Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

A Predappio un “Eja Eja Alala” per i Dolcini

Nella terra del Duce un incontro con una coppia di vecchi amici. I Dolcini si sono occupati a lungo dei rapporti con la stampa e della promozione per il turismo della Romagna-Emilia. Nelle vecchie Bit milanesi si parlava poco di marketing ma si mangiavano “tajadèl” tirate a mano… che delizia!

Predappio Alta
Predappio Alta

Prefazione, premessa e Nota Bene (a proposito del titolo e a scanso di equivoci, sennò si rischia l’incriminazione per Apologia del Fascismo).

Primo. A Predappio – per la precisione a Dovia, alias Due Vie, una frazione di Predappio Alta – nacque Benito Mussolini noto anche come “il duce” (quello che secondo alcuni “aveva sempre ragione” mentre secondo altri “aveva sotto due maroni così” e sembra pure che li usasse senza costi accessori, evitando pertanto di donare – secondo gli storici – ciondolanti farfalline d’oro).

Secondo. Nonostante il cognome i Dolcini non fanno ingrassare (salvo quando ti invitano al ristorante) trattandosi invece di due deliziosi sposi di cui al dettaglio che segue.

Terzo. Eja Eja Alalà fu un meticcio grido di incitamento inventato da D’Annunzio per la cosiddetta Impresa di Fiume eppoi riciclato dai “fasisti” (come dicono i romagnoli, che non sanno pronunciare né l’italiano ‘sci’ o ‘sce’ né il francese ‘je’ perché invece di spingere la lingua avanti la tirano indietro) nel loro pasticciato inno “Giovinezza” (e tornando al grido, lo si è definito meticcio perché il Vate fregò l’Eja Eja agli antichi romani – ma tuttora in Sardegna c’è chi esulta in tal modo – mentre l’Alalà lo copiò dagli ancor più antichi greci).

Da Predappio alle “vecchie” Bit milanesi…

La chiesa di San Cassiano a Predappio
La chiesa di San Cassiano a Predappio

Tutto quanto sopra (doverosamente, premesso e chiarito) non costituisce quello che un tempo si chiamava il “cappello” di un articolo, trattandosi invece dello scenario e della presentazione delle “dramatis personae” di cui a una mia recente visita estiva ai sullodati personaggi e posti. Motivazione della gita, non Predappio, a me già nota perché laddove dove c’è storia mi ci ficco avidamente, bensì i Dolcini. Che non vedevo da quel tempo (e da allora l’ago della bilancia aveva confortevolmente cominciato a spostarsi in basso). Più esattamente dai (magnifici) tempi delle prime Bit, allorquando il Turismo era composto da gente che parlava come mangiava, invece del “marketing” vigeva un sano “palla avanti e pedalare” e si badava al sodo senza tante parolone e incarichi scimmiottati dalla letteratura commerciale ‘yankee’.

LEGGI ANCHE  L'informazione non vola nello spazio con Rosetta

Nella fiera milanese c’erano già, ad esempio, gli impiegati dei tour operators controllanti se gli alberghi prenotati non erano una schifezza, ma non avevano ancora la facia de palta di darti il biglietto da visita con su scritto “product manager”; né mancavano i “venditori” (nel resto del commercio a quei tempi detti anche “piazzisti”) che i viaggi dovevano spacciarli nelle agenzie, ma non si chiamavano ancora “promoters” (unica vera novità e differenza, tra “venditori” e “promoters”, la gommina, apparsa in epoche più recenti sulla crapa di questi ultimi).

…quando si mangiavano le “tajadèl” con la sfoglia tirata a mano

L'enoteca Cà de Sanzvès
L’enoteca Cà de Sanzvès

Già, i Dolcini e i vecchi tempi della Bit, definiti magnifici perché si andava concretamente al sodo, di pugnette se ne contavano poche, chi sbagliava era soltanto un pirla e non un Ceo in doppiopetto gessato (tipo quelli che oggidì ci hanno steso sul pavè, perché a rovinarci mica sono stati i ‘ragiunat’ dalle mezzemaniche). E i Dolcini al sodo (si fa prosaico riferimento al “magnèr”) ci andavano per davvero, eccome! Soprattutto lei, la Lina. Perché lui, Vanni, era sì il Deus ex Machina, il Demiurgo – quanto a promozione e stampa – di tutto ciò che concerneva il Turismo in Romagna–Emilia. Ma era la Lina che – oltre a costituire il braccio destro del Vanni nella diuturna fatica professionale – durante la Bit faceva entrare o cacciava gli scribi che a “mezdì” facevano la fila davanti al ristorante allestito nello stand della regione questuando un piatto di “tajadèl”. Finita l’epoca di questo mitico primo romagnolo (ma lo fanno anche in Emilia), stranamente non considerai più così necessario andare alla Bit (ormai invasa dai canapè surgelati, roba che se quel giorno il forno sgelante non funziona bene ti ritrovi un cappero ghiacciato tra il canino e un molare). Eppertanto perdetti di vista i Dolcini. Che però, nello scorso inverno, obbligati dalla deontologia professionale (continuano infatti a curare ‘stampa e pierre’ di tante entità turistiche romagnola) a scendere così in basso da dover leggere un mio scritto sul Grand Hotel di Remmìn (Rimini), scoprirono la mia sopravvivenza e mi ordinarono di comparire.

LEGGI ANCHE  Amarcord di un padre. È passato tanto tempo...
Condividi sui social: