Interessante assistere al lavoro di archeologi e restauratori per scoprire come, frammento su frammento, si ricostruisce il puzzle della storia e della fine della famosissima città distrutta dal Vesuvio. Si tratta dello scavo iniziato nel 1987, che ha riportato alla luce un intero isolato lungo la centralissima via dell’Abbondanza, il principale decumano dell’antica Pompei che collega il Foro all’Anfiteatro.
Cuore degli ambienti riportati alla luce, la casa di un ricco panettiere e il suo laboratorio. Stanze di vita e di lavoro quotidiano che si aprono, dopo quasi venti secoli di oblio, e che sembrano ancora vive dei rumori e degli odori di quel tragico 24 agosto del 79 dopo Cristo, il nono giorno prima delle calende di settembre, come riferisce nella sua lettera Plinio il Giovane, testimone oculare di quella tragedia.
Prima dell’eruzione, un grande terremoto
Il marciapiedi del piccolo cardo d’accesso mostra delle buche, materiale rimosso che a prima vista sembra una banale e vistosa sciatteria di chi ha aperto al pubblico il posto. E invece è una prima traccia che porta il visitatore a conoscere e vivere le ultime ore di Pompei. Si tratta di lavori in corso: vecchi di duemila anni. “Procedendo con lo scavo” spiega Varone “abbiamo scoperto le tracce evidenti di opere in corso lungo la strada al momento dell’eruzione. Riguardano la riparazione di fosse settiche pesantemente danneggiate da un forte evento sismico”. L’intera città di Pompei presenta tracce di danni sismici e di lavori di restauro effettuati da poco.
L’interpretazione corrente vuole che si tratti dei segni di un grande terremoto verificatosi nel 62 dopo Cristo, 17 anni prima della disastrosa eruzione. Non c’è dubbio che la città abbia subito pesanti danneggiamenti da parte di quell’evento storicamente accertato, ma questo non significa necessariamente che i lavori di restauro si siano trascinati per decenni. E i lavori in corso nei pressi della Domus dei Casti Amanti ne sono la prova.
Scavi “coram populo”
“Nell’affrontare questo scavo abbiamo puntato a conoscere aspetti nuovi di Pompei e dell’eruzione del Vesuvio” esordisce Antonio Varone, direttore degli scavi di Pompei, che da tempo immaginava la Casa dei Casti Amanti come occasione per far conoscere al grande pubblico il lavoro dell’archeologo e le piccole e grandi verità che prova a svelare.
L’accesso del pubblico alla Domus è da un cardo, un vicolo laterale, e immediata è la sensazione di trovarsi in un luogo che riserba sorprese. I ponteggi danno l’idea dei lavori in corso e con le mura antiche, cavate a fatica dalla cenere e dalle pomici solidificate, creano uno strano e intrigante connubio. Non una casa come le altre visibili a Pompei, ma un cantiere-laboratorio nel quale sono davvero al lavoro archeologi e restauratori. Scavo e recupero delle testimonianze della casa continuano, infatti, sotto gli occhi dei visitatori in un lungo progetto di ricerca. Un lavoro certosino che ricostruisce ed interpreta quanto affiora dal terreno. Un lavoro vivo, come viva era la città prima dell’ecatombe vulcanica.
“Vogliamo offrire ai visitatori un’esperienza unica” spiega Marcello Fiori, commissario della Soprintendenza archeologica di Pompei “entrare nel vivo di uno scavo e partecipare al lavoro dei ricercatori. Una visita che porta a conoscenza del pubblico le scoperte che man mano si stanno realizzando in questo luogo”.