appena a bordo di qualche pagina e chiese bizantine e moschee. Nei quartieri antichi di Istanbul si possono ammirare le tracce di quel ricco e glorioso passato: le differenti testimonianze storiche convivono in modo armonico, rendendo la città fascinosa allo sguardo di chi la osserva.
Tra le antiche “pietre” di Sultanahmet
In uno dei quartieri più turistici ma imprescindibili di Istanbul, Sultanahmet, si concentrano così tante bellezze architettoniche, che in un viaggio breve di appena quattro giorni non si riesce quasi ad allontanarsi da questa zona ristretta. Una sosta di pace nella moschea Aya Sofia, l’edificio più celebre forse di Istanbul; un’altra sosta ancora nella moschea dalle piastrelle blu, da cui prende il nome; una passeggiata nell’ippodromo, un salto al museo dei Mosaici e l’immersione nella Cisterna Basilica, una vera opera di ingegneria idraulica, che vive al di sotto della città e che toglie il respiro per la maestosità umida che non ti aspetti. E poi ancora perdersi tra le ricchezze dei sultani che abitavano Palazzo Topkapi e lasciarsi incantare dalle storie bizzarre dei suoi abitanti, Selim l’Ubriacone, morto annegato nel bagno, per aver bevuto troppo; o di Ibrahim il Pazzo. Seguendo ancora voci, si giunge al Gran Bazar, uno dei suk più famosi al mondo.
Perdersi nel Gran Bazar
Urla di venditori si mischiano ai suoni di pendagli di abiti appesi e di piatti. Vassoi con bicchierini di tè passano tra un corridoio e l’altro di un mercato in cui perdersi è d’obbligo. Un tripudio di colori, oltre che di suoni, e di odori. Banconi di spezie catturano la vista e l’olfatto dei visitatori. Perché Istanbul è anche una città che profuma. Di cibo, di spezie, di salsedine, di vapori. Passeggiando per le strade non ci si può sottrarre all’odore di kepab rotanti. Lungo il Bosforo l’odore del mare è penetrante; silenziosi e pazienti pescatori, uno accanto all’altro, in fila, aspettano i pesci al varco dei loro ami. E dalle barche ormeggiate al molo esala odore di fritto, pesce cucinato direttamente lì, su fornelli e servito in un panino.
La città dalle due anime
Questa è dunque Istanbul, o meglio la mia Istanbul, una città in cui le contraddizioni emergono con nitidezza, ma non disturbano, rendendola anzi magica e affascinante. Una città che si regge su binomi, a partire dalla sua posizione geografica, divisa com’è tra oriente e occidente, tra la sua voglia di rinnovarsi e occidentalizzarsi e il suo restare ancorata al passato e a tradizioni proprie. E su questi binomi si regge il suo equilibrio, precario e schizofrenico. Una città “sfumata” che ti lascia apparentemente libero di scegliere i percorsi attraverso cui scoprirla, rendendoti conto, solo alla fine, che quei percorsi ti conducono fin dove lei vuole farti arrivare.
Hamam profumati e dervisci rotanti
Seguendo, questa volta gli odori, ci si immerge tra i vapori e i profumi degli hamam, luoghi in cui rilassarsi e purificarsi. Ce ne sono diversi in città, molti dei quali in edifici bellissimi ma tanti, ahimé, turistici. Con qualche ricerca si riesce però a trovare quello giusto e l’esperienza è indimenticabile: donne in accappatoi un po’ slacciati che lasciano intravedere non costumi da bagno, ma biancheria intima, insaponano e massaggiano corpi rilassati.
“Sit” e “dusc” (trascrivo così come è stato detto) sono le uniche parole pronunciate, ma il rituale dei gesti è meraviglioso; tanto quanto il rituale previsto dal percorso dell’hamam stesso. Alla fine di tutto, quel piacevole senso di abbandono, proprio di quando si è rilassati, lo si sorseggia ancora per un po’, bevendo un tè gentilmente offerto. E infine, per restare ancora sospesi da una dimensione terrena si può assistere allo spettacolo dei dervisci rotanti: con la mano sinistra abbassata verso terra, quella destra girata verso l’alto, i danzatori ruotano su stessi ruotando contemporaneamente nello spazio per raggiungere l’estasi con la danza e attraverso questa, arrivare a una maggiore unione con Dio.
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