Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Un francese a Mosca

L’esperienza di tre anni vissuti in Russia senza sapere una parola in cirillico a parte “da” e “niet”. Il racconto di Christian Kergal, direttore di Atout France Milano, l’Ente del Turismo Francese in Italia

Un francese a Mosca

Christian Kergal

, direttore di Atout France Milano, l’Ente del Turismo Francese in Italia, vanta un’esperienza trentennale nel settore del turismo. Dopo studi di marketing e diritto all’Università di Montpellier, ha lavorato nel settore delle crociere marittime, per agenzie di viaggio, per i traghetti Brittany Ferries e in campo alberghiero. Dal 1991 al 2002 ha collaborato con il Comitato regionale per il Turismo Linguadoca-Rossiglione di Montpellier, ricoprendo differenti funzioni: responsabile per la promozione, direttore marketing e comunicazione, vicedirettore e direttore ad interim, prima di passare a Maison de la France. Dopo un periodo trascorso in Italia (dall’ottobre 2002 al giugno 2006) con la carica di vicedirettore, ha diretto la sede di Mosca della Maison de la France dal 2006 al 2009. Alla fine di tale mandato ha fatto ritorno in Italia. Al periodo trascorso in Russia si riferiscono i ricordi e le esperienze dell’articolo che segue.

Christian Kergal un inizio difficile
Sguardi metropolitani
Sguardi metropolitani

Ma qui… nel cuore della Grande Russia, come fare? Non posso negare che il primo mese di permanenza nella capitale moscovita, dei tre anni complessivi che vi avrei soggiornato, sia stato davvero difficile; in qualche occasione, persino angosciante.
Anzitutto i caratteri cirillici delle scritte. Una marea di indicazioni incomprensibili, inizialmente misteriose come l’arabo. I nomi delle strade, le insegne dei negozi, i cartelli delle fermate degli autobus, quelli di “avvertimento” di qualsiasi genere, le indicazioni del metrò, i menù dei ristoranti, le richieste di “aiuto” ai passanti ecc. Alle difficoltà appena elencate, grandi e piccole, si aggiungeva poi la sensazione strana – anche nella felice eventualità di una buona padronanza della lingua (e non era il mio caso) – che il contatto con la gente non avrebbe avuto grande successo. I russi, l’ho scoperto quasi subito, amano tenere la bocca chiusa. Sono diffidenti per natura, sorridono raramente, perlomeno con gli estranei. Ho pensato che questo atteggiamento potesse essere imputabile a non lontani retaggi sociali, grandemente influenzati dalla situazione politica un tempo esistente; per intenderci, dei tempi in cui la città intera era una enorme orecchia, sempre pronta a captare voci non in sintonia col regime. Tornando ai cittadini di Mosca, assuefatti loro malgrado all’atmosfera KGB e per tale motivo attenti a non farsi coinvolgere in situazioni che avrebbero causato problemi ben maggiori, è evidente come sia rimasto a fior di pelle questo tipo di comportamento che definire “riservato” appare puro eufemismo.
Prima di parlare, dunque, e ammesso che decidessero di farlo, dovevano capire a chi stavano parlando; il secondo ostacolo, logicamente conseguente, era che non avevano alcuna intenzione di capire perché questo tizio sorridente e volonteroso si rivolgesse proprio a loro e non ad altri; così, negli ascensori come in strada, nei luoghi frequentati e nelle vie del centro, alla disperata ricerca di un locale in cui mangiare qualcosa, la mia avventura iniziale si è spesso colorata di sconforto. Non voglio apparire esagerato, sia chiaro. Ma è indubbio che la mia “prima” Mosca sia davvero stata laboriosamente difficile.

Mosca: metà europea, metà no
Alla volta di Mosca
Alla volta di Mosca

Colleghi e amici mi hanno chiesto spesso quale sia il “ricordo” più vivo dei tre anni trascorsi a Mosca. Prima vengono le impressioni e le esperienze, non sempre positive, debbo dire. In seguito, i ricordi; alcuni dei quali gradevoli e particolari, proprio perché particolare era l’ambiente che ha favorito l’avvenimento, l’avventura, in seguito divenuti “ricordo”. Ma l’impatto iniziale non è stato dei migliori. Cosa fa un francese, appena messo piede in una metropoli estesa qual è Mosca, senza famiglia al seguito, completamente digiuno (“da” e “niet” a parte) della lingua che vi si parla? Erano due le alternative che mi si offrivano: mettersi a piangere, oppure cercare di affrontare – in posizione di assoluta difesa e prudenza – la nuova avventura che mi vedeva sbalzato in un’Europa diversa: certamente occidentale, ma anche terribilmente orientale (quasi siberiana d’inverno) per abitudini di vita, clima, atmosfere, difficoltà di contatti interpersonali, soprattutto a causa della lingua, sia scritta che parlata. Le domande che mi ponevo già in fase d’atterraggio, cui cercavo di dare risposte sensate, assomigliavano maledettamente all’elenco della spesa che si fa in un qualsiasi supermarket, in assenza della moglie: una sfilza di beni di consumo da acquistare, non necessariamente solo quelli alimentari, cercando di non dimenticare nulla; detersivi e prodotti per l’igiene personale compresi. Sull’aereo, l’elenco mentale riguardava tutta una serie di domande-risposte che nella mia mente rimanevano pressoché inevase, preso com’ero dal timore di non trovare soddisfacenti vie di fuga; in altre parole: come me la sarei cavata? Oltre alla mia lingua (Ah! Douce France…) parlo l’inglese, idioma non molto conosciuto dai russi e l’italiano, per esperienze di lavoro. Dovendo andare in un qualunque Paese dove l’inglese è masticato (vale a dire quasi dappertutto) i problemi assumono un aspetto abbordabile; fatto che si verifica anche nei Paesi latini, per via dell’evidente parentela delle diverse lingue col francese; in questo caso le difficoltà sono ancora minori, anche perché noi latini, esuberanti e “festaioli” come siamo, una qualsiasi forma di comunicazione – aiutata dalla “gestualità” – la troviamo in fretta.

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Una via cittadina
Una via cittadina

In attesa di trovare un appartamento in cui risiedere, in attesa dell’arrivo della mia famiglia, in attesa ancora di avere un’auto con la quale rendermi autonomo, appena arrivato ho dovuto fare i conti con imprevisti ostacoli, altrove del tutto assenti. A Mosca c’è un’associazione che si occupa di trovare un alloggio agli stranieri che arrivano. Trattandosi nel mio caso di un periodo di tempo limitato (il famoso primo mese!) era impensabile soggiornare, a prezzi davvero altissimi, in uno degli hotel del centro storico. Quindi, arrivo alle 18 all’aeroporto; alle 19 e qualcosa un taxi mi lascia davanti a un palazzone periferico, di quelli che noi definiamo “staliniani”: grande, grigio, malandato. I pulsanti del citofono sono tutti regolarmente senza nomi o sigle; niente di niente, a proteggere l’anonimato tanto caro ai russi. I tentativi non sortiscono alcun effetto, nemmeno con l’aiuto del taxista che poi se ne va; quindi arriva una studentessa che qualche parola di inglese la conosce, alla quale chiedo aiuto; schiaccia un po’ di bottoni cercando un contatto, senza successo. La faccenda si fa seria. Viene buio e non so dove andare a sbattere per trascorrere la mia prima notte moscovita. Alla fine telefono all’associazione che aveva “prenotato” la famiglia e finalmente il portone viene aperto da una donna sulla sessantina, musona ma gentile, che mi fa entrare in casa. Vocabolario alla mano, tento qualche approccio, senza grande successo; intanto mi guardo d’attorno. L’appartamento, piccolo e pulitissimo, è arredato con mobili stile anni Cinquanta ma c’è pure un grosso frigorifero, questo di fabbricazione molto più recente. Costo contenuto e comodità all’essenziale; spendo 30 € per il pernottamento, somma che la signora che viveva sola (“marito sparito”, riesco a capire, grazie al vocabolario!) dividerà con quelli dell’associazione. Seguono altre due notti così, poi mi trasferisco all’hotel!

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Traffico avviluppante
Traffico avviluppante

Il 30 agosto, oramai convinto di essere divenuto “prigioniero della città” – una città della quale non si riesce a capire dove finisca – ritorno a Mosca, questa volta con l’intera famiglia. Il primo settembre, sistemati nell’appartamento che non è lontano dall’Ambasciata di Francia e dalla statua di Lenin, decidiamo di “fare un salto” all’Ikea per arredare la nostra nuova casa. Dalla casa, in zona centrale, all’Ikea che è al contrario in periferia, ci sono una ventina di chilometri. E qui scopro cosa significhi girare in auto a Mosca. Premesso che le strade pedonali della capitale sono due o tre in tutto, noto che la grande passione dei russi è usare l’automobile. Lo spazio non manca e le strade di grande scorrimento sono a tre, sei corsie. Più le auto sono grosse e più gli autisti fanno quello che vogliono; il codice della strada è un optional e tutti sfrecciano allegramente, sapendo dove debbono andare. Non è naturalmente il mio caso; sbaglio la corsia che immette verso l’Ikea e arranco per cinque, sei chilometri (impensabile un’inversione di marcia) prima di poter ritornare e imboccare quella giusta; risultato, tre ore di fila per andare e altrettante per tornare. La “gita” fuori porta ci consente tuttavia di fare i nostri acquisti, di mangiare al ristorante dei grandi magazzini e di venire persino allietati da una banda dell’esercito che suona marcette e sfoggia impeccabili divise militari. Veniamo poi a sapere che il 1° settembre è la festa della città. Il primo impatto “automobilistico” è stato devastante; con l’uso del navigatore satellitare, andrà meglio in seguito.

Christian Kergal, conoscere Mosca
Le meraviglie della città
Le meraviglie della città

Mesi dopo, prese le necessarie “misure”, troviamo il tempo per conoscere un po’ più a fondo Mosca. Soprattutto il centro storico, che riserba molte piacevoli sorprese.
Fra queste, i ristoranti della tradizione e della cucina locale, con molti giovani che accompagnano i pasti e le cene a suon di musica, anch’essa tradizionale; piccoli complessi formati da studenti che in questa maniera guadagnano qualcosa in più per pagarsi gli studi. Belli i quartieri vecchi con alcune case fabbricate in legno, naturalmente un tempo molto più numerose di quanto lo siano ora; poi, la scoperta di una popolazione semplice e alla mano, che vive in maniera molto differente e decisamente più “umana” rispetto alla élite dei nuovi ricchi, generalmente di scarsissima cultura e decisamente asociali; pare che siano cresciuti come i funghi (i nuovi ricchi) dai tempi ormai lontani della “perestroika”. Vivono in un mondo tutto loro, nel quale il denaro e la corruzione scorrono spesso su identici binari. Il popolo dei “semplici”, verrebbe da dire di una Russia “tolstojana”, è alla resa dei conti quello che meglio risponde all’esigenza di una sia pur minima convivenza sociale. Senza contare che, io e la mia famiglia, abbiamo scoperto che si possono fare davvero delle gradevoli “gite fuori porta”, visitando le famose “dacie” immerse nel verde; per le esigenze familiari, poi, vi sono i diffusissimi magazzini Auchan, che hanno sostituito i Carrefour un tempo molto presenti. In questi posti si può mangiare (bene) senza spendere una fortuna. Un altro ricordo, anch’esso gradevole, è quello che ci ha visti prendere il lunghissimo treno (quasi un chilometro di vagoni!) per San Pietroburgo: partenza a mezzanotte, arrivo alle sette del mattino; uno scompartimento con quattro comode cuccette e all’alba una deliziosa colazione con dolcetti e stuzzichini vari, più vodka (!) e falso caviale. San Pietroburgo, a me e ai miei cari, è sembrata una “bella addormentata”, circondata appunto dai boschi; molti bellissimi palazzi e grandiosi musei, ai quali hanno messo mano una folla di artisti italiani.

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Colori e motivi sulla facciata di un palazzo
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Finisco con un paio di annotazioni sul mio lavoro che è quello di far conoscere la Francia, in questo caso ai russi. E’ fuori di dubbio che il mio paese eserciti una forte attrazione, dovuta alla tradizione storica (gli Zar parlavano francese, a corte) e a certi miti che sono universali – il Louvre, la Tour Eiffel, Edith Piaf, Victor Hugo ecc. – specie tra la popolazione semplice, quella della quale parlavo prima e che si differenzia molto dalle esigenze – e quindi dalle vacanze – dei nuovi ricchi. Questi prenotano hotel a 4-5 stelle, voli in business class e una volta a Parigi spendono a spandono. Un bel contrasto rispetto a quella piccola donna col fazzoletto sul capo che, vicina ai 90 anni, mi confessò d’aver risparmiato per tutta la vita per pagarsi un viaggio a Parigi. Come lei ce ne sono molti; gente che si affida a tour operator locali, con voli aerei e hotel già pagati (spesa media sui 1.200 €) che “spera” tutto vada bene. E’ successo infatti che molti non abbiano ottenuto il visto d’ingresso e abbiano visto svanire il sogno del viaggio alla Ville Lumière, a lungo coltivato. Problemi che mi hanno molto coinvolto e per risolvere i quali non mi sono certo risparmiato. Le cifre sono sempre aride e talvolta antipatiche. Però debbo dire che all’inizio della mia avventura moscovita erano 300 mila i russi che si erano recati in Francia; saliti a 700 mila quando ho lasciato il Paese. Sotto il profilo professionale, penso di aver svolto bene il mio lavoro. Per quanto riguarda l’aspetto umano e le esperienze di vita, ritengo di essere in debito con gli abitanti di Mosca: alla lunga è molto più quello che loro hanno dato a me (semplicità e calore dei rapporti; in molti casi vera amicizia) rispetto a quanto io possa aver dato a loro. Forse per colpa del mio russo, sicuramente migliorato nel tempo, ma non in grado di tradurre fino in fondo le mie sensazioni positive e la mia sincera partecipazione per la vita di questa gente.(21/04/10)

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